“Sulla spinta degli scioperi negli stabilimenti e dello sciopero generale proclamato per oggi, si è svolto l’incontro in conference call con i Ministri Patuanelli, Gualtieri e Catalfo, ArcelorMittal e le organizzazioni sindacali”. Lo dichiarano Francesca Re David, segretaria generale Fiom-Cgil e Gianni Venturi, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile siderurgia, al termine della videoconfernza con il governo a ArcelorMittal.
“Fim, Fiom, Uilm – aggiungono – hanno sollecitato il Governo e ArcelorMittal a mettere tutte le carte sopra il tavolo, vale a dire la conferma o meno degli impegni assunti con l’accordo del 6 settembre 2018: il relativo piano industriale, i conseguenti investimenti e assetti societari, i livelli occupazionali ed il risanamento ambientale. Infatti, l’emergenza determinata dalla pandemia da Covid-19 se ha oggettivamente ritardato i tempi del confronto, non ha ovviamente rimosso le responsabilità sulla risoluzione dei nodi ancora aperti che fanno riferimento al Governo e ad ArcelorMittal. Anzi, le modalità con le quali ArcelorMittal ha pensato di gestire la cassa integrazione sito per sito richiamando prima i lavoratori in piena emergenza con le deroghe prefettizie e scaricandoli immediatamente dopo con il ricorso sostanzialmente generalizzato agli ammortizzatori sociali, ha ulteriormente acuito ad aggravato un quadro di relazioni industriali che quando non è inesistente, è inaccettabile”.
“Per il governo che ha confermato l’intenzione di entrare nella compagine societaria, e per ArcelorMittal non sarebbero in discussione le prospettive legate alla presenza del gruppo in Italia – proseguono -. In particolare l’Amministratore Delegato ha confermato di voler mantenere formalmente e sostanzialmente tutti gli impegni assunti. Ma il punto è proprio questo. Fim, Fiom, Uilm non sono a conoscenza di tali impegni se non attraverso le dichiarazioni pubbliche e comunque, è del tutto evidente che per il Governo e per ArcelorMittal gli impegni assunti si riferiscono al documento del 4 marzo 2020. Se tali impegni dovessero essere confermati, significa che al termine del periodo contemplato dal nuovo piano industriale, il numero complessivo dei lavoratori in ArcelorMittal sarebbe di 10.700, lasciando intendere l’esclusione dei circa 1700 lavoratori ancora in amministrazione straordinaria per i quali nell’accordo del 2018 esisteva una clausola sociale di salvaguardia. L’Amministratore Delegato ha affermato di poter presentare il nuovo piano industriale entro 10 giorni. Per noi il tempo è largamente scaduto. Si devono usare questi dieci giorni per riportare ad una verificabile normalità le relazioni sindacali con il gruppo e i singoli siti. Bisogna garantire il riavvio delle produzioni possibili, delle manutenzioni indispensabili, del risanamento ambientale e quindi il rientro dei lavoratori in tutti gli stabilimenti del gruppo consentendo una gestione della cassa integrazione in rotazione e traguardando il mese di giugno”.
“Per la Fiom è necessario mantenere lo stato di agitazione in tutti i siti – concludono – per evitare il rischio i prossimi dieci giorni si trasformino in un semplice rinvio di responsabilità, a cui il Governo e ArcelorMittal non si possono più sottrarre”.
Per il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, “la situazione è completamente diversa rispetto a quello che ci viene rappresentata. Se non mettiamo mano al piano industriale si rischiano forti tensioni sociali, che non siamo nelle condizioni di controllare. Vero che c’è una contrazione del mercato ma non tale da fermare gli impianti”.”
“Serve una legge speciale – ha precisato Palombella per l’Ilva per attenuare il disastro occupazionale, economico e sociale. Per attenuare il disastro occupazionale, economico e sociale il Governo deve mettere mano a una legge speciale per i lavoratori dell`ex Ilva. Prevedere pensionamenti o altri strumenti legislativi per ricollocamenti occupazionali garantiti dallo Stato. Se non verrà fatto questo intervento si rischiano forti tensioni sociali, che non siamo nelle condizioni di controllare”. Spiega poi Palombella, in una nota.
“Dopo mesi di contenziosi legali – dichiara il leader Uilm – e a oltre due mesi dall`accordo tra Governo e ArcelorMittal, dobbiamo attendere ancora altri dieci giorni per la presentazione del piano industriale. Da novembre abbiamo letto di innumerevoli piani industriali, utopici o di difficile attuazione, con società miste ma limitate a determinate produzioni. Un caos che rischia di ripercuotersi sulla vita di 20mila persone e intere comunità, con effetti economici, sociali e ambientali devastanti”.
“Dal luglio del 2019 – sottolinea – ArcelorMittal ha avviato unilateralmente la Cig per 1300 lavoratori, otto mesi prima del Coronavirus. Oggi la situazione del mercato dell`acciaio è complicata ma non tale da fermare quasi completamente gli impianti, bloccare i lavori di ambientalizzazione, la messa in cassa integrazione di 5mila lavoratori, oltre ai 1.700 dell`Amministrazione straordinaria e ai 4mila dell`indotto attualmente a casa senza prospettive”.
“Il vero problema è la mancanza di prospettiva occupazionale e produttiva – aggiunge -. Per noi esiste solo il piano previsto dall`accordo del 6 settembre 2018, ad oggi non rispettato da ArcelorMittal, che garantisce tutti i livelli occupazionali, zero licenziamenti, importanti investimenti per ambientalizzazione. Che fine faranno i circa 10mila lavoratori tra i diretti attualmente in cig, indotto e in Amministrazione straordinaria? Non tollereremo nessun passo indietro rispetto alla tutela di ogni posto di lavoro, così come previsto nel 2018”.
“Chiediamo un intervento urgente del Governo – continua – che faccia da garante degli accordi e che si renda conto della situazione drammatica che stanno vivendo migliaia di lavoratori e intere comunità. Non c`è tempo da perdere, si mettano in campo provvedimenti immediati altrimenti non saremo in grado di contenere il rischio di rivolta sociale e degli stabilimenti rimarranno solo le macerie”.
Una richiesta di maggior chiarezza arriva anche da Marco Bentivogli, segretario generale della Fim-Cisl, e dal segretario nazionale Valerio D’Alò.
“Relativamente a quanto prospettato dall’azienda sull’attuale situazione del gruppo AMI, nella discussione è stato introdotto un elemento a noi sconosciuto. Un accordo che sarebbe stato siglato il 4 marzo 2020 e mai presentato alle OOSS. Tutto quello che di negativo è stato compiuto rispetto all’unico accordo da noi conosciuto, quello del 6 settembre 2018, ha condotto alle mobilitazioni compresa quella di oggi. Fino ad oggi, soprattutto nella vicenda Cassa Integrazione si è assistito a un atteggiamento schizofrenico dell’azienda che inizialmente ci chiedeva la Cassa Integrazione; nel periodo di emergenza sanitaria la osteggiava per poi richiederla alla fine dell’emergenza. Siamo consapevoli di un calo globale della domanda di acciaio ma non si possono concentrare gli sforzi su un piano industriale che, a detta dell’azienda, sarà presentato tra 10 giorni ma vanno riprese con vigore le opere di ambientalizzazione, messa a norma degli impianti e rilanciare i reparti produttivi. Questo darebbe garanzie ambientali ed occupazionali ai dipendenti diretti, a quelli dell’appalto e a coloro che sono attualmente in Ilva in AS. A oggi la sensazione è che non ci sia solidità nel gruppo né voglia di portare a termine gli impegni presi. L’inserimento in Golden Power è un segnale positivo se da parte del soggetto privato c‘è la volontà di tener fede agli impegni. Nel frattempo, dal Management vanno via tutte le risorse che gestivano il gruppo”.
TN