“Ex Ilva: annullata la gara per l’acciaio green”: così, più o meno, hanno titolato le loro corrispondenze da Taranto vari quotidiani, a partire dai loro siti on line, tra il pomeriggio di sabato 17 maggio e la mattina di domenica 18 maggio.
Come si sarà capito, stiamo parlando di una nuova, anzi, dell’ennesima puntata della Neverending Story dell’ex Ilva. Una puntata in cui, se possibile, alcuni dei vari aspetti di una vicenda industriale tra le più complesse che si siano mai viste, hanno finito per aggrovigliarsi ancor più di quanto non fosse già accaduto. E ciò specie per ciò che riguarda i rapporti fra effetti inquinanti della produzione d’acciaio, tentativi di ridurre o superare tali effetti e decisioni della Magistratura (in questo caso, quella Amministrativa).
Ciò premesso, possiamo chiederci: qual è il fatto da cui trae origine questa nuova puntata? Per rispondere, dobbiamo risalire, in prima battuta, a giovedì 15 maggio, ovvero al giorno in cui il Consiglio di Stato pubblica una sua sentenza. Sentenza con cui conferma una precedente decisione del Tar di Lecce.
L’anno scorso, ovvero nel 2024, la sezione di Lecce del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia si era infatti pronunciata sull’aggiudicazione, alla società denominata Paul Wurth Italia Spa, dell’appalto per la realizzazione a Taranto di un impianto per la produzione del cosiddetto preridotto. Ma, prima di chiederci cosa diavolo sia questo preridotto, sarà opportuno fare un altro passo indietro.
Come è noto, almeno fin dall’estate del 2012, ovvero fin da quando quello che è tutt’ora il più grande stabilimento siderurgico d’Europa fu oggetto delle attenzioni della Procura della Repubblica di Taranto, la questione ambientale è al centro di tutte le vicende che riguardano lo stabilimento stesso.
E come è altresì noto, almeno da un certo punto in avanti è diventata prevalente l’idea che, per risolvere tale questione, abbattendo gli effetti inquinanti della locale produzione di acciaio, fosse necessario sostituire la tecnologia dell’altoforno con quella del forno elettrico.
D’altra parte, anche considerando il fatto che il rottame di ferro – che fin qui ha prevalentemente alimentato i forni elettrici come materia prima da cui ricavare l’acciaio – è un materiale su cui, in prospettiva, non si può far conto da un punto di vista quantitativo, si è fatta strada l’idea di usare, al posto del rottame stesso, il cosiddetto preridotto.
Adesso possiamo tornare alla domanda posta poco sopra: che cosa è il preridotto? Risposta: è un materiale metallico prodotto dal minerale ferroso mediante l’utilizzo di gas riducenti (riducenti nel senso chimico del termine), quali l’idrogeno, e senza essere portato a fusione. Materiale noto, nel lessico siderurgico internazionale, come Dri, ovvero Direct reduced iron. Un materiale, ancora, che può consentire di produrre un acciaio di qualità migliore rispetto a quello ottenuto, sempre col forno elettrico, a partire dalla lavorazione del rottame.
Dopo la nascita di Acciaierie d’Italia, la società formatasi nel 2021 con l’ingresso di Invitalia, società a capitale pubblico, in Am InvestCo Italy, si comincia a ragionare più concretamente sull’ipotesi della cosiddetta decarbonizzazione dell’impianto siderurgico di Taranto, ovvero sulla possibilità di produrre acciaio senza emettere CO2 nell’atmosfera. A tale scopo, si comincia anche a considerare l’idea di costruire nell’area tarantina un impianto per la produzione del preridotto. E ciò, appunto, per poter poi alimentare con questo stesso preridotto i forni elettrici che dovranno sostituire gli altiforni.
Dri d’Italia Spa, società controllata da Invitalia, avvia quindi una procedura d’appalto per la realizzazione di tale impianto. Appalto che viene assegnato a Paul Wurth Italia Spa. A quel punto, Danieli e C. Officine Meccaniche, nota multinazionale italiana basata in Friuli, presenta un ricorso contro tale aggiudicazione. Aggiudicazione che viene annullata, come si è visto, dal Tar di Lecce.
Adesso, dopo un anno, il Consiglio di Stato ha confermato la validità di tale annullamento. Conseguenza: la gara è da rifare.
In un articolo pubblicato domenica 18 maggio sulle pagine economiche del Messaggero, si ricorda che “il ministero dell’Ambiente e Dri d’Italia” sono già al lavoro “per rifare la gara di appalto”. Da ciò si potrebbe ricavare che l’annullamento della gara di cui stiamo parlando non rappresenta, di per sé, un evento catastrofico. Ci pare però che, a proposito di questa puntata della vicenda della ex Ilva, sia lecito formulare anche altre due considerazioni.
In primo luogo, va detto che l’aspetto più grave di questa puntata non sta tanto nella decisione assunta dal Consiglio di Stato, decisione la cui correttezza non intendiamo assolutamente revocare in dubbio, quanto nel tempo che è stato necessario per assumerla. In sostanza, non ci pare che, almeno in questo caso, i tempi della nostra giustizia amministrativa siano apparsi adeguati ai tempi dell’industria. Per le mutevoli esigenze dell’economia globalizzata, un’impresa deve poter effettuare le sue decisioni d’investimento in tempi più rapidi.
In secondo luogo, ci pare giusto notare che, come scrive ancora il Messaggero, “la decisione del Consiglio di Stato finisce per aumentare l’incertezza sull’acciaieria”, ovvero su uno stabilimento “che ha visto crollare la sua (…) produzione dopo l’incendio” verificatosi all’Altoforno 1”.
Per domani, mercoledì 21, è stata convocata, a Palazzo Chigi, una riunione del tavolo permanente per la ex Ilva. Riunione in cui dovranno essere affrontate, innanzi tutto, le conseguenze, già molto preoccupanti, di questo incendio sviluppatosi, il 7 maggio scorso, nel citato Altoforno 1 dello stabilimento di Taranto. In concomitanza con l’incontro, i sindacati dei metalmeccanici Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil hanno proclamato uno sciopero di 4 ore in tutti gli stabilimenti del Gruppo “per chiedere al Governo di assumere scelte che producano azioni immediate”. Infatti, i tre sindacati, in un loro comunicato, hanno affermato di ritenere “insostenibile il clima di incertezza che si protrae da anni sulla vertenza e che pone i 20.000 lavoratori (Acciaierie d’Italia in AS, Ilva in AS e aziende dell’indotto) e le loro famiglie in una condizione di instabilità”.
Fernando Liuzzi