Si è svolta ieri, a Roma, presso la Cgil nazionale una tavola rotonda sui temi dell’illegalità nel settore delle costruzioni. L’iniziativa si è svolta nell’ambito della due giorni organizzata dal sindacato sul tema del lavoro extracomunitario nel settore edile. Hanno partecipano all’evento Walter Schiavella, segretario generale della Fillea, Moulay El Akkiouy, segretario nazionale Fillea, Marco Rovelli, autore del libro “Servi”, l’avvocato Federico Ventura e Emanuele Galossi e Maria Mora che hanno curato il quarto rapporto Ires Fillea sui lavoratori stranieri nel settore edile. Ha aperto il confronto Walter Schiavella, segretario generale della Fillea Cgil che ha ricordato come gli immigrati, quelli regolari, prendono nel settore un salario inferiore del 22,8% a quello degli italiani con assunzioni regolari. Questo avviene, ha ricordato Schiavella, nonostante gli stranieri oggi garantiscano all’erario un gettito di qualche miliardo di euro in tasse. Il sindacalista ha poi messo in luce che questo dato assume una certa rilevanza se si pensa che nel nostro paese il 17% del Pil è sottratto al Fisco a causa del lavoro nero e dell’evasione fiscale. Soprattutto nell’edilizia i lavoratori in nero toccano quote molto rilevanti e per quanto riguarda gli immigrati, quelli non in regola con il contratto di lavoro, sarebbero più di un milione. Inoltre, se si pensa che, ha ricordato il sindacalista, a fronte di un calo del 4% dei lavoratori italiani nel settore a causa della crisi, quelli stranieri sono aumentati del 10% si comprende quando questo settore in futuro sarà appannaggio degli stranieri. Per Schiavella questo avviene perché essendo gli stranieri assunti, spesso illegali, anche per le regole sempre più dure, è più facile poter pagarli meno o assumerli a nero. Infatti, sia per un questione di struttura di impresa, sia che per una questione di struttura di mercato (appalti a ribasso) è fondamentale poter diminuire i salari senza troppi problemi e l’illegalità offre le condizioni perfette per poterlo fare. In definitiva per comprimere il costo si assume in nero. Schiavella ha parlato poi di come sia molto sviluppato nel paese il capolarato e come, oltre al lavoro nero sia presente nel settore, anche il finto part time. Finto perché il lavoratore in realtà lavora a tempo pieno. Inoltre, ha notato, il settore dell’edilizia è pesantemente penetrato da clan mafiosi che grazie al lavoro nero e alle minacce riescono a comprimere ancora i più i costi. La via d’uscita da questa situazione, ha concluso, è una maggior presenza, attraverso i controlli dello stato, ma anche una allontanamento dal modello dell’appalto al massimo ribasso.
Dopo l’intervento di Schiavella ha preso la parola Emanuele Galossi che ha presentato il rapporto Ires Fillea da cui emerge, tra l’altro, che nel settore in futuro è molto probabile un sorpasso degli stranieri sugli italiani e che per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro il muratore è uno dei lavori più pericolosi che ci siano. Inoltre dal rapporto emerge che nel settore cresce il lavoro autonomo, che durante le crisi i lavoratori stranieri sono i più colpiti, anche grazie al rischio di irregolarità lavorativa e di soggiorno. Infine emerge anche una aumento della vertenzialità. Maria Mora, ha invece presentato una parte del rapporto che ha analizzato più specificatamente la realtà delle tre maggiori città italiane Milano, Roma e Napoli e le modalità e cause dei licenziamenti secondo le opinioni e le storie degli immigrati. Per quanto riguarda i licenziamenti dal rapporto emerge come essi, nella maggior parte dei casi legati agli stranieri, siano portati a termine con parecchie illegalità. Successivamente a parlato Luca di Sciullo, in rappresentanza della Caritas. Di Sciullo ha ricordato che l’Italia è uno dei paesi in cui la pressione migratoria è tra le più alte. Il ricercatore ricorda come il nostro paese sia il paese del pacchetto sicurezza e non del pacchetto integrazione e questo nonostante gli immigrati garantiscano allo stato e all’economia ingenti e irrinunciabili entrate economiche. Peccato, ha proseguito, che senza integrazione è impossibile la sicurezza. Secondo la sua opinione l’Italia è bene lontana dai modelli di integrazione garantiti dagli altri paesi europei, in primis la Germania. In particolare, ha sostenuto, servono regole chiare e pratiche, non è pensabile per esempio legare sempre il permesso di soggiorno a un contratto avuto prima di entrare nel paese. Infatti non è pensabile e non avviene nella pratica che piccole imprese e famiglie diano contratti di lavoro all’estero a persone che non hanno mai visto e senza referenze. Per Di Sciullo serve quindi una carta dell’integrazione simile a quella tedesca che si basi su regole chiare, conoscenza della lingua e la reintroduzione sotto forme più controllate del permesso di soggiorno per ricerca di lavoro con sponsor. Inoltre conclude il ricercatore della Caritas, in Italia ci sono dei modelli positivi di integrazione a cui ispirarsi e sono i piccoli centri urbani, luoghi in cui spesso gli immigrati si sono ben integrati con la popolazione italiana.
L’avvocato Federico Ventura ha poi presentato “la cassetta degli attrezzi”, un dossier che contiene informazioni considerate utili per i migrati, che a curato con l’avvocato Penelope Vecli. Per l’avvocato il lavoro rappresenta due realtà: denaro per vivere e il modo di integrarsi nella sociètà. Secondo la sua opinione in Italia questo non avviene per gli immigrati, perché nel paese il lavoro non è un mezzo di integrazione, ma il predisposto per entrare. Secondo Ventura per incentivare il rispetto della legge si deve far si che restare nella legalità sia conveniente. Per far ciò, tra l’altro, si può cominciare a invertire sull’eccessiva concorrenza a ribasso che nel settore si è inserita non solo tra le imprese, ma anche tra i lavoratori.
Infine, in conclusione del dibattito, Marco Rovelli, ha presentato “Servi”, il suo libro inchiesta sulla situazione degli straneri illegali nel paese. Per Rovelli la parola clandestino è quello schermo bianco su cui possiamo proiettare tutte le nostre paure. Sommerso per lo scrittore è un’altra parola chiave perché la clandestinità permette di togliere i diritti così da poter sfruttare meglio, agendo sulla paura, gli illegali come lavoratori a costo stracciato. L’Italia è per lo scrittore il paese dove nella piana di Gioia Tauro gli africani clandestini raccolgono gli agrumi nei campi delle andrine calabresi e dove la sera i figli dei proprietari dei campi lanciano sassi su quegli stessi lavoratori o ancora, dove si dà la cittadinanza onoraria allo scrittore Roberto Saviano, come a Milano, per poi premiare con l’Ambrogino d’oro i vigili urbani che giravano per la città con un autobus con le grate alle finestre per raccogliere i clandestini che venivano trovati dai controllori degli autobus senza biglietto e documenti.
Luca Fortis
























