La crescita dei salari in molte economie avanzate “è decisamente al di sotto” dei livelli pre-recessione, anche a causa delle debolezze nel mercato del lavoro, delle aspettative sull’inflazione e dei trend di crescita della produttività, mentre l’automazione del lavoro sembra avere un ruolo minore.
E’ quanto si legge nei capitoli analitici del World Economic Outlook del Fondo monetario internazionale, pubblicati in vista delle riunioni annuali dell’istituto a Washington. “Sebbene l’occupazione part-time involontaria possa avere contribuito a dare sostegno alla partecipazione della forza lavoro”, sembra avere indebolito la crescita dei salari, ha spiegato il Fondo, secondo cui “una crescita limitata dei salari è stata riscontrata anche laddove sono aumentati i contratti di lavoro a tempo determinato”. Dunque, non c’e’ solo un problema di precarieta’ del lavoro, ma e’ qualcosa di piu’ strutturale a rendere fragile il mercato del lavoro e, di conseguenza, tenere inchiodate le retribuzioni. Il tutto si riflette ovviamente sull’inflazione, che a sua volta resta ben al di sotto delle aspettative, costringendo le banche centrali a politiche di sostegno.
Insomma, un cul de sac, di cui non si vede la fine. Prosegue infatti il rapporto del Fmi: “Malgrado politiche monetarie accomodanti possano aiutare a sostenere la domanda e ad abbassare i tassi di disoccupazione, la crescita dei salari potrebbe continuare a restare contenuta fino a quando l’occupazione part-time involontaria calerà o il trend della crescita della produttività accelererà”. Dunque, anche “i tassi dell’inflazione resteranno bassi a meno che la crescita dei salari acceleri in modo sostenuto, oltre quella della produttività”. Per questo, capire le reali debolezze del mercato del lavoro al di là del tasso di disoccupazione “sarà importante nel determinare il ritmo appropriato dell’uscita delle banche centrali dalle politiche monetarie accomodanti”.
N.P.
