“La Cisl non ha mai avuto un atteggiamento pregiudiziale nei confronti dell’autonomia differenziata. Se attuata correttamente può apportare un miglioramento qualitativo e quantitativo dei servizi. Ma il loro trasferimento non può mai compromettere la coesione sociale e l’unità del Paese. Questo lo abbiamo affermato in un’audizione formale in Commissione Affari Costituzionali a maggio 2023”. È questa la visione della Cisl sulla riforma dell’autonomia differenziata espressa dal segretario confederale Ignazio Ganga. Una visione non “apocalittica”, a differenza di altre posizioni assai diffuse, ma improntata comunque a un principio di prudenza. E con diversi ‘’paletti’’.
Segretario, quali sono dal vostro punto di vista i criteri per realizzare una giusta autonomia differenziata?
La solidarietà, la cooperazione e la sussidiarietà di tutti i livelli costituzionali coinvolti. L’autonomia deve tradursi in maggiore responsabilità nella gestione delle risorse per determinare servizi più vicini ai territori ed essere un supporto per quelli in difficoltà. Bisogna evitare che da questa riforma nascano regionalismi forti, centralizzati, che diano poco spazio ai comuni o alle autonomie locali.
In merito al DDL Calderoli che posizione avete esattamente?
Il primo articolo del disegno di legge contiene un’impostazione di principio molto importante sulla quale la Cisl ha insistito molto: l’attuazione dell’autonomia è subordinata alla definizione ed al relativo finanziamento dei Lep, i Livelli essenziali di prestazioni. Abbiamo apprezzato che il Governo abbia ampliato i tempi per la loro definizione perché si tratta di un passaggio cruciale, che non può essere derubricato frettolosamente. Attraverso i Lep, da definire in base a fabbisogni e costi standard, si garantisce a ogni cittadino e in ogni parte del territorio nazionale l’accesso allo stesso servizio e alla stessa qualità. È nei Lep che si mantiene viva la coesione territoriale e sociale. Altro aspetto, non secondario, è come questi vanno stabiliti. Noi crediamo sia necessario far ricorso alla legge delega o a quella ordinaria, lasciando da parte il Dpcm. Questo approccio consente infatti maggiori spazi di confronto, sia nell’ambito parlamentare, sia con le parti sociali.
Quali altri elementi sono importanti per la Cisl?
Il parlamento deve essere centrale nel percorso di riforma. È per noi molto importante una “parlmentarizzazione” delle intese, nelle quali decidere poi quali competenze ogni regione vorrà richiedere. Un processo che inizialmente era pensato come un semplice confronto bilaterale tra la regione e gli Affari regionali o, al massimo, la Presidenza del Consiglio dei ministri.
La riforma può avere ripercussioni sulla scuola, il mondo del lavoro o la contrattazione?
Sull’istruzione la Cisl ha posto una particolare attenzione perché è un tema estremamente delicato. Secondo l’articolo 117 della Costituzione, alcuni aspetti dell’istruzione sono di competenza esclusiva dello stato, come le norme generali e l’organizzazione. Altre sono concorrenti con le regioni. Bisogna evitare che si vada verso un regionalismo eccessivamente spinto, che metta a repentaglio l’uniformità nazionale del sistema scolastico o l’universalità del contratto collettivo. Riguardo al mondo del lavoro, un’autonomia differenziata che preserva l’unità territoriale e sociale deve anche evitare disparità che possono acuire le differenze regionali, allargando il divario tra le più ricche e le più povere.
Ha senso parlare oggi di autonomia differenziata, visto che su molte materie c’è un trasferimento dai singoli stati a quello europeo, e alcune sono così strategiche, penso ad esempio all’energia, che non è pensabile avere 21 politiche energetiche diverse?
Guardi, credo su alcuni temi strategici non ci debba essere il rischio di una dispersiva parcellizzazione. Questo perché la stessa impostazione del Pnrr è fortemente centralizzata, soprattutto per alcune materie cruciali, compresa l’energia.
Alla fine, però, dove si trovano le risorse per attuare l’autonomia differenziata?
Questo è certamente punto complesso, che richiede approfondimento e anche competenze specifiche per essere affrontato. Ovviamente non si può ridurre tutto a slogan da campagna elettorale, e vede che nel dibattito c’è poca attenzione. Non possiamo pensare che lo Stato, visto anche il nostro elevato debito pubblico, possa farsi carico di tutto. E su questo punto il ministro Giorgetti è stato abbastanza chiaro.
Ma non c’è il rischio che uno Stato troppo indebolito sul piano fiscale non sia più in grado di garantire politiche economiche e sociali, o che Roma sia costretta a mettere continuamente mano al portafoglio per garantire i Lep in quelle regioni che arrancano con i propri gettiti fiscali?
Proprio per questo i principi di coesione e solidarietà non devono venire mai meno: la perequazione tra le regioni non può mancare. Questa può garantire la sostenibilità economica della riforma ed evitare che ci siano disparità territoriali nell’erogazione dei Lep”.
Tommaso Nutarelli