“I dati di oggi dell’Inps sui divari retributivi di genere indignano, ma solo chi vive su Marte può stupirsi: le donne guadagnano meno degli uomini perché, nei fatti, pagano con le loro retribuzioni, e con le loro future pensioni, l’assenza di servizi di conciliazione adeguati”. Cosi Ivana Veronese, segretaria confederale della Uil, commenta i dati presentati oggi nel bilancio sociale dell’Istituto nazionale di previdenza.
“Le donne sono quasi i due terzi degli occupati part-time, non perché lo scelgano davvero, ma perché i ruoli di genere nella nostra società ancora comportano una distribuzione totalmente iniqua del carico di cura tra uomini e donne. Così – ha sottolineato Veronese – se nella famiglia c’è una qualunque esigenza legata alla cura dei suoi componenti, la risposta, purtroppo, non la si trova nel welfare pubblico – ad esempio, tramite asili nido, tempo pieno nelle scuole, servizi integrati per i periodi di chiusura delle scuole, ma anche assistenza agli anziani o a familiari con disabilità – ma nel tempo delle donne. Tempo che viene sottratto al lavoro, al quale le donne rinunciano completamente o in parte”.
“I dati pubblicati oggi – ha proseguito la sindacalista – sono tanto più importanti perché non considerano il gap salariale su base oraria, che pure c’è ed è anch’esso prova di una discriminazione sistemica, ma sulla media delle retribuzioni giornaliere: ci obbligano, dunque, a riflettere sull’attuale distorsione nell’utilizzo del part-time e sul suo ruolo nell’impoverimento del lavoro femminile.
Ricordiamocene anche quando leggiamo i dati sull’aumento dell’occupazione femminile, comunque inferiore rispetto agli altri Paesi Ue: le donne, e il nostro Paese tutto – ha concluso Veronese – hanno bisogno di occupazione di qualità, di lavoro dignitoso, di non dover scegliere tra la famiglia e la propria indipendenza economica”.



























