Il tema dell’autonomia differenziata continua a essere una delle questioni al centro dell’agenda politica. Il nuovo esecutivo giallo-rosso vi ha infatti dedicato un punto specifico del programma di governo. Continua soprattutto la bagarre tra le varie regioni, con Veneto e Lombardia che chiedono maggiori competenze, e con l’Emilia-Romagna che, invece, presenta la sua proposta come la più equilibrata, senza che vada a intaccare l’unità nazionale. Nel abbiamo parlato con Luigi Giove, segretario generale della Cgil dell’Emilia-Romagna.
Giove, cambia la maggioranza politica ma il tema dell’autonomia differenziata continua sempre a tenere banco. Secondo lei ci può essere una svolta con il nuovo esecutivo?
C’è un elemento di discontinuità significativo rispetto alla precedente maggioranza. Nel programma del nuovo governo si richiama a una precisa perimetrazione dell’autonomia differenziata, all’interno del titolo V e all’articolo 116 della Costituzione. Una perimetrazione che definisca i livelli essenziali di prestazione, i fondi perequativi, il tutto all’interno di una cornice che salvaguardi l’unità nazionale. Si tratta di un’impostazione che noi condividiamo. La questione dell’autonomia non può essere affrontata da ogni regione singolarmente, me deve essere inserita all’interno di un discorso di carattere nazionale.
Come valuta la proposta del presidente Bonaccini?
La proposta del presidente Bonaccini è una buona base da cui partire, anche se contiene delle ombre. È giusto che l’istruzione non venga regionalizzata, tuttavia non condividiamo affatto l’idea che la dotazione di personale aggiuntivo, per far fronte ai bisogni, sia in mano alla regione. In questo modo si creerebbe un bug all’interno del sistema. Questi lavoratori avrebbero, ad esempio, accesso alla mobilità nazionale? Probabilmente no. Questo comporterebbe anche a una violazione dei diritti di questi lavoratori. Poi per altri aspetti, come il diritto allo studio, l’edilizia scolastica e universitaria, è bene che ci siano dei fondi a disposizione della regione. Anche perché, al momento, ci troviamo in una sorta di limbo. Infatti, molte di queste competenze sono in mano alle province, ma queste sono state svuotate di qualsiasi capacità di spesa.
Per quanto riguarda il mondo del lavoro, in che cosa sarebbe utile avere una maggiore autonomia?
Per attuare una migliore integrazione tra politiche attive e passive, così come per la gestione degli strumenti di sostegno al reddito, che si tratti di Naspi o di reddito di cittadinanza. In questo modo infatti sarebbe possibile rispondere con più puntualità ai bisogni dei lavoratori, grazie anche a una maggiore conoscenza del mercato del lavoro. C’è poi la questione delle crisi aziendali. Non tutte infatti arrivano alle orecchie del Mise. Se fosse possibile una gestione regionale si potrebbe intervenire prima che le cose peggiorino in modo irreparabile. L’Emilia-Romagna, già dal 2015, aveva creato un’agenzia regionale per il lavoro, ma se mancano i fondi si buon fare ben poco.
Lombardia e Veneto continuano rigettare il modello emiliano-romagnolo, portando avanti il proprio modello. Come si può uscire da questa impasse?
Il progetto dell’autonomia differenziata, con alcune limitate competenze, può essere portato avanti sole se si tratta di un progetto applicabile a tutte le regioni, da nord a sud. Le proposte di Lombardia e Veneto sono costruite solo a loro immagine e somiglianza. Per di più la proposta del Veneto ha dei forti tratti secessionisti.
Come dovrebbe essere condotta tutta la discussione sul tema dell’autonomia?
Riportandola all’interno di una cornice nazionale e non esclusivamente regionale, attraverso la conferenza stato-regioni e con una legge quadro in parlamento che possa definirne i contenuti e i confini. Poi va garantita l’universalità dei diritti attraverso la definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni ed infine mantenendo la coesione nazionale mediante i necessari fondi perequativi.
Tommaso Nutarelli