di Francesca Novelli – Ufficio stampa Ugl
Quando il ministro del Welfare ha annunciato l’indizione di un tavolo in occasione della terza Conferenza europea sulla Responsabilità sociale, svoltasi a Venezia il 14 novembre, l’Ugl ha risposto subito sì. Una risposta convinta, peraltro già espressa in altre occasioni, che non intendeva manifestare semplicemente un’opinione favorevole nei confronti della Csr, ma garantire l’impegno dell’organizzazione. A fronte, però, di un coinvolgimento reale del sindacato sul tema, che tuttavia, fino ad oggi, si può annoverare soltanto tra le buone intenzioni del ministro.
Per l’Ugl, infatti, la responsabilità sociale rappresenta uno dei pilastri dello sviluppo sostenibile, insieme, se non dopo, alla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese.
Però, i principi da soli non bastano a convincere tutti, serve ben altro. Occorre soprattutto fornire maggiori informazioni alle aziende che aspirano (ma anche a quelle che per ora non aspirano) a fare dell’etica l’elemento strategico della propria attività economica, e allo stesso tempo garantire una maggiore protezione dei diritti dei lavoratori e dei cittadini. Proprio ciò che ancora manca. Innescare il circolo virtuoso di una società più responsabile implica, a giudizio dell’Ugl, qualcosa in più di un incoraggiamento o di una spontanea adesione ad un progetto, soprattutto se ambizioso. Quello del ministero del Welfare in effetti rappresenta una novità importante. Da un primo livello in cui viene attivato un meccanismo di promozioneinformazione, si passa ad un secondo che dalle buone intenzioni intende passare ai fatti, con la previsione di una complessa procedura di autovalutazione della propria rispondenza ai principi della Csr. Fin qui, dunque, tutto bene.
Ma, a questo punto, occorre fare un richiamo alla realtà. A cominciare sia dagli ostacoli rilevati dalla Commissione Ue, che impediscono una più ampia diffusione della responsabilità sociale delle imprese, arrivando poi a verificare quelli italiani. A livello europeo, si riscontra la difficoltà (solo per citarne una) a fare comprendere un concetto fondamentale, cioè che esiste un nesso strettissimo e provato tra l’essere responsabili socialmente e il (sicuro e duraturo) conseguimento di un rendimento economico. Con l’invito ad aprire gli occhi sulla realtà italiana, invece, l’Ugl teme che i meccanismi previsti per superare gli ostacoli o per diffondere la cultura della responsabilità sociale sia nel Libro Verde europeo che nel progetto italiano, si avvalgano di un approccio troppo morbido.
Nel nostro Paese esiste infatti un ostacolo più difficile da sormontare rispetto a quello richiesto dalla responsabilità sociale delle imprese, e cioè la necessità di “andare oltre la legge”. Tale espressione ha un significato ben preciso, ovvero che per essere socialmente responsabili non basta rispettare la legge ma fare molto di più. Questo concetto, nella nostra lingua, si presterebbe invece a diversi significati, troppo simili ad una temutissima pratica, quella cioè di “eludere la legge”. Basti considerare due elementi: gli ultimi dati sul lavoro sommerso (un lavoratore su cinque è in nero) o le vittime da bollettino di guerra causate dalla mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro. Sarebbe sbagliato imputare certi comportamenti soltanto a chi gestisce piccole realtà produttive. Allargando l’orizzonte, è noto che in Italia si tende ad interpretare con eccessiva arbitrarietà leggi che, oltre alle regole, prescrivono garanzie a difesa dei cittadini. A volte è lo stesso Stato che, quando legifera, come ha fatto per l’abolizione del falso in bilancio o come fa ora concedendo il condono tombale, certamente non incoraggia le cosiddette buone prassi.
Insomma, il punto è questo: serve in Italia, prima di tutto, una rivoluzione all’insegna dello slogan “essere in regola è bello”. In una fase successiva può funzionare sicuramente l’indicazione di un obiettivo più alto e ambizioso, condiviso da molti e non da pochi. Ma solo in un’ottica di sistema, l’unica che possa creare un valore aggiunto, un salto di qualità tra il rispetto del diritto del lavoro, del diritto societario, delle norme fiscali e di quelle sulla sicurezza nei luoghi di lavoro con l’ “andare oltre la legge”. Proprio ciò che si spera possa emergere dal tavolo del ministro Maroni. Altrimenti le aziende in cui si opera responsabilmente potrebbero comporre un arcipelago di isole bellissime ma lontane tra di loro. Che, come tutti gli arcipelaghi da sogno, saranno difficili e costosissime da raggiungere.