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Home - Approfondimenti - Analisi - Il decreto di San Valentino e la stagione della concertazione – 1° puntata

Il decreto di San Valentino e la stagione della concertazione – 1° puntata

di Leonello Tronti
4 Marzo 2021
in Analisi
Il decreto di San Valentino e la stagione della concertazione – 1° puntata

Roma - 23 gennaio 1983 - firma sul costo del lavoro. Da sinistra Pierre Carniti (secondo), Luciano Lama (terzo) e Giorgio Benvenuto (quarto)

  1. L’84: la scommessa perduta dell’unità sindacale

La maturazione del decreto di San Valentino costituisce per la storia del sindacato confederale un preciso punto di crisi. Più di dieci anni prima, il 3 luglio 1972, CGIL, CISL e UIL avevano siglato a Roma il patto federativo che portò alla nascita della Federazione unitaria, con l’impegno di agire in modo quanto più possibile autonomo dai partiti politici. Nell’ottobre dello stesso anno l’assemblea nazionale dei delegati metalmeccanici aveva fondato la Federazione Lavoratori Metalmeccanici (FLM) con organismi e sedi unitarie a ogni livello, dando vita all’esperienza sindacale che portò avanti in modo più completo l’esperienza unitaria. Tuttavia, se per tutti gli anni ’70 La Federazione CGIL-CISL-UIL garantì la gestione unitaria delle principali vicende sindacali, l’unità però non resse negli anni ’80, in particolare in occasione della promulgazione da parte del governo di Bettino Craxi del decreto-legge di San Valentino, che sanciva la predeterminazione della scala mobile.

All’inizio degli anni ’80, alimentata da ripetuti shock di prezzo del petrolio e delle materie prime e tenuta in quota dal meccanismo infernale della scala mobile riformata nel 1975[1], l’inflazione decimava il potere d’acquisto di chi era privo di scudi protettivi o potere di mercato: disoccupati e piccoli rentier, piccoli proprietari di immobili affittati e di titoli pubblici, piccoli negozianti, professionisti e imprenditori privi di potere di mercato, lavoratori autonomi. La ricetta monetarista e la saggezza convenzionale basata sulla curva di Phillips convenivano nel combattere l’inflazione con la restrizione dell’offerta di moneta. Chiudendo i rubinetti del credito alle imprese si lasciavano fallire quelle più fragili, rendendo disoccupate schiere di lavoratori e ricomponendo, in teoria, l’esercito industriale di riserva fino ad arrestare la pressione salariale con l’assenza di lavoro, l’impoverimento delle famiglie, lo scoraggiamento di chi cercava lavoro.

Per Ezio Tarantelli, che in quegli anni aveva lasciato il Servizio Studi della Banca d’Italia per dedicarsi alla sua proposta di governo concertato dell’economia all’Università e all’Isel, l’Istituto per gli Studi dell’Economia del Lavoro che Pierre Carniti aveva creato per lui, l’inflazione andava combattuta in tutt’altro modo che con “la corda del boia” della stretta monetaria. Oltre a essere caratterizzata dall’effetto perverso di consolidare l’inflazione importata a causa del suo disegno backward-looking, la scala mobile era per Tarantelli un meccanismo rigido e, sotto il profilo politico, caratterizzato da un automatismo che non aiutava affatto i lavoratori a guadagnare “l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, come indicato dall’articolo 3 della Costituzione italiana. Egli intravedeva invece, nella necessità inderogabile di abbattere l’inflazione, una straordinaria opportunità di dare applicazione concreta al grande consenso sociale conquistato dal movimento sindacale nei decenni precedenti: un consenso divenuto ormai a tutti gli effetti potere di opinione e politico, come evidenziato dall’istituzione della Federazione unitaria CGIL-CISL-UIL[2]. Il sindacato italiano aveva raggiunto una maturità tale da consentirgli l’accesso alla “stanza dei bottoni”, prendendo parte attiva alla programmazione dell’inflazione e, con essa, della politica dei redditi, attraverso il coordinamento delle dinamiche salariali con gli obiettivi e i comportamenti di risanamento degli altri attori della politica economica. Questi potevano essere negoziati e condivisi secondo un modello “neocorporatista”, di “partecipazione dall’alto”, che combinava e interpretava in modo inedito e creativo gli articoli 46 e 3 della Costituzione.

Ai fini del disegno di un modello originale di relazioni industriali, l’alta inflazione non costituiva soltanto un motivo di grave preoccupazione per la tenuta delle condizioni degli strati sociali non protetti, ma anche un’occasione senza precedenti per evidenziare l’importanza del sindacato come partner del governo e delle imprese nel perseguimento non solo di obiettivi di risanamento ma anche di sviluppo economico e sociale. Sul tavolo della concertazione, infatti, il sindacato poteva porre la disponibilità a prendere parte, con la moderazione delle richieste salariali, a una manovra di disinflazione dell’economia perseguita congiuntamente da Governo (su tariffe, prezzi amministrati e fisco), imprese (sui prezzi di beni e servizi) e banca centrale (sull’offerta di moneta), chiedendo in cambio – nella logica di uno “scambio politico” win-win, capace di migliorare le posizioni di tutti i contraenti – modifiche favorevoli ai lavoratori nel fisco, nelle politiche del lavoro, nella protezione sociale. L’allora crescente attenzione degli economisti per la teoria delle aspettative razionali sosteneva Tarantelli nel ritenere che anche il solo annuncio di un impegno comune a perseguire congiuntamente gli obiettivi di disinflazione concordati avrebbe indotto negli agenti economici attese e comportamenti coerenti, agevolando il processo di aggiustamento.

Non tutto il sindacato però, e soprattutto non tutta la politica, erano pronti a sposare questo disegno[3]. Resisteva nella sinistra più accesa la paura esplicita di una “svendita”, di una rinuncia senza contropartite alla copertura automatica dei salari dall’inflazione passata, mista al timore che il sindacato non fosse pronto ad assumere responsabilità dirette nella gestione della manovra economica. Ma per Tarantelli e per la componente sindacale che ne condivideva il disegno (anzitutto Carniti e Benvenuto, ma anche la componente socialista della CGIL e, almeno in parte, lo stesso Lama), si trattava di organizzare un possibile “scambio politico”: rinunciare agli aumenti automatici in busta paga in cambio della predeterminazione concertata della crescita salariale e, con essa, del controllo dell’inflazione, e quindi della capacità di incidere sulle scelte macroeconomiche, sulla distribuzione del reddito e sull’accumulazione. Un passaggio cruciale che avrebbe potuto preparare la possibilità di concertare i modi e i tempi di produzione, la politica industriale e l’organizzazione stessa della società.

In realtà, data l’inflazione montante e lo stallo in cui si trovava la politica all’indomani della fase della “solidarietà democratica”, il tema dello scambio politico non era una vera novità. Con l’assemblea dei quadri tenutasi all’Eur a Roma nel 1979, CGIL, CISL e UIL avevano già fatto la scelta concorde della moderazione salariale e della flessibilità nell’organizzazione del lavoro, che doveva essere scambiata con una ripresa dello sviluppo e degli investimenti. E in questa linea, il 22 gennaio 1983 Enzo Scotti, ministro del Lavoro del governo Fanfani, aveva portato alla firma delle confederazioni sindacali un protocollo di intesa che costituiva il primo esempio di patto sociale condotto in porto: si riduceva il valore del punto di scala mobile, si concedevano gli straordinari obbligatori, si dava il via ai contratti di formazione lavoro.

Su queste basi l’anno successivo, con il governo Craxi e con De Michelis ministro del Lavoro, dopo lunghe trattative i sindacati giungono il 7 febbraio in prossimità della firma di un nuovo e più complesso impegno tripartito che, secondo la lezione di Tarantelli, comporta la predeterminazione della scala mobile nel quadro di un processo di disinflazione concertato trilateralmente. Ai lavoratori è chiesta la rinuncia nel 1985 a quattro scatti rispetto a quanto dovuto per l’inflazione passata, a fronte di una corposa contropartita fatta di provvedimenti fiscali e sterilizzazione del drenaggio fiscale, governo delle tariffe, dei prezzi e dell’equo canone in linea con l’obiettivo di inflazione, innovazioni per il mercato del lavoro e contratti di solidarietà, nuovi strumenti di politica industriale e interventi nei settori e nelle aree di crisi, istituzione del fondo di solidarietà, programmi per l’occupazione giovanile (in particolare nel Mezzogiorno), misure per la sanità e indicizzazione degli assegni familiari, provvedimenti per il pubblico impiego.

Ad accordo praticamente concluso, il partito comunista impone però alla CGIL l’arresto: se CISL e UIL avevano ricevuto dai propri organi mandato per la firma, e Ottaviano Del Turco dichiara l’assenso della componente socialista della CGIL, Luciano Lama deve invece annunciare che la maggioranza della CGIL è contraria al patto, tanto da non ritenerne utile alcuna modifica. Più che tecniche, sull’efficacia delle misure convenute ai fini della disinflazione in tutela del potere d’acquisto delle retribuzioni, le motivazioni di Enrico Berlinguer, che da segretario del PCI ha richiamato Lama alla disciplina di partito, sono essenzialmente politiche: poiché il sindacato non è un soggetto politico autonomo, non è autorizzato a trattare accordi di politica economica direttamente con il Governo, a maggior ragione senza che questo abbia ricevuto in tal senso un esplicito mandato dal Parlamento.

Nonostante il rifiuto della CGIL e a fronte del fallimento di ogni tentativo di difesa dell’unità tra le Confederazioni da parte della corrente socialista della CGIL, la CISL e la UIL confermano l’approvazione dell’accordo. E il Governo decide di andare avanti lo stesso: il 14 febbraio trasforma in decreto-legge l’accordo separato con il quale la CISL, la UIL, Confindustria e tutte le associazioni imprenditoriali, comprese le cooperative e lo stesso Governo, convengono sulla necessità di predeterminare la scala mobile come elemento irrinunciabile del processo di disinflazione dell’economia, segnando così un sostanziale passo avanti sulla strada della sua abolizione. Il deflatore dei consumi delle famiglie, che nel 1980 aveva raggiunto un tasso annuo di crescita del 21,7%, nel 1984 è all’11,5% e l’anno dopo scenderà sotto le due cifre, continuando a ridursi fino a raggiungere nel 1987 il 5,3%.

Dodici anni di unità sindacale saltano in aria. L’esperienza della Federazione unitaria giunge ad esaurimento in una situazione di forte tensione all’interno del mondo sindacale. La diversità di vedute di lì a poco diventa di dominio pubblico. Nel momento in cui il pentapartito guidato da Craxi (DC, PSI, PSDI, PRI, PLI) lancia una massiccia offensiva a difesa della riforma, il PCI guidato da Berlinguer convoca le forze contrarie alla riforma arrivando all’ostruzionismo in Parlamento e viene indetta, autoconvocata dalle forze politiche e sindacali contrarie al decreto, una manifestazione che vede a Roma più di 700 mila partecipanti. Berlinguer a quel punto si fa promotore di un referendum popolare per abrogare il decreto. Non ne vedrà però l’esito, perché colpito da un ictus verrà a mancare a giugno. Il 27 marzo dell’anno seguente, poco prima del referendum, morirà anche Tarantelli, assassinato dalle Brigate Rosse.

Pochi giorni dopo, il 9 e 10 giugno 1985, al referendum vince il no e la mancata abrogazione del decreto di San Valentino segna la più grande sconfitta subita dalla maggioranza della CGIL e dal Partito comunista nella storia repubblicana. Un mese dopo Carniti lascia la CISL; per problemi di salute, ma forse ancor più perché non se la sente di impegnarsi a ricostruire daccapo quell’unità sindacale alla cui edificazione aveva dedicato tanto impegno prima nei metalmeccanici e poi nella confederazione, e che si era così brutalmente lacerata. Poco dopo, anche Lama lascia la CGIL.

Nel 1986 la scala mobile viene riformata e semestralizzata; nel 1990 Confindustria (presidente Pininfarina) la disdetta comunque. In un primo momento il Governo Andreotti ottiene il ritiro del provvedimento, ma il meccanismo di salvaguardia automatica del salario reale verrà disdettato definitivamente l’anno seguente. I buoni risultati ottenuti nella disinflazione, che tuttavia continua a richiedere un governo severo dell’offerta di moneta, avviano l’era della concertazione, che verrà istituzionalizzata con l’accordo del 23 luglio 1993. (Fine prima puntata/ segue)

Nota: Il testo qui pubbicato è parte di un lavoro che è stato pubblicato per intero in  Aa. Vv. (2020), UIL 1950-2020. La nostra storia studiata, Arcadia Edizioni, Roma, pp. 137-150.


di Leonello Tronti (Università degli Studi Roma Tre)

[1] Sul dibattito tecnico e politico intorno al legame tra scala mobile e inflazione, si veda Pierre Carniti, “Passato prossimo. Memorie di un sindacalista d’assalto, 1973-1985”, Castelvecchi, Roma 2019, pp. 121-139. II punto centrale è se davvero, in quel periodo, il salario fosse “indicizzato al 100 e più”, come volevano tra gli altri Franco Modigliani e Tommaso Padoa Schioppa, La politica economica in una economia con salari indicizzati al 100 e più, in Moneta e credito, Vol. 30, n. 117 (1977) – ovvero se l’inflazione traesse origine dalla dinamica salariale –, oppure se essa fosse causata esogenamente dagli shock di prezzo del petrolio e delle materie prime, e trovasse nella trasmissione ex post dell’impulso inflazionistico ai salari, e dunque nella creazione di aspettative inflazionistiche oltre il momento dello shock stesso, la principale ragione della sua persistenza nel tempo (Ezio Tarantelli, “La forza delle idee. Scritti di economia e politica”, Laterza, Roma-Bari, 1995.

[2] Si vedano soprattutto Ezio Tarantelli, “Il ruolo economico del sindacato. Il caso italiano”, Laterza, Roma-Bari, 1978, e l’opera fondamentale “Economia politica del lavoro”, Utet, Torino, pubblicata postuma nel 1986. Un’ottima ricostruzione del pensiero dell’economista è poi quella realizzata da Giovanni Michelagnoli, “Ezio Tarantelli – Economic Theory and Industrial Relations”, Springer, Berlin, 2012, mentre sulla figura umana e sulla sua vicenda sono imperdibili le opere realizzate dal figlio Luca Tarantelli (il libro “Il sogno che uccise mio padre. Storia di Ezio Tarantelli che voleva lavoro per tutti”, Rizzoli, Milano, 2013), o da lui promosse (il documentario di Monica Repetto, “Ezio Tarantelli. La forza delle idee”, Deriva Film, Roma, 2010).

[3] Il fondamentale lavoro di ricostruzione in dettaglio della vicenda del decreto è quello contenuto nei due volumi di Giorgio Benvenuto e Antonio Maglie, “Il divorzio di San Valentino. Così la scala mobile divise l’Italia”, Bibliotheka Edizioni, Roma, III edizione 2016.

Leonello Tronti

Leonello Tronti

Università degli studi Roma Tre

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