E lo spread? Lunedì mattina, i tassi di rendimento sui titoli pubblici italiani a 2, 5 e 10 anni erano tutti bruscamente impennati verso l’alto. Uno scatto passeggero di nervi del mercato, forse. Oppure, i primi segni di una frana in vista, in una situazione assai precaria. Finora, infatti, Bot e Btp sono stati abbastanza al riparo dagli scossoni che venivano dal mondo della politica: la minaccia di una procedura d’infrazione europea, con conseguente commissariamento del governo italiano; le sferzanti risposte a Bruxelles dei due padroni di Palazzo Chigi; l’annuncio di nuovi tagli fiscali a pioggia; la polemica sui mini-Bot e su una valuta parallela all’euro. Gli operatori hanno assorbito questa gragnuola di cattive (per la stabilità italiana) notizie, senza accenni di panico. Probabilmente, tanta olimpica serenità è il riflesso di un fenomeno che i tecnici chiamano “caccia al rendimento”. Fino a qualche mese fa, gli operatori si aspettavano che le banche centrali proseguissero nello sforzo di normalizzazione post-crisi, spingendo verso l’alto i tassi d’interesse. Il rallentamento dell’economia mondiale, sulla scia delle guerre commerciali, ha rovesciato l’ipotesi. Negli Usa, come in Europa, si va verso un allentamento della politica monetaria. Ecco, allora, che in un panorama globale di rendimenti che tendono a zero, i titoli italiani (oltre il 2,50 per cento per i decennali, fra i grandi paesi d’Occidente nessuno offre di più) diventano appetitosi. E, dove non arrivano gli investitori esteri, provvedono le banche nazionali che, dicono gli ultimi dati, hanno ripreso ad imbottirsi di titoli di Stato.
È una situazione estremamente fragile. Sia perché il limite prudenziale entro il quale le banche italiane possono rastrellare titoli del Tesoro non è infinito (se le quotazioni cadessero, si troverebbero con il patrimonio devastato). Sia perché la caccia al rendimento si interrompe, quando il rischio diventa tanto grosso che il rendimento diventa elusivo. Altri indicatori di mercato – come il costo delle assicurazioni contro un default italiano, i credit default swap – mostrano che questa percezione di rischio si va facendo strada. Stiamo, insomma, camminando su un crinale molto sottile: il precipizio che guardiamo è quello di una perdita di controllo dei mercati, che farebbe saltare il banco dei conti pubblici.
Tanto più inquietante, allora, la disinvoltura con cui i responsabili della politica italiana ballano sull’orlo di questo precipizio. Paradossalmente, ad allarmare non sono tanto gli scontri fra i due governi (quello Conte-Tria e quello Salvini-Di Maio) sulle risposte da dare all’Europa o proposte costose come la flat tax. E neanche la tranquillità con cui Salvini ipotizza di sfondare i limiti di disavanzo sanciti nei trattati europei. In qualche modo, siamo già passati per questi effetti teatrali: tutti, in Europa, sono convinti che, con un po’ di buona volontà e qualche compromesso, sia pur doloroso, le promesse elettorali verranno accantonate e, da qui a settembre, un accordo – per quanto pasticciato – possa essere trovato. Per dirlo in due parole: non facile, ma possibile.
Il problema che cominciano a porsi in Europa è un altro: è davvero questo che vuole Roma? Il dubbio non lo alimenta Salvini, ma il lavoro ai fianchi che, sparito dalla scena Paolo Savona, compiono due economisti campioni di euroscetticismo: Alberto Bagnai e Claudio Borghi. Posseduti da una furia iconoclasta, i due (presidenti di commissione, rispettivamente, alla Camera e al Senato) martellano con regolarità i pilastri su cui si regge la credibilità europea dell’Italia e, più specificamente, il sistema dell’euro. Prima, con la tentazione di mettere le mani sull’oro della Banca d’Italia, ora con la similmoneta dei miniBot, che nonostante gli altolà di Draghi e i “non possumus” di Tria, sta inevitabilmente facendo il giro dell’opinione pubblica internazionale, come, forse, deliberatamente volevano i proponenti.
L’idea di distribuire titoli del Tesoro (sostituendo debito con debito) a chi vanta crediti verso lo Stato, perché ci paghi le tasse, non ha senso. Invece di mettere in moto le presse della Zecca, per sanare, con un lungo, superfluo, giro le pendenze della pubblica amministrazione, si può procedere rapidamente con un meccanismo di compensazione, come già si fa serenamente in altri comparti del sistema fiscale: i crediti certificati verso lo Stato possono essere scontati nel pagamento delle imposte future. Stop. Del resto, se il problema, come dice Giorgetti, fosse il pagamento dei debiti della P.A. a cosa servono i titoli di piccolo taglio, di 50 o 100 euro? Quali imprese hanno crediti per 100 o 150 euro verso lo Stato? E, ove fosse, questa morosità di 100 euro non costituirebbe certo un problema per l’economia.
È trasparente l’intenzione di mettere in circolazione una moneta parallela all’euro. Se sembra un’anatra e fa quack come un’anatra, dicono gli americani, è un’anatra. Se sembra una moneta (con tanto di verso, figure e bollo), non porta interesse e può essere liberamente scambiata, è una moneta. È semplicemente impossibile non vedere nei miniBot il primo passo tecnico (la nuova valuta) per preparare l’Italexit, l’uscita dell’Italia dalla (non a caso) moneta unica.
Come per altre sortite del duo Bagnai-Borghi, probabilmente non ci sarà un seguito concreto. Ma, forse, neanche loro se lo aspettano. In tutta questa storia, la cosa più allarmante, infatti, è (oggigiorno sembra inevitabile) un tweet. Ecco, dunque, Alberto Bagnai – candidato, non lo dimentichiamo, a diventare ministro degli Affari europei al posto di Savona – spiegare, su una prestigiosa tribuna internazionale come l’agenzia Bloomberg , che dietro i miniBot non c’è assolutamente nessun disegno di valuta parallela. Subito dopo, chiuso l’altoparlante verso il mondo, Bagnai si spiega con i suoi follower euroscettici su Twitter: “Immagino dei giocatori di bowling osservare una partita a scacchi. La loro prima riflessione sarà: Ma, cazzo! Hanno i birilli a portata di mano! Che ci vuole a rovesciarli tutti con una manata? Quanta pazienza ci vuole, amici miei…”
Improbabile –a stare al tweet – che Bagnai abbia mai giocato a bowling o a scacchi. Ma quello che sta giocando davvero è un gioco molto pericoloso.
Maurizio Ricci