Ripensare il futuro tra innovazione e umanesimo: è questo il senso del convegno che si è tenuto a Roma, organizzato dalla Pontificia Università della Santa Croce, con un titolo suggestivo: “Il lavoro che verrà: scuole, università e imprese. Dialogo tra innovazione scientifica e riflessione umanistica”. Obiettivo, cercare di rispondere a domande oggi fondamentali per comprendere i risvolti futuri del mercato del lavoro e i cambiamenti che l’essere umano dovrà affrontare. Al centro del dibattito, che ha visto protagoniste voci del mondo accademico, delle istituzioni e delle imprese, due interrogativi di base: “Che lavoro faranno i giovani nei prossimi dieci anni? E come si preparano a una trasformazione che non è solo tecnologica, ma cognitiva e culturale?”.
Il dialogo si è sviluppato nel tentativo di superare la sterile contrapposizione tra competenze tecniche e umanistiche, coinvolgendo i docenti Sergio Destito, dell’Università della Santa Croce e presidente del comitato organizzatore dell’evento, e Antonio Felice Uricchio, Presidente ANVUR, la segretaria generale della Cisl Scuola, Ivana Barbacci, la direttrice di USR Lazio, Anna Paola Sabatini, e la presidente AIDDA Antonella Giachetti.
Nonostante i diversi percorsi accademici, i relatori hanno fatto emergere una visione comune: ciò che ci aspetta è sempre più rivoluzionario, perciò è necessario un cambiamento qualitativo dell’intero ecosistema. Un cambiamento che è alimentato dalle quattro macro-forze riconosciute come i principali motori della trasformazione futura – ovvero tecnologia, cambiamenti demografici, cambiamenti di bisogni e consumi, cambiamenti culturali- e che, interagendo, danno origine a quel “cambiamento d’epoca” che modifica il tessuto etico, sociale ed economico, creando nuovi mestieri a fronte di altri che saranno sostituiti e intrecciandosi con sei aree altrettanto fondamentali: salute, benessere e cura; tecnologia; educazione; transizione ecologica; cultura e cittadinanza.
I dati Eurostat parlano chiaro: entro il 2050 un terzo della popolazione sarà over 65 e mancheranno 20 milioni di lavoratori. Per questo motivo, è fondamentale intervenire con un’adeguata formazione, dato che molte generazioni, anche le più recenti, hanno studiato per percorsi che i repentini cambiamenti del mondo del lavoro hanno reso parzialmente inapplicabili. Fondamentale, dunque, puntare allo sviluppo delle competenze più richieste in futuro, come il pensiero critico, il pensiero analitico, il problem solving e la curiosità. E per guidare questa transizione in modo etico e costruttivo, è essenziale promuovere un Umanesimo Digitale, unendo linguaggi analogici e digitali e integrando la filosofia e l’etica con le competenze tecniche. Non si tratta di scegliere tra umanesimo e tecnologia, ma di fonderli per formare cittadini capaci di valutare criticamente l’impatto dell’automazione cognitiva. Senza dimenticare che si è passati dall’Homo Sapiens all’Homo Extensus, ovvero un uomo potenziato dagli strumenti cognitivi che deve imparare a orchestrarli, non a esserne sostituito. Sarà importante dunque intervenire rivedendo e modificando l’offerta istruttiva, agendo sui processi formativi di innovazione didattica e migliorando il dialogo con il mondo del Terzo Settore e la Pubblica Amministrazione.
Proprio in questa direzione si muove il pensiero di Stefano Cuzzilla, Presidente CIDA, intervenuto al convegno con una relazione dedicata al tema “L’era della conoscenza aumentata. Come cambia la cultura d’impresa, l’etica, il lavoro e la formazione professionale”. Cuzzilla ha sottolineato come l’Italia debba puntare su un proprio modello di conoscenza aumentata, basato su densità culturale, creatività diffusa e artigianalità cognitiva. Se il mercato globale richiederà sintesi qualitative e contestualizzazioni profonde, ha affermato, l’Italia potrebbe trasformare una debolezza apparente in un posizionamento strategico. Approfondendo successivamente il tema con il Diario del lavoro, ha poi aggiunto: “Oggi il mondo del lavoro è in completa evoluzione. C’è una formazione continua; non è come un tempo, che imparavi un mestiere e lo portavi avanti fino alla fine della carriera, oggi c’è un cambiamento continuo, ancora di più con l’introduzione dell’intelligenza artificiale, che ci richiede tuttavia di salvaguardare anche la persona”. È proprio la persona, per Cuzzilla, che potrà giocare un ruolo importante: “il fatto di portare la creatività e l’etica diventano fondamentali per governare le macchine. Noi ci troveremo nei prossimi anni in un mondo del lavoro totalmente cambiato, dove oggi non sappiamo quali saranno i nuovi mestieri. Ma se riusciamo a realizzare una connessione che parta anche dalle scuole – cioè tra scuola, lavoro, istruzione, formazione – riusciremo a creare la nostra classe dirigente futura, che potrà adeguatamente affrontare il mondo nuovo. Ma sempre con una base principale: al centro, nel nuovo modello di impresa, ci deve essere la persona. Dobbiamo portare la società e le imprese a capire che l’inclusione della persona, e soprattutto l’inclusione del genere femminile, sono l’unica chiave vincente per avere un’impresa del futuro che possa avere successo, e per un’economia sociale che tenga.” In questo scenario, ha concluso, “la sfida non è inseguire l’algoritmo, ma governarlo con coscienza, visione e responsabilità”.
Dopo il seminario mattutino, il pomeriggio è proseguito con tre workshop improntati sul dialogo tra scuole, università e imprese, promossi dal professor Destito, che aveva concluso il suo intervento mattutino citando Roosevelt: “Non sempre possiamo forgiare il futuro per i nostri giovani, ma possiamo forgiare i nostri giovani per il futuro”. Anche Destito ha sottolineato come la scuola debba aprirsi maggiormente al mondo delle imprese, e come queste debbano essere più accoglienti. Non è sufficiente lo stage o il tirocinio; è necessario che i due settori – scuola (intesa anche l’università) e imprese – collaborino insieme, creando una sorta di coprogettazione. I progetti, anche accademici, devono nascere in modo congiunto. È evidente che la scuola e l’università debbano guidare, e che l’impresa resti il termine finale in cui sfocerà il sapere appreso, ma questi mondi devono essere intrecciati, creando un ecosistema integrato, ha affermato. Ancora, Destito ha evidenziato l’importanza dell’alleanza tra l’innovazione scientifica e la riflessione umanistica. Ovvero, non concentrare tutti gli sforzi e gli investimenti economici e sociali solo sulle STEM (Science, Technology, Engineering, e Mathematics), che pure sono importantissime, ma aprirsi anche alla riflessione umanistica, ponendo l’uomo al centro e senza trascurare l’intelligenza emotiva, che dovrebbe sempre andare di pari passo con quella artificiale, senza che quest’ultima la sovrasti.
Emidio Fornicola


























