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Home - Blog - Il presidente Conte e il paese

Il presidente Conte e il paese

di Roberto Polillo
21 Ottobre 2020
in Blog
Il presidente Conte e il paese

La sensazione sempre più netta è che il presidente Conte non riesca più a governare il paese alle prese, ormai, con una seconda ondata del COVID che, come nel gioco dell’oca, potrebbe riportarci alla drammatica situazione di marzo.

La vicenda del mancato tracciamento dei contagi è forse l’aspetto più eloquente della perdita di presa sulla realtà. Nonostante numerosi epidemiologi, e tra questi il migliore e forse per questo emarginato, il parassitologo Prof Antonio Crisanti dell’Università di Padova, avessero spiegato che la partita si sarebbe giocata sul territorio e sulla precoce identificazione dei contagi (specie se asintomatici) nulla è stato fatto per potenziare il contact tracing.

Sarebbero serviti mezzi e uomini in numero superiore alla 100.000 unità per ripetere su scala ridotta quanto realizzato con successo in Cina, Singapore e Corea del Sud, e invece si è lasciato tutto immutato adagiandosi sull’illusione che l’ondata avrebbe trovato nelle Alpi una barriera insormontabile.

Un errore imperdonabile che caro ci costerà e che ora rende il tracciamento impossibile obbligandoci a una tattica di contenimento del danno senza possibilità di agire selettivamente, anticipando il corso degli eventi. Il presidente Conte e il suo governo non hanno saputo leggere il tempo delle cose e il loro inesorabile incedere, attardandosi nell’autocompiacimento di chi avendo ricevuto lodi dai principali giornali del mondo, dal New York Times al Financial Journal si sente ora mondato dalla cattiva sorte.

Un eccesso di superbia che relegherebbe Conte nell’undicesimo canto del Purgatorio dantesco costringendolo a recitare il Padre Nostro invece delle solite litanie sui successi del governo, che spesso ci riserva a reti unificate.

Il presidente ha dunque perso smalto e la sua comunicazione diventa vistosamente meno precisa. Il suo recente attacco frontale al MES è pieno di errori ed inesattezze che oggi sul quotidiano Il Foglio Luca Angelini illustra in modo molto convincente. Una confusione tra debito, stigma e rendimenti dei nostri titoli in cui manca, stranamente, ogni richiamo alle condizionalità vere e presunte che fino a ieri erano l’unico ostacolo per richiedere l’accesso al fondo

E ancora il pasticcio sull’incremento dei posti in rianimazione. Per il presidente del Consiglio i 5179 posti letto di terapia intensiva di cui disponevamo in era pre-covid sarebbero raddoppiati, ma per il commissario Arcuri i posti attualmente disponibili sono solo 6628 a fronte degli 8288 attesi. Per Arcuri dunque mancano ancora 1600 posti e di tutto questo responsabili sarebbero le regioni che hanno presentato i piani di realizzazione in ritardo. Una ricostruzione smentita dalle regioni che rimpallano sul commissario le responsabilità, accusandolo di ingiustificati ritardi nelle pratiche di autorizzazioni.

Il governo dunque non riesce a gestire in maniera efficiente la relazione con le regioni, che di sicuro non è certo semplice ma che tuttavia è essenziale per mettere in campo azioni mirate di contrasto al contagio, preservando la funzionalità dei territori meno investiti dall’ondata epidemica.

In questo senso la decisione di responsabilizzare regioni e comuni sulle misure di contenimento della trasmissione del virus va nella giusta direzione; il fatto tuttavia non è riuscito a fugare il sospetto di uno scaricabarile con tanto di passaggio del cerino agli enti territoriali. Una strategia non priva di malizia perché avendo già diversi Presidenti di regione introdotto misure di lockdown, la responsabilità di un eventuale provvedimento con valenza urbi et orbi non potrebbe più ricadere esclusivamente sulla presidenza del Consiglio.

Il peggioramento dei dati dell’economia reale e lo scontro con il presidente di Confindustria Bonomi gettano altra benzina sul fuoco e a rilanciare la figura del premier non sono più sufficienti le agiografiche ricostruzioni della realtà che Marco Travaglio ci dispensa sul suo giornale o ormai quotidianamente sulla rete televisiva La7.

Un’ulteriore considerazione sullo stato del nostro Servizio Sanitario nazionale e delle risorse umane in esso impiegate. Anche qui poco è stato fatto; i nuovi assunti (con contratti precari) sono 35.000; una cifra che compensa a malapena le uscite per pensionamento e che non riesce ad arrestare l’emorragia di presenze che continua a investire il sistema. Carlo Palermo, segretario Nazionale ANAAO, ha pochi giorni fa dichiarato che per la manutenzione del nostro SSN occorrerebbe “assumere stabilmente 10 mila medici e 20 mila infermieri; incrementare i posti letto in terapia intensiva, sub intensiva e area medica (malattie infettive e pneumologia), globalmente almeno un 10% in più delle attuali dotazioni nel servizio sanitario pubblico, visto che siamo in coda nel rapporto per mille abitanti in Europa” Un percorso ad ostacoli perché il personale dovrebbe poi essere adeguatamente formato ed addestrato per potere operare all’interno di strutture ad altissimo impatto tecnologico.

Servirebbe dunque dell’altro che anche il Ministro della Salute, convertito sulla strada di Damasco alla santificazione dei medici consulenti usciti dalle Università cattoliche, non riesce a indicare con chiarezza. Un cambio radicale nell’organizzazione degli ospedali per favorire percorsi separati e distinti per il Covid-19 e per rinnovare il parco macchine di apparecchiature obsolete e un cambio ancora più radicale nella medicina territoriale per trasformarla da deserto assistenziale, quale è ora, in luogo di presa in carico e assistenza integrata per i pazienti con patologie croniche e non solo. Anche in questo campo il ministro Speranza ripete lo stanco ritornello sul ruolo centrale delle cure primarie, ma alle parole non fanno seguito i fatti e le decisioni prese sono sempre e soltanto un atto riparatorio a quanto già avvenuto: la chiusura della stalla dopo l’uscita dei buoi.

Migliorare la fase territoriale dovrebbe essere dunque l’obiettivo principale del governo: una serie di azioni mirate indirizzate a rafforzare i Dipartimenti di Prevenzione e i Distretti; a potenziare le cosiddette Usca organizzando il tracciamento dei contatti e incrementando il numero di tamponi a 400.000 come consigliato da Crisanti; a rivedere il ruolo del Medico di Medicina generale che continua ad essere un libero professionista ma che pretende di essere il principale maker del servizio pubblico.

Per tutto questo servirebbe un presidente del consiglio e un ministro della salute capaci di scelte coraggiose. Un coraggio che manca all’esecutivo tenuto in sella da una serie di coincidenze, in primis il COVID, senza le quali forse la coalizione rosso verde avrebbe già gettato la spugna.

Roberto Polillo

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Roberto Polillo

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