Premessa. Ho votato sì ai 5 referendum proposti dalla Cgil per due motivi. Il primo, per fedeltà a quella che considero da più di quarant’anni la mia famiglia. Il secondo, perché penso che i temi di un lavoro degno, della sicurezza e della cittadinanza siano davvero importanti. Non solo per l’oggi ma soprattutto per dare certezze e speranze al futuro dei giovani (italiani e non). Detto questo e dato il risultato negativo dei referendum (ampiamente prevedibile e previsto) ritengo sia doveroso, per gli stessi due motivi di cui sopra, aprire una riflessione sulla scelta fatta e soprattutto sulle cose da realizzare in futuro: sul dover essere del sindacato italiano. Quella dei referendum non è l’inizio semmai è la fine di un percorso.
- Domanda n. 1: il referendum, in Italia, è uno strumento normale di partecipazione politica propositiva dal basso? Assolutamente no! In Italia il referendum non è, fatti salvi quelli sul divorzio, sull’aborto e sul nucleare, un’occasione di partecipazione nazional popolare alle scelte politiche ma uno strumento molto tecnico di abrogazione di articoli di legge vigenti. Spesso difficile da comprendere e che non suscita grande entusiasmo nell’elettorato. Quindi: i temi sul lavoro erano giusti, lo strumento era sbagliato, punto.
- Domanda n. 2: in Cgil, negli ultimi dieci anni, ha avuto più peso l’iniziativa politico-legislativa o l’attività contrattuale? La prima, senza dubbio, a livello confederale: i referendum, le proposte di legge, la carta dei diritti, mai un accordo con le imprese, nessun protocollo con i governi in carica, niente unità sindacale (unica eccezione l’accordo ai tempi del Covid). La contrattazione unitaria prevale invece nelle categorie, malgrado le difficoltà e i tempi eccessivamente lunghi dei rinnovi. Seppur con una riduzione del peso della contrattazione di secondo livello e l’assenza assoluta della contrattazione confederale territoriale.
- Domanda n. 3: è certamente vero che la Cgil a sostegno dei Referendum ha reso evidente il suo enorme potenziale organizzativo e di mobilitazione, ma sarà facile e automatico convertire quelle energie sul versante contrattuale (aziendale e territoriale)? Non credo proprio: sono due culture diverse e tenute separate da troppo tempo. Dubito che i vertici confederali (a tutti i livelli) riescano a virare dal versante politico-movimentista a quello della contrattazione sociale territoriale per decisione congressuale, senza un rinnovamento del gruppo dirigente. L’esperienza contrattuale non si inventa dall’oggi al domani senza un nuovo protagonismo di chi la sa fare. Penso, insomma, che per cambiare davvero la strategia si debba integrare la direzione della Cgil a tutti i livelli con le competenze contrattuali esistenti nelle categorie e nei luoghi di lavoro.
- L’indagine ILO del 2020 (cinque anni fa!). L’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha messo a fuoco con un’indagine mondiale il declino della rappresentatività dei sindacati. Dovuto a diverse ragioni: il crescente peso delle attività di servizio (spesso prive di un luogo fisico di lavoro) rispetto a quelle industriali, la disoccupazione femminile e giovanile con conseguente “invecchiamento” del sindacato, l’innovazione tecnologica e le trasformazioni del lavoro, la precarizzazione del lavoro (spesso mascherata da autonomia e non-dipendenza), la maggiore o minore “tutela” del sistema di rappresentanza sindacale da parte dei diversi governi (e delle diverse Costituzioni).
- L’ILO indica anche, con precisione documentata, quattro possibili soluzioni al problema: quattro scenari per il sindacato del futuro. 1. La “marginalizzazione”, se il declino non verrà arrestato. 2. La “dualizzazione” del sindacato tra grandi e piccole imprese, tra difesa del lavoro “classico” e difficile tutela del lavoro “nuovo”, tra settori pubblici e privati, industriali e di servizio. 3. La “sostituzione” del sindacato tradizionale con altre forme (meno strutturate o più istituzionali) di rappresentanza sociale. 4. Infine la “rivitalizzazione” o innovazione del sindacato come protagonista della tutela del lavoro. L’ILO ci avverte che questi scenari sono già contemporaneamente in atto in molte aree del mondo, senza che ci sia una tendenza al momento prevalente.
- Da che parte stiamo andando noi in Italia non è facile dire. Bisogna anche tener conto del fatto che l’ILO ignora (per proprie caratteristiche) sia la perdita di rappresentanza dei partiti politici, sia l’inefficiente sistema istituzionale, in Italia frammentato in tanti vasi non comunicanti. In questo nuovo disorientante contesto, l’impressione è che il sindacato italiano (tutto) si collochi con incertezza (per non dire schizofrenia) tra rappresentanza più politica che sociale e un desiderio di “rivitalizzazione” sindacale seppure ancora indefinito.
- Ancora una domanda. È possibile costruire una rappresentanza sociale più larga e riconosciuta senza scimmiottare le forme di un partito o di un movimento politico, forme già in crisi per conto loro? Speriamo di sì: questa la vera sfida dei prossimi anni. Una sfida che si affronta a partire dai luoghi, dalle filiere del lavoro e dai territori, insieme alle forme organizzate della società civile laiche e cattoliche che stanno cercando di supplire ai vuoti della politica.
- Anche perché, nella transizione cui stiamo assistendo, i bisogni sociali sono cambiati profondamente e le dinamiche demografiche la fanno da padrone. Più vecchi, meno giovani, più solitudini, meno autosufficienza, più cronicità da un lato e meno lavoro e meno risorse per sostenere un Welfare più universalistico e di prossimità dall’altro. Le diseguaglianze che si allargano a dismisura, le emigrazioni dei giovani italiani, la paura (anche a sinistra) che impedisce di includere nella cittadinanza e nel lavoro i giovani non italiani che arrivano nel nostro Paese.
- La nuova contrattazione confederale territoriale dovrebbe essere la strada per ricomporre il Paese verso uno sviluppo davvero ambientalmente, socialmente, economicamente sostenibile. Nella speranza che, prima o poi, la politica torni ad essere all’altezza della situazione e la democrazia si faccia più partecipativa.
(Infine, un’informazione. Tra qualche settimana, per le edizioni Rubbettino, uscirà un mio libro dal titolo “Corso Italia 25”, con una presentazione di Sergio Cofferati. Nel libro racconto i miei 20 anni da sindacalista nazionale, la qualità dei leader che ho avuto la fortuna di conoscere e con cui ho lavorato e le vicende politiche che abbiamo attraversato negli anni 90 e nel secondo decennio 2000: le difficoltà, le innovazioni, il mutato rapporto tra sindacato, partiti e istituzioni di Governo. A quel testo rimando gli approfondimenti su cos’erano la Cgil e il sindacato allora e cosa sono oggi. Qui nel blog del Diario del Lavoro, solo qualche considerazione generale).
Gaetano Sateriale