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Home - Approfondimenti - Analisi - Il sistema sanitario alla prova della seconda ondata

Il sistema sanitario alla prova della seconda ondata

di Giuliano Cazzola
20 Novembre 2020
in Analisi

Sarà un metodo scientifico, fondato su elementi oggettivi, ma l’algoritmo che decide il colore delle regioni e di conseguenza le misure di mitigazione desta parecchie perplessità. Parafrasando Polonio, il cortigiano del Principe Amleto, anche nella follia non guasterebbe un po’ di logica. Ormai tanti operatori economici al mattino devono consultare il colore della giornata, come se fosse il meteo. In realtà, il governo sta rincorrendo il virus. Chiudiamo tutto e il virus si affloscia; poi riapriamo credendo di averla fatta franca e il virus ritorna. E noi richiudiamo di nuovo… e così via. Viene il dubbio che avesse ragione chi sosteneva a giugno che la vera ragione dell’abbassamento della guardia fosse quella di dare un po’ di fiato al turismo. Fu persino previsto un bonus sulle rette alberghiere per incoraggiare le vacanze. Ma oggi si accusano di irresponsabilità quelli che sono andati al mare avvalendosi, se del caso, dell’invito “incentivato”. Forse, per essere politicamente corretti, dovevano restare chiusi in albergo. In queste ore corre voce che Conte stia lavorando ad un altro dpcm che “schiuda” moderatamente in vista delle Festività allo scopo di consentire agli italiani di spendere un po’ di gratifica natalizia. Intanto, i presidenti delle Regioni (gli eroi della fase 1) chiedono, nei giorni dispari, misure più rigorose su tutto il territorio nazione, nei giorni pari rivendicano invece maggiori aperture. Si andrà avanti così fino all’arrivo del vaccino. Le cronache spiegano che, quando sarà disponibile l’elisir anticovid-19, uno dei problemi principali sarà quello della sua conservazione a – 70° lungo tutta la filiera dalla produzione al consumo.  Nonostante le sparate (a salve) del totocommissario Domenico Arcuri, pare che il nostro Paese sia ancora impreparato e che il vaccino  rischi di fare la fine delle sedie semoventi, nella scuola. Il presidente Conte ha un debole per Domenico Arcuri, ma questa volta non può permettersi di sbagliare, perché è necessario predisporre tutto in grande quantità a cominciare dalle siringhe, perché ne occorreranno decine di milioni di pezzi contesi tra tutti Paesi. Si tratta di un prodotto che non richiede particolari tecnologie, ma anche le mascherine, l’amuchina, l’alcol lo erano; eppure, c’è stato un momento in cui questi banali presìdi si trovavano solo al mercato nero a costi proibitivi. Nel frattempo in attesa dell’ora X continueremo a giocare a nascondino con il virus, mandando a ramengo l’economia (del resto pare che il solo problema importante sia quello dei “ristori”). Stando ai sondaggi di opinione si dice che tanti concittadini soffrano di un rigurgito no vax e non intendano vaccinarsi. Del resto, anche la copertura per la vaccinazione antinfluenzale – oggi molto richiesta – negli anziani presentava valori non adeguati rispetto alla soglia del 75 per cento della popolazione interessata e lontani dal 68 per cento raggiunto nel 2005-2006. Negli anni successivi tale percentuale si era ridotta in quasi tutte le regioni, arrivando nel 2014-15 al 48,6 per cento in media nazionale, per poi risalire lentamente al 52,7 nel 2017-18 e al 53,1 nel 2018-19. La linea del lockdown a singhiozzo potrebbe funzionare se fossimo in grado di affrontare il vero problema posto dal covid-19: evitare il collasso delle strutture ospedaliere che non sono in grado di reggere da sole agli effetti del contagio. Si tratta, senz’altro, una patologia gravissima, ma anche una normale epidemia di influenza stagionale manderebbe in tilt i nosocomi più attrezzati se si presentassero ai Pronto Soccorso e si facessero ricoverare – come ha detto un virologo ragionevole – anche coloro che ne soffrono di una forma seria, ma non grave, occupando un letto per diversi giorni, a scapito di altri malati con patologie importanti.  E’ bene non dimenticare che, durante la prima fase della pandemia, sono stati rimandati 300mila interventi, 8 milioni di visite e 1,4 milioni di accertamenti e screening. Esiste un problema che si chiama “medicina del territorio”. Non c’era bisogno della pandemia per accorgersene. La disfunzione era stata rilevata più volte dalla Corte dei Conti nei suoi Rapporti di coordinamento sulla finanza pubblica. “E’ da osservare, tuttavia, che il miglioramento osservato negli standard ospedalieri, legato alla riorganizzazione della rete di assistenza e all’uso più appropriato delle strutture, non si accompagna sempre ad una adeguata offerta dell’assistenza territoriale rivolta alla parte “più debole” della popolazione, cioè anziani e disabili: offerta che, pur evidenziando un trend in crescita, nel 2015 (esercizio per cui si dispongono dati relativamente a tutte le regioni) risultava comunque più limitata rispetto ai valori raggiunti nel periodo pre-crisi (2009)”. E di nuovo: “L’emergenza sanitaria che interessa il nostro Paese ha riportato al centro dell’attenzione le caratteristiche del sistema sanitario, mettendone in evidenza oltre ai punti di forza, gli aspetti problematici attribuiti soprattutto alle scelte operate negli ultimi anni. Aspetti su cui è opportuno soffermarsi in apertura dell’analisi, prima di guardare ai risultati dell’esercizio che si è appena concluso. E ciò per trarne elementi utili a valutare le ragioni di dette scelte, le modifiche da apportare alla gestione del sistema sanitario alla luce dell’emergenza Covid-19 e le risposte che possono derivare dal Patto per la salute sottoscritto tra Stato e Regioni sul finire del 2019”. Tra il 2012 e il 2017 (anno per il quale si dispone di un maggior dettaglio di dati) il personale (sanitario, tecnico, professionale e amministrativo) dipendente a tempo indeterminato in servizio presso le Asl, le Aziende Ospedaliere, quelle universitarie e gli IRCCS pubblici è passato da 653 mila a 626 mila con una flessione di poco meno di 27 mila unità (- 4 per cento). Nello stesso periodo il ricorso a personale flessibile in crescita di 11.500 unità ha compensato questo calo solo in parte: si tratta in prevalenza di posizioni a tempo determinato, che crescono del 36,5 per cento (passando da 26.200 a 35.800), e di lavoro internale, che registra una variazione di poco meno del 45 per cento (da 4.273 a 9.576 unità).

E il capitale umano, quello che sta in prima linea? Scrive la Corte: “Tra il 2012 e il 2017 (anno per il quale si dispone di un maggior dettaglio di dati) il personale (sanitario, tecnico, professionale e amministrativo) dipendente a tempo indeterminato in servizio presso le Asl, le Aziende Ospedaliere, quelle universitarie e gli IRCCS pubblici, è passato da 653 mila a 626 mila con una flessione di poco meno di 27 mila unità (- 4 per cento). Nello stesso periodo – prosegue la magistratura contabile –  il ricorso a personale flessibile in crescita di 11.500 unità ha compensato questo calo solo in parte: si tratta in prevalenza di posizioni a tempo determinato, che crescono del 36,5 per cento (passando da 26.200 a 35.800), e di lavoro internale, che registra una variazione di poco meno del 45 per cento (da 4.273 a 9.576 unità)”.

In sostanza, per tante ragioni che hanno radici profonde, la carenza di personale sanitario costituirebbe un problema delicato anche in un contesto “normale”. In più si è aggiunta “quota 100”. Oggi si lanciano appelli ai pensionati di tornare in servizio. Forse sarebbe stato meglio pensarci prima.

Giuliano Cazzola

Giuliano Cazzola

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