“L’unità è l’elemento distintivo di questo rinnovo”. È questa la prima impressione del segretario generale della Fai, il sindacato degli agricoli della Cisl, Onofrio Rota, dopo la firma del contratto dell’industria alimentare.
Un’unità raggiunta a fatica, che ha reso molto più complesse le trattative.
“Esattamente. Nel 2021, dopo la firma del precedente contratto, Federalimentare si era divisa in 14 sigle, con le quali abbiamo avuto un’interlocuzione frammentata e debole. Con la firma di questo contratto, sindacati e aziende, si sono mossi all’unisono, come i componenti di un’orchestra, pur con le diversità. Il felice esito della trattativa conferma anche le solide relazioni che abbiamo con Cgil e Uil, e la capacità di trovare una sintesi tra le nostre sensibilità.
Sul fronte salariale cosa cambia per i lavoratori?
“Il contratto si porta a casa un bel risultato, grazie a un aumento a regime di 280 euro, dei quali 170 esigibili nei primi 14 mesi, e un recupero del potere di acquisto anche dei quattro anni precedenti. Nel contratto, infatti, non c’è solo il Tem, il trattamento economico minimo, ma anche lo Iar, l’incremento aggiuntivo di retribuzione, che va a mitigare gli effetti dell’inflazione.
Il welfare come viene migliorato?
“C’è un rafforzamento della sanità e della previdenza integrativa e anche degli strumenti a sostegno della genitorialità. Inoltre, grazie all’Ebs, l’Ente bilaterale di settore, operativo dallo scorso anno, puntiamo a erogare formazione aggiuntiva sulla sicurezza, a dare un sostegno al reddito alle donne vittima di violenza, aiutare sul piano economico i lavoratori in difficoltà e a stringere la collaborazione con gli Its per il ricambio generazionale, alle luce delle innovazioni tecnologiche e delle nuove competenze richieste”.
Un rinnovo che contrasta anche la precarietà.
“Assolutamente sì. Il nostro intento è quello di dare priorità a dei percorsi di stabilizzazione delle carriere, che portino a un trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, limitando il ricorso alla somministrazione”.
Nelle ultime settimane è andata in scena la protesta dei trattori, in tutta Europa. Qual è la posizione del sindacato?
“Prima di tutto una condanna di tutte le violenze. A Bruxelles c’è stato un clima veramente pesante. Le istituzioni non vanno attaccate. Ricordiamoci che l’Europa destina 300 miliardi, un terzo del suo bilancio, all’agricoltura. Ci sono poi alcuni segnali di malessere che devono essere ascoltati”.
Quali?
“Il rapporto tra la grande distribuzione e il produttore è iniquo. L’agricoltore rischia quasi di rimetterci a vendere i propri prodotti a prezzi troppo bassi. Gli stessi prodotti che sugli scaffali dei supermercati hanno visto lievitare il proprio costo, facendo storcere il naso al consumatore”.
Secondo lei la politica europea e italiana come ha gestito la protesta?
“Fare un passo indietro su alcune misure sarebbe errato. Il Farm to Fork indica la via green che l’agricoltura deve seguire. I cambiamenti climatici sono ormai una realtà. E con questi l’agricoltura deve confrontarsi, rimanendo un importante presidio per il territori. Ma non si può pensare di mollare la presa con i pesticidi, perché a rimetterci sarebbe non solo l’ambiente ma anche la salute dei consumatori. Così come non si può tornare indietro sulla clausola sociale per le aziende che ricevono fondi europei. Abbiamo scritto una lettera al ministri Lollobrigida e alla ministra Calderone, e sul merito abbiamo ricevuto delle rassicurazioni. Se si toglie la clausola ci rimettono i lavoratori e i loro diritti”.
Venendo all’Italia?
“Il nostro paese è stato un po’ trascinato nella protesta da altri, dove le rivendicazioni sono più forti. C’è sicuramente un tentativo di cavalcare la situazione anche in vista delle elezioni europee. Quello che la politica deve fare è trovare soluzioni per rendere l’agricoltura più redditizia, traghettarla nel 4.0, intervenire per mitigare gli effetti dovuti al nanismo delle nostre aziende o alla debolezza delle filiera. Insomma non servono misure spot”.
Tommaso Nutarelli