Non è facile, né forse utile, scrivere la recensione di un libro di un amico. Perché è inevitabile che il sentimento ti trascini lontano dalla realtà, perché sei portato a perdonare, a capire, a renderti conto delle esigenze. Con “Corso Italia 25”, l’ultimo libro scritto da Gaetano Sateriale per le edizioni Rubbettino, non si corre questo pericolo. Perché è un gran bel libro, pieno di cose belle e interessanti, che ti coglie all’istante e non ti lascia più. Appena mi è venuto tra le mani non ho retto e ho subito letto le prime cinquanta pagine tutte di un fiato. Una breve pausa, ho ripreso il libro che stavo leggendo prima, l’ho finito e ho ripreso la lettura del libro di Sateriale e sono arrivato all’ultima pagina senza più interrompermi. Non mi capitava da quando, ragazzo, lessi “Il vecchio e il mare”.
Il motivo c’è, ed è evidente, perché questo romanzo, ché di questo si tratta, mi ha riportato indietro di decenni e mi ha fatto rivivere gli anni belli, quando scrivevo di fatti sindacali e mi aggiravo, tra l’altro, nei corridoi di quel palazzo di Corso d’Italia a Roma a caccia di notizie. Che c’erano, copiose, perché i fatti sindacali occupavano uno spazio immenso nei giornali e tutto finiva in paginate infinite che riempivano l’ego di noi giornalisti. Un mondo affascinante, fatto di grandi personaggi. Luciano Lama, Bruno Trentin, Sergio Garavini, Sergio Cofferati, per restare nella Cgil. Ma poi Pierre Carniti e Franco Marini nella Cisl, Giorgio Benvenuto nella Uil, e via via tutti i protagonisti di quegli anni bollenti. Mille protagonisti e mille comprimari, tutti importanti.
Erano anni migliori? La risposta non è facile, anche qui intrisa necessariamente di ricordi e sentimenti. Sicuramente c’erano grandi uomini e Sateriale li descrive oggettivamente, per quello che erano, con i loro vizi, pochi, e le loro virtù, tante. C’era una forte sensibilità nella società per la socialità: il 68 prima, e il 69 poi, avevano lasciato un’orma profonda. I cuori si erano scaldati e ci misero tempo per raffreddarsi. Raccontare quegli anni è stato certamente un piacere per l’autore, leggerlo è stato bello.
Dietro tutto questo racconto c’è la Cgil. Un grande sindacato, ma anche qualcosa di più, una speranza, a volte una certezza, una fortezza Bastiani, dove però i nemici ci sono davvero, e sono agguerriti, capaci di fare male; a volte li si sconfigge, a volte ti costringono a perdere. Sateriale ha un grande amore per il suo sindacato, non lo nasconde e non si capisce perché dovrebbe nasconderlo. La Cgil gli ha dato tanto e anche quando gli ha tolto qualcosa, comunque gli ha riempito la vita di soddisfazioni. Le vittorie fanno godere, e Sateriale di vittorie ne ha avute tante nella sua lunga vita di sindacalista. Il libro è costellato di piccole storie, quelle che mia moglie chiama i fatterelli. Importanti e piacevoli perché allentano la lettura, fondamentali perché mostrano davvero il carattere delle persone e la portata degli avvenimenti più di un racconto serioso. E sono quelli che fanno capire fino in fondo il carattere della persona. Trentin che in ascensore guarda la spilla sulla giacca di Sateriale e lo interroga su Tintin vale più di una biografia, getta un fascio improvviso di luce sul carattere di una persona che tutti pensano austera e severa e che invece era tutt’altro. L’amore per la Cgil: una costante in tutti gli ex. Anche di chi si è allontanato, anche di chi è passato dall’altra parte della barricata, perché il legame con questo sindacato è così forte che non si rompe mai, alla fine vince sempre.
Colpisce in questo racconto la stima nei confronti della controparte, che non si scalfisce mai, resta integra anche nelle difficoltà forti delle vertenze. Del resto, è normale, perché i due tavoli di negoziato si somigliano, di più, sono uno lo specchio dell’altra. E allora la stima per sé e per i propri sodali è tutt’uno con quella per chi siede dall’altra parte del tavolo. Mai antagonisti, solo portatori di interessi diversi, che devono adeguarsi a quelli che sono rappresentati dal sindacato. È la sostanza del sindacalismo, o almeno di quello buono, che guarda alla sostanza delle cose e non si ferma al primo momento. Gli accordi si raggiungono così, cercando le ragioni degli altri, accorgendosi che sono componibili con le proprie.
Il racconto di Sateriale mostra mille sfaccettature diverse dei fatti sindacali e non siamo qui a ricordarli. Ma ha colto la considerazione che vi è per il ruolo che nell’economia e nelle relazioni industriali di quegli anni ebbero le imprese a partecipazione statale. Vituperate al di là del lecito, in realtà portarono avanti con caparbia ostinazione un’idea di azione sindacale importante anche perché in controtendenza rispetto alla strategia che svolgeva negli stessi anni Confindustria. Era la via del dialogo, del confronto, che respingeva la prova di forza come strumento abituale. Il conflitto, lo dico sempre a chi partecipa alla nostra Scuola di relazioni industriali, è più che utile, è indispensabile, perché mostra l’esistenza di un divario di interessi su un fatto specifico. Importante è che, una volta avvertito, questo conflitto venga superato e questo si fa col dialogo, con l’attenzione agli altri, con il confronto. Arrivando alla prova di forza solo quando non c’è altro da fare.
Sateriale ha potuto raccontare al meglio tutto ciò perché gli è capitato di vivere due esperienze sindacali determinanti di quegli anni, i metalmeccanici, ma prima i chimici. Io dico sempre che chi è stato metalmeccanico non perde mai le sue caratteristiche, perché quell’esperienza caratterizza sempre il suo comportamento. Ma non è da meno essere stato chimico. Per Sateriale è stata determinante l’esperienza del petrolchimico di Ferrara, quando giovane sindacalista si trovò a dover gestire migliaia di esuberi, che significa la tragedia di migliaia di famiglie che si trovano improvvisamente senza lavoro. Lì ha imparato a confrontarsi con le ragioni degli altri, costretto dalla gravità dei problemi a scelte dolorose ma ineludibili. E quando, diventato metalmeccanico, ha affrontato altre battaglie, il ricordo e l’esperienza di quegli anni gli è stata fondamentale. E a proposito di quella vertenza al Petrolchimico come non rammentare la bellezza di quell’altro libro di Sateriale, “Profondo lago”, dove lo stesso Enrico Montorsi, il suo avatar letterario, racconta quelle esperienze. Un libro che chiunque si avvicini al mestiere di sindacalista dovrebbe non solo leggere, ma studiare. Perché spiega con precisione quanto sia complessa una grande vertenza sindacale, di quanti problemi si debba tener conto, di quanti siano i piani sindacali e organizzativi, nel sindacato come nella controparte, di cui non si può non tener conto.
L’ho fatta lunga, volevo solo dire che è un gran bel libro, per il quale vale spendere qualche ora. Per tornare indietro con la memoria, e godere dei ricordi; anche, e soprattutto, per avere indicazioni sulla rotta da seguire per portare Donna Rosa in porto.
Massimo Mascini