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Home - La biblioteca del diario - La geodemografia. Il peso dei popoli e il rapporto tra stati, di Massimo Livi Bacci. Edizioni il Mulino

La geodemografia. Il peso dei popoli e il rapporto tra stati, di Massimo Livi Bacci. Edizioni il Mulino

di Elettra Raffaela Melucci
8 Marzo 2024
in La biblioteca del diario
La geodemografia. Il peso dei popoli e il rapporto tra stati, di Massimo Livi Bacci. Edizioni il Mulino

Secondo la teoria dell’effetto farfalla, un qualsivoglia piccolo cambiamento nelle condizioni iniziali di un sistema dinamico non lineare conduce a conseguenze su scale più grandi. Uno schema correttamente trasmigrabile nell’analisi degli equilibri geopolitici, in cui «l’interconnessione tra culture, tra economie, tra persone, avvolge il pianeta in una rete dalle maglie sempre più fitte, e intessute con fili sempre più robusti, stretti da forze naturali e forze sociali». Tra le condizioni iniziali di questo sistema dinamico è possibile isolare, per così dire, un fattore macroscopico eppure tanto spesso trascurato – o meglio, sottovalutato: la demografia. Ed è nell’intreccio dei rapporti tra demografia e politica che nasce la disciplina della geodemografia, che indaga proprio “il peso dei popoli e il rapporto tra stati” dichiarato nel sottotitolo del nuovo libro di Massimo Livi Bacci La geodemografia (il Mulino, 2024). Politico e statistico italiano specializzato in demografia, nonché professore emerito all’Università di Firenze, Livi Bacci confeziona questo agevole saggio dedicato all’esplorazione delle conseguenze dei fenomeni demografici sui rapporti tra regioni e paesi del mondo e sulle scelte politiche, soprattutto sul piano internazionale. «Basti pensare alla profonda rivoluzione dell’ultimo secolo – spiega l’autore -, alla progressiva riduzione del peso demografico dell’Europa e all’esplosione di quella del continente africano; ai cambiamenti dei flussi migratori; ai diversissimi livelli di riproduttività dei paesi ed etnie; alla crescita vorticosa dei grandi aggregati urbani. Fenomeni, tutti, che sollecitano, scuotono e modificano i rapporti tra stati e regioni del mondo e influiscono sulle scelte politiche, con forza e velocità variabili e spesso imprevedibili». In questo senso, la geodemografia è uno degli strumenti più raffinati a disposizione dell’analisi geopolitica, che incide fortemente su valutazioni immanenti, ex post o ex ante degli scenari mondiali. Consideriamo la portata che il fattore demografico ha nel determinare il grado di influenza di un paese, o di una regione, su paesi o regioni vicine: «Probabilmente poco o nulla, per quanto riguarda il benessere della società di questo o quel paese, ma molto, moltissimo, per quanto riguarda la sua proiezione all’esterno. […] può anche dirsi con sicurezza che a maggiori dimensioni demografiche corrisponde maggiore influenza esterna, anche a parità di grado di sviluppo […] le dimensioni demografiche hanno un peso determinante negli assetti geopolitici».

Molte sono le connessioni tra popolazione e politica individuate dall’autore nel corso degli otto capitoli che compongono questo viaggio, tutte suffragate da un ricco compendio di casi esemplificativi e excursus storici che restituiscono pienamente l’immanenza dell’analisi proposta: dai numeri della popolazione nel mondo, all’influenza che questi hanno sugli assetti tra gli stati, alla relativa questione dello spazio vitale – «Nella prima metà del Novecento un filo logico legava la convinzione che una popolazione in crescita fosse un fenomeno positivo da incoraggiare, in base all’idea che il “numero è potenza” e dovesse essere accresciuto per contare in campo internazionale; qualora si ritenesse insufficiente il territorio nazionale, questo poteva essere esteso con acquisizioni coloniali o con espansione in territori popolati da “razze inferiori”» -; dalla definizione dello spazio tramite limiti, confini e frontiere – «che definiscono lo spazio dello stato, e le popolazioni che da questi sono separate. I confini hanno funzione definitoria, di controllo e di filtro, di difesa e di barriera; essi interferiscono con la mobilità, riducendola o annullandola, ma possono anche stimolarla» – alle ripercussioni sulle etnie e la creazione di stati plurietnici – «[…] stati nei quali queste comunità coese esistono, sono dei veri e propri soggetti sociali e hanno un vero e proprio peso politico […] le vicende demografiche sono connaturate a quelle etniche e rientrano appieno tra le forze che determinano l’assetto geopolitico di regioni e continenti». Ma è anche la crescita differenziale dei gruppi etnici tra loro in competizione, o in conflitto, che determina alterazioni nel potenziale rapporto di forza, un aspetto che secondo l’analisi di Livi Bacci informa anche alcune prese di posizione ideologiche, come la teoria della sostituzione etnica e del wombfare, la battaglia del ventre (come nei casi del Libano e Israele-Palestina, ma anche la questione curda che insidia Turchia, Siria, Iran e Iraq, o quella di minoranza egemoni come gli alawiti in Siria, gli sciiti in Iraq che mantengono il potere a dispetto di forti squilibri demografici). A fronte di ciò, per l’autore si impongono due esiti: i confini delle etnie spesso non coincidono con i confini politici, e i conflitti che si determinano producono modificazioni, spesso forzate; i fattori demografici alimentano i conflitti interetnici, sopratutto se questi non sono moderati da forti istituzioni statuali o internazionali. Ciò dà anche vita a importanti fenomeni migratori e mette in luce l’interazione tra la questione etnica, migrazione e rapporti fra stati (come nei tre casi dei rohingya, tutsi e hutu e haitiani).

Proprio alle migrazioni, «la componente più instabile dei sistemi demografici», è dedicato un interessante capitolo sviluppato da un punto di vista particolare: la manipolabilità del fenomeno e in che modo, in quali circostanze, in quale misura esse possono diventare uno strumento di pressione, o un’arma politica vera e propria, sia nei rapporti tra stati, sia all’interno di un singolo stato. Innanzitutto, i flussi migratori vengono dalle forze politiche come vere e proprie invasioni da cui difendersi proprio per scongiurare il rischio della sostituzione etnica, quindi diventano un mezzo di propaganda; contemporaneamente, sullo stesso piano sta l’utilizzo della migrazione come elemento di pressione internazionale: «La minaccia, ad esempio, di aprire le porte a flussi migratori verso una determinata destinazione come strumento negoziale e, nel peggiore dei casi, di ricatto; oppure la spinta a processi di infiltrazione illegale in uno stato confinante, che possono aprire la porta a flussi più intensi capaci di modificare la struttura etnica delle aree di insediamento. La possibilità concreta di manipolazione dei migranti a fini destabilizzanti di uno stato (o pluralità di stati), o per ritorsione, o per ottenere vantaggi politici o economici».

Notoriamente, poi, i comportamenti demografici sono influenzati anche da fattori religiosi, le cui connessioni non sono tuttavia immediate da indagare nonostante la considerevole influenza di questo vettore culturale. Il tratto più evidente della geodemografia religiosa, però, risiede nel fatto che la maggior parte dei conflitti hanno matrice religiosa – «Le guerre di religione sono state tra le più sanguinose in Europa prima delle guerre mondiali, con la coda delle guerre in Iugoslavia alla fine del secolo scorso» – e le religioni stesse si muovono con la demografia attraverso i flussi migratori e i tassi di riproduttività caratteristici di ogni confessione (in particolare quella cristiana e musulmana, quest’ultima destina ad aumentare). Su queste direttive si sostiene che le religioni hanno dettato, e continuano a dettare, le sorti di interi territori e delle loro geografie. È questo, tra gli altri, il caso della Grande Partizione (Indian Indipendent Act) del 1947 che divise l’India, a maggioranza indù, dal Pakistan, a maggioranza musulmana (la cui parte orientale, il Bengala, diventerà Bangladesh nel 1971), che tuttavia non risolse alcun problema religioso. Ma ancora di più esemplare è il “caso di scuola” Palestina-Israele. L’autore precisa in una nota che il capitolo è stato scritto prima del 7 ottobre 2023, giorno dell’attacco di Hamas e dell’inizio della tragica guerra nella Striscia di Gaza, i cui esiti pure imprevedibili determineranno comunque una svolta nell’assetto politico e geodemografico della Palestina: «[…] uno stato indipendente e frammentato (Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme est); oppure l’indipendenza di Gaza sotto una sorta di tutela internazionale e un assetto indipendente per la Cisgiordania; o addirittura una dislocazione della popolazione gazawi fuori della Striscia, nel Sinai o altrove. Quale che sia l’epilogo è verosimile che possa svilupparsi un’intensa emigrazione dal martoriato territorio». In una prospettiva storica, tuttavia, Livi Bacci sottolinea che «in uno spazio ristretto come questo sono avvenute migrazioni spontanee e migrazioni forzate, una velocissima ma diseguale crescita demografica, suddivisioni e ricomposizioni territoriali, profonde modifiche istituzionali […] la demografia, direttamente e indirettamente, è stata un fattore primario dell’assetto geopolitico della regione […] l’immigrazione ha costituito un fattore importante della componente ebraica dello stato d’Israele…ma è soprattutto alla riproduttività che che è affidato il ritmo del futuro sviluppo demografico della popolazione ebraica e, naturalmente, di quella araba […] e sarà alla riproduttività che si dovrà il differenziale di crescita di ebrei e arabi nei prossimi decenni». In sostanza, è la demografia ad alimentare il conflitto «creando diffusi sentimenti popolari di timore e autodifesa di fronte ai diversi tassi di crescita che influenzano l’esistente rapporto tra minoranze e maggioranze» e contemporaneamente, a sua volta, «il conflitto alimenta la demografia attraverso gli stessi meccanismi psicosociali, e il conscio o latente tentativo di riequilibrare i piatti della bilancia del potere. Il problema è in quale modo possa spezzarsi questo circolo vizioso».

In ultimo vi è la questione ambiente-clima-acqua, in cui si analizzano i rapporti di causa-effetto della crescente antropizzazione del pianeta e il continuo approvvigionamento delle risorse naturali che determina conflitti, l’esaurimento delle stesse, il cambiamento climatico e l’accumulo di gas serra che, al netto di interventi di mitigazione, aumenterà di pari passo con la crescita demografica. La demografia, perciò, è una causa primaria di modifiche ambientali «che, a loro volta, influiscono sulle politiche: la relazione demografia-politica è, per così dire, mediata dal fattore ambientale». Sono quattro le criticità discusse dell’autore: i processi di deforestazione e l’intrusione umana nei polmoni verdi; la rapida crescita demografica delle fasce costiere e rivierasche, aree fragili e paesaggisticamente preziose; gli effetti negativi delle concentrazioni urbane e, in particolare, delle megalopoli; infine, il tema dell’acqua e dei conflitti che la sua appropriazione genera tra paesi con demografie differenti, nonché le sue interazioni con la produzione agricola sospinta da un’umanità in crescita.

Un quadro complesso, fatto di intersezioni multiple e implicazioni secolari. Come per l’effetto farfalla, le ripercussioni delle oscillazioni della demografia si riverberano sull’assetto dell’intera umanità e richiedono un intervento pianificato e decisivo da parte della grande politica internazionale. Conclude Livi Bacci: «Così è, per esempio, per dare ordine allo sviluppo apparentemente irresistibile dell’intelligenza artificiale, e gestire le sue ricadute, in primo luogo sul lavoro. Così è per il grande disordine migratorio, implicitamente riconosciuto dagli organismi internazionali, il cui intervento, però, si limita a documenti e a impegni non vincolanti e puramente formali. Più concrete sono le intese e gli accordi tra stati per frenare il cambiamento climatico e adattarsi alle sue conseguenze[…] infine la grande pandemia del Covid-19 sta convincendo gli stati a intensificare l’azione di preparedness per fronteggiare l’insorgenza di altre future patologie epidemiche». Tutti i fenomeni globali, dunque, risentono della componente demografica e in questo «labirinto di azioni, reazioni, interazioni: un poco di geodemografia può aiutare a conoscerli meglio».

Con La geodemografia. Il peso dei popoli e il rapporto tra stati Massimo Livi Bacci riesce a condensare in poche pagine la complessità di una disciplina pure veicolata con semplicità ed eleganza, attraverso un linguaggio “puro” che infrange il tetto di cristallo degli accademismi e si offre alla democratica comprensione. Un aspetto piuttosto inusuale per la letteratura specialistica, la cui tendenza è quella di restringere sempre di più il cerchio dell’accesso alla conoscenza. La prospettiva della geodemografia proposta dall’autore sembra quindi inserirsi nell’analisi degli assetti globali come il tassello fondamentale (e in qualche modo finora mancante) per l’interpretazione delle leggi che governano la società dai suoi albori. La trattazione di Livi Bacci, infatti, non si esaurisce in un hic et nunc, ma allunga potenzialmente il faro del suo lume oltre l’immanenza dell’epoca contemporanea. Considerazione che avvalora l’importanza di questo testo, che ci consente di allargare lo sguardo sul mondo oltre la miope prospettiva dell’oggi. Ed è questo che, sostanzialmente, si richiede al lettore: di aprire le porte della comprensione. Un esercizio difficile, avvinti come siamo dalle maglie del presentismo, anche perché non basta la sola buona volontà per capire le dinamiche del mondo, ma occorre agire il pensiero e metterlo in sinergia con tutto quanto ci circonda.

Elettra Raffaela Melucci

Titolo: La geodemografia. Il peso dei popoli e il rapporto tra stati

Autore: Massimo Livi Bacci

Editore: il Mulino

Anno di pubblicazione: 2024

Pagine: 126 pp

ISBN: 978-88-15-38855-1

Prezzo: 14,00€

Elettra Raffaela Melucci

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Redattrice de Il diario del lavoro

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