di Claudio Negro, segretario Uil Milano e Lombardia
(Il progetto di legge)
La legge regionale 22/2006 sostituisce la legge regionale 1/2000, modificandola secondo le disposizioni del D.Lgs. 276 (legge Biagi) e introducendo alcune novità rilevanti.
Il giudizio della Segreteria UIL Milano e Lombardia è articolato in relazione al metodo e al merito.
Quanto al metodo:
il primo d.d.l. approvato dalla Giunta aveva totalmente escluso il confronto preventivo con le parti sociali (previsto invece dal Patto per lo sviluppo); grazie alla loro tenacia i sindacati e le province sono successivamente riuscite a recuperare un confronto di merito con la commissione consiliare, a partire dal quale si è riattivato anche il tavolo con l’assessorato. In particolare, il nuovo assessore Rossoni, già presidente della commissione, ha accettato un confronto aperto con i sindacati nell’ultima fase dell’iter di approvazione della legge, accettando di presentare in Consiglio, sotto forma di emendamenti, alcune soluzioni convenute con noi. In definitiva, possiamo affermare che nell’ultima fase dell’iter della legge è stato ripristinato un metodo corretto di relazioni tra organizzazioni sindacali e assessorato, che ha influito significativamente sul merito stesso della legge.
Quanto al merito:
la legge stabilisce la struttura del sistema regionale dei Servizi all’Impiego e le competenze dei diversi soggetti:
– alla Regione compete la programmazione strategica e il riparto delle risorse in relazione alle priorità e agli obiettivi stabiliti dalla programmazione.
– Alle amministrazioni provinciali spettano gli interventi attuativi, nonché le funzioni amministrative in relazione alla gestione delle liste di disoccupazione e dei benefici ad esse collegati, nonché delle liste di mobilità e al collocamento dei disabili.
– Le decisioni in materia di p.d.l. del lavoro, dal piano regionale in giù, vengono preventivamente discusse nei due organismi in cui si esprime il rapporto di concertazione: il Comitato istituzionale di coordinamento, tra Regione, province, comuni; la Crpl, tra Regione e parti sociali.
L’impianto della legge è nella sostanza condivisibile: distingue tra soggetti esclusivamente pubblici cui compete la programmazione, la sorveglianza e la valutazione, e operatori sia pubblici che privati, cui compete la gestione in regime di libera concorrenza, attuando quindi un assetto sempre più utilizzato nei servizi pubblici, destinato a fare sinergia delle risorse esistenti.
Più precisamente, alla Regione spetta la programmazione (e il relativo riparto delle risorse), la sorveglianza, la valutazione di merito sugli operatori, la disciplina del mercato del lavoro, nonché la gestione di Borsalavoro per garantirne l’accesso a tutti. Alle province spetta la redazione di programmi finalizzati a obiettivi precisi, derivati dalla programmazione regionale, e la loro realizzazione. E’ da sottolineare, e da considerare un successo del confronto realizzato nell’ultima fase dell’iter di approvazione della legge, che queste funzioni vengono esercitate con procedure che prevedono la concertazione con le parti sociali (cosa che nella prima stesura del p.d.l. non era prevista). La Commissione regionale per le politiche del lavoro e della formazione esprime, infatti, pareri obbligatori sul Piano d’azione regionale (il principale strumento di programmazione della Regione), nonché sulle modalità di attuazione dei vari provvedimenti.
La rete degli operatori pubblici e privati è composta dagli operatori autorizzati, secondo le regole stabilite dal d.lgs. 276 (il decreto attuativo della legge Biagi), che possano gestire l’intera filiera delle domande-offerte di lavoro, dalla ricerca fino al collocamento, e dall’albo degli operatori accreditati, che possono accedere ai fondi regionali e che fanno formazione, orientamento, realizzano progetti di politiche attive e assistenza ai lavoratori in stato di disoccupazione. I requisiti per l’accreditamento verranno indicati successivamente tramite procedure di concertazione in Crpl. E’ opportuno segnalare l’esigenza che non finisca come l’accreditamento dei soggetti erogatori di formazione professionale, che ha prodotto quasi 2000 accreditamenti con successiva strage dei più deboli e affannosa retromarcia.
In questo quadro spariscono competenze esclusive degli operatori pubblici (attualmente i Centri per l’impiego); se le amministrazioni provinciali vorranno metterli in condizioni di competere sul mercato con gli operatori privati (in alcuni casi veri e propri giganti, come Adecco, Manpower o Obiettivo Lavoro), dovranno investire su di essi e rinnovarli, magari facendo sinergia con altri operatori pubblici, come sta facendo ad esempio l’amministrazione provinciale di Milano con la creazione di una rete territoriale di agenzie per il lavoro e la formazione.
Gli elementi maggiormente innovativi della legge sono:
– l’istituzione della valutazione di merito sui risultati degli operatori. Essa viene affidata ad un soggetto indipendente dalla Regione, viene esercitata sui servizi finanziati dalla Regione stessa e il 75% dei finanziamenti viene assegnato sulla base dei risultati della valutazione stessa. Si tratta di un’idea proposta dal prof. Ichino nel corso di un seminario sul p.d.l. promosso dall’assessorato e mutuata dalle esperienze del Nord Europa; per un servizio pubblico, in Italia, si tratta di un’assoluta novità: dal controllo di legittimità degli atti si passa al controllo di efficienza, applicando per la prima volta un approccio radicalmente innovativo ai servizi pubblici. Si tratta di una metodologia che potrebbe essere utile anche in un ragionamento su una riforma delle retribuzioni del comparto pubblico, capace di individuare e premiare il merito e il risultato.
– Il cofinanziamento degli Enti bilaterali per ammortizzatori sociali ed erogazione di trattamenti di malattia e maternità. Si tratta di un passo avanti decisivo in direzione delle richieste, avanzate dal sindacato con la piattaforma regionale recentemente presentata al presidente Formigoni, per creare una rete “universale” di ammortizzatori sociali, capace di tutelare i lavoratori atipici e delle piccole imprese che oggi ne sono esclusi. Questa disposizione consentirà di rafforzare la bilateralità già esistente su questo terreno (Elba, Ebiter, Ebitemp, ecc.) e di incentivare la costituzione di nuovi fondi, con particolare riguardo ai lavoratori parasubordinati. Uno sviluppo auspicabile (e rivendicabile) potrebbe essere l’istituzione di un Fondo previdenziale integrativo regionale, aperto a tutti quei lavoratori che oggi sono esclusi dai Fondi Complementari contrattuali. La sinergia tra Regione e sistema delle bilateralità può essere una strada concretamente praticabile per una graduale universalizzazione del sistema delle tutele e degli ammortizzatori sociali, che si ponga l’obiettivo di far convivere la flessibilità del lavoro con la sicurezza sociale. Significa metter mano ad una nuova welfare society a livello regionale.
Vanno anche segnalati tra gli aspetti innovativi il dispositivo che permette alla Regione, d’accordo con gli Enti locali e le parti sociali, di definire e finanziare progetti specifici di tutela occupazionale e del reddito dei lavoratori, a fronte di crisi aziendali; le incentivazioni per l’assunzione di lavoratori over 45; gli incentivi per l’attuazione della l. 53/2000 (congedi parentali, tempi delle città).
Gli aspetti meno positivi della legge, al netto dei dettagli, sono soprattutto gli articoli sul contrasto del lavoro irregolare e sulla sicurezza, che risultano più generici e quindi meno efficaci di quanto avrebbero potuto, anche in considerazione del fatto che il sindacato aveva proposto nel merito un articolato preciso e del tutto accettabile.
Perplessità suscita anche la ridefinizione del ruolo dell’Arl, che nelle prime versioni del D.d.l. sembrava destinata ad un ruolo fondamentale, assumendo addirittura in sé competenze prima collocate nell’Assessorato e che, nella versione definitiva della legge, viene vagamente derubricata a componente tecnica con finalità di supporto.
Infine, la legge stabilisce che la Regione debba promuovere forme di formazione – lavoro, individuando i tirocini formativi, la Bottega-scuola e l’apprendistato, e rinviandone la regolamentazione (come da noi richiesto) a successivi provvedimenti da concertare con le parti sociali. E’ necessario che il percorso di concertazione su questi argomenti si avvii al più presto, per far fronte in tempi utili ad una richiesta che è reale di strumenti di formazione-lavoro, come indicano i ricorsi sempre più frequenti a contratti di apprendistato.