Da un paio di mesi, da quando sono saltate fuori le cifre della legge di bilancio, tutti hanno cominciato a interrogarsi sul perché Giorgia Meloni stesse per partorire una manovra 2026 decisamente micragnosa. Una miseria da 18 miliardi di euro. Roba da poverelli, senza alcuna spinta per la crescita, sogno o visione: spiccioli al ceto medio, un brutto bluff sull’aumento dei fondi Sanità, nessuna sterilizzazione dell’aumento di tre mesi dell’età pensionabile e l’incremento del peso del fisco su chi affitta.
Insomma, una serie di interventi – a parte la rottamazione delle cartelle esattoriali e i 4,5 miliardi di tasse sulle banche – che invece di portare consensi alla premier rischiano di farglieli perdere. Tanto più che la pressione fiscale è ancorata al 42,8%, sui valori massimi degli ultimi dieci anni.
La mossa del governo appare ancora più clamorosa e autolesionista se si considera che lo scorso anno Meloni ha sfornato una manovra da 24 miliardi di euro, schizzata a 28 miliardi con i primi decreti attuativi. E l’anno precedente, sempre la leader di Fratelli d’Italia, battezzò una legge di bilancio salita fino alla vetta di 35 miliardi. Insomma, il braccino corto in materia di misure economiche non sembrava essere nel Dna dell’underdog della Garbatella. Invece, ecco la sorpresa, accompagnata da una sforbiciata lacrime e sangue a tutti i ministeri. Inclusi gli 89 milioni tolti a quello della Salute. Che è un po’ come rubare i soldi dal cappello di un mendicante cieco.
La spiegazione della “manovra mignon” e di tanta parsimonia fornita dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è il rispetto dei parametri europei sui conti. Proseguire sulla strada della “serietà e credibilità”. Rassicurare, dunque, i mercati e le agenzie di rating. Tant’è che lo spread non era sceso così in basso (77 punti base) dal 2010 e Moody’s & Co. hanno cominciato ad alzare i voti.
Giorgetti mente, ma solo in parte. Se la manovra 2026 si fermerà a 18 miliardi è davvero in ossequio alle regole contabili di Bruxelles. L’obiettivo vero di Meloni, però, non è certamente quello di far felici Ursula von der Leyen e il cerbero commissario all’Economia, Valdis Dombrovskis. La premier italiana sta per sfornare una legge di bilancio che vale lo 0.8% del Pil per far scendere il deficit sotto il 3%, a fronte del 3,3% concordato con Bruxelles. E ciò permetterà al governo di uscire con un anno di anticipo della procedura d’infrazione per deficit eccessivo attivata dall’Unione europea nel 2024. Con l’effetto – e sta tutta qui la ragione della brutta legge di bilancio appena scritta e in via di approvazione – di poter varare tra un anno una manovra decisamente espansiva. Con ricchi premi e cotillon. Botti e fuochi d’artificio. Perché, guarda caso, la prossima legge di bilancio sarà proprio quella che porterà alle elezioni politiche della primavera 2027. Il voto con cui Meloni spera di fare il bis a palazzo Chigi, per poi salire due anni più tardi al Quirinale.
Giorgia tra dodici mesi, sotto l’Alberto e nella calza della Befana, libera dalla procedura per deficit eccessivo, farà la mandrakata. Regalerà agli elettori ciò che aveva promesso. Non tutto, ma molto. Tra i suoi consigliere economici c’è la certezza che arriverà “un’importante” sforbiciata alle tasse. Un aumento dell’assegno unico universale. L’introduzione dell’ormai famoso (ma mai realizzato) quoziente familiare premiando le famiglie con più figli. L’estensione della flat-tax per le partite Iva fino a 100mila euro. Il taglio delle accise, che finora invece di diminuire sono cresciute.
Più altri interventi “creativi” come qualche bonus. Ricordate gli 80 euro di Renzi? Ecco. La strada sarà quella: misure “immediatamente percepibili” dagli italiani, per avere un ritorno immediato in termini elettorali. Ma senza far saltare del tutto il banco: Meloni a Palazzo Chigi ci vuole restare, dunque dovrà continuare a dover lisciare il pelo ai mercati finanziari, vigilare sullo spread e corteggiare le agenzie di rating.
Alberto Gentili
























