Ripresa, ricostruzione, inizio. Sono parole che pronunciamo quando ciò che conoscevamo è stato spazzato via da un evento traumatico e, solitamente, improvviso e imprevedibile. La pandemia ci ha messo davanti a questo. Sbarazzarsi o migliorare il vecchio, perché ormai incapace di dare risposte. Lo abbiamo visto con la sanità, dove le politiche passate, volte più al risparmio che all’adeguamento del sistema ai bisogni della popolazione, hanno dimostrato il loro fallimento. Lo abbiamo visto nella scarsa attenzione riservata al mondo della scuola, travolta dalla didattica a distanza e minata nella sua capacità di coesione democratica. Lo stiamo vedendo nell’economia e nel mondo del lavoro. Accanto ai pericoli legati alla tenuta del nostro sistema produttivo, con imprese e posti di lavoro a rischio, resta da capire su quale via far incamminare l’Italia. Sburocratizzazione, digitalizzazione, green economy, sviluppo delle infrastrutture sono progetti e visioni per le quali oggi non è difficile trovare le risorse, ma i contenuti.
La natura stessa della nostra democrazia e gli equilibri che la sorreggono sono messi sotto analisi. Nello scetticismo che il nuovo presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha riservato al governo fin dal suo primo giorno di mandato, trova posto anche l’auspicio di un cambiamento della prassi democratica. Una democrazia negoziale nella quale, secondo Bonomi, ci sia un’alleanza pubblico-privato, e il decisore politico dialoghi costantemente con le due anime. I sindacati sembrano funamboli, chiamati a destreggiarsi su una corda molto sottile, alle cui estremità c’è il passato e il futuro. Se al momento la priorità è la difesa dell’occupazione, in prospettiva si dovrà fare i conti con un’inevitabile disoccupazione tecnologica, per la quale serviranno nuovi strumenti. Così come si dovranno contrastare le diseguaglianze tra fasce diverse di lavoratori, che con la pandemia si sono accentuate. La natura stessa delle relazioni industriali dovrà cambiare.
Ma oltre alle legittime richieste di Confindustria e allo sforzo dei sindacati di evitare uno scollamento traumatico tra nuovo e vecchio, di cose strane in questi giorni ne abbiamo viste. Le destre, private in queste settimane, per motivi sanitari, della loro arma più forte, le piazze, hanno riscoperto la centralità del parlamento, accusando il premier Conte di ricusare il confronto nelle sedi appropriate, quando i vari Salvini e Meloni hanno sempre visto nei palazzi della politica lo scenario per orchestrare il delitto perfetto ai danni del popolo. L’esecutivo, poi, avrebbe bisogno di una terapia di gruppo. I Cinque Stelle sono costantemente affetti da schizofrenia politica, dove l’ala più romantica e pasionaria, guidata da Di Battista, si scontra con quella governativa. Il Pd bloccato dalla sindrome del “vorrei ma non posso”, che tra i denti chiede a Conte uno scossone per uscire al più presto dal pantano, ma che poi si perde sul più bello. Se fossimo a scuola, ai genitori dell’alunno Pd l’insegnate di turno avrebbe detto: “vostro figlio è un ragazzo intelligente, ma potrebbe fare di più”.
Da ogni parte, dunque, c’è una spasmodica ricerca di senso e significato, ciascuno secondo la propria prospettiva e le proprie aspirazioni. Un processo di certo non facile, che non sarà esente anche da forti momenti di conflittualità. Il virus ha profondamente messo in discussione le nostre certezze, privandoci anche dell’incertezza che eravamo soliti conoscere. Mai avremmo pensato che nell’Occidente dell’industria, della tecnologia, del 5G e della ricerca potesse abbattersi una pandemia. Analisi e report degli esperti avevano dato come altamente probabile un rischio pandemico, ma tutto questo non era immaginabile per noi uomini della strada. Ci siamo ritrovati una natura che abbiamo definito ostile, che ha spezzato la nostra volontà di dominio. Abbiamo visto un Papa senza fedeli, a fare i conti con Dio da solo.
Siamo sulla soglia di quella scelta che Nietzsche vedeva tra nichilismo passivo e attivo. Il coronavirus ha distrutto la nostra metafisica. È stato il meriggio che ha dissolto le ombre che ci nascondevano i nostri errori. Possiamo dunque continuare a vivere al riparo di vuoti simulacri, oppure, con uno sforzo della volontà degno di Mafarka il Futurista, partorire nuovi valori, incentrati sulla giustizia e il rispetto.
Tommaso Nutarelli