Una donna, chiusa in una stanza e legata ad una sedia. I suoi carcerieri le mettono in testa uno strano casco, collegato ad una macchina, sorta di gigantesco computer. “Allora, ti decidi a parlare”? le chiedono. Nessuna risposta. “Peggio per te, non potrai resistere più di tanto. Ci fai solo perdere tempo”. Uno dei torturatori, il dottor Gorst, spiega che la tecnica di interrogatorio non è propriamente fisica. Racconta che su un lontano pianeta viveva “una specie senziente, un po’ insolita”, i Dizoniti, che venne annientata perché si opponeva alle mire dell’Impero. “Il massacro fu registrato come prova della missione. Emettono un suono mentre muoiono. Una specie di corale, agonizzante, supplica. Abbiamo selezionato una parte con quelli che crediamo fossero bambini. Niente di simile è mai stato udito”.
La prigioniera cede quasi subito, il volto deformato dall’orrore dopo pochi minuti di ascolto. Questa scena, tratta da un sequel di Star Wars, rinnova una domanda angosciante: dove finisce il dolore del mondo? Passa, come il vento? Onde sonore e psichiche disperse nell’aere? Potrebbero essere concepiti futuristici apparecchi in grado di captarle? Che straziante intensità raggiunge il gorgoglio di un bambino inghiottito dal mare? Qual è il suono della sua morte?
Vediamo immagini terrifiche di naufragi e di corpicini senza vita restituiti da onde più pietose di noi ma gli occhi non bastano per comprendere l’orrore di queste tragedie. Manca la voce delle vittime. Il loro ultimo, flebile, rassegnato singulto.
Ecco, se in qualche modo fosse possibile registrarlo, andrebbe fatto ascoltare, come nel film, a chi si gira dall’altra parte, a chi dice: è colpa loro, a chi invoca la difesa dei sacri confini, a chi vuole leggi ancora più severe, a chi accusa: lo fanno apposta per ricattarci, gli scafisti e le organizzazioni non governative sono complici, è tutta una storia di soldi. Ma non vedete quanti ce ne sono in giro? Vogliono invaderci, è colpa della Libia, della Turchia, anzi no, della Russia. L’Europa non fa nulla e perché dovremmo pensarci noi? Tutti costoro, casco in testa, dovrebbero sottoporre la propria mente alla “corale agonizzante supplica”. I Migranti come i Dizoniti.
Fantascienza, certo. Il risveglio sonico delle coscienze è roba da Marvel Studios. Eppure, la domanda resta: dove va il dolore? Perché l’umanità è così impermeabile? O esiste qualcuno che fa da parafulmine? Un’antica leggenda ebraica, che alcuni talmudisti fanno risalire all’origine dei secoli,” ai tempi misteriosi del profeta Elia”, parla dei Lamed-waw. In ebraico, le lettere dell’alfabeto hanno anche valore numerico: la lettera lamed equivale a 30 e waw a 6. Pertanto, lamed -waw corrisponde a 36.
André Schwarz-Bart ha scritto “Fiumi di sangue sono corsi, colonne di fumo hanno oscurato il cielo; ma scavalcando abissi e ostacoli, la tradizione si è mantenuta intatta, fino ai nostri giorni. Secondo tale tradizione, dunque, il mondo riposerebbe su 36 giusti, i Lamed- Waw, in nulla distinti dai comuni mortali; spesso non sanno d’esserlo neanche loro. Ma se uno ne mancasse, la sofferenza degli uomini avvelenerebbe persino l’anima dei neonati, e l’umanità soffocherebbe in un grido. Perché i Lamed- waw sono il cuore moltiplicato del mondo, e in essi si versano tutti i nostri dolori come in un ricettacolo. Un vecchissimo testo dell’Haggadàh racconta che quelli che più ispirano pietà sono i Lamed-waw ignoti a se stessi. Per loro, lo spettacolo del mondo è un indicibile inferno”.
Ma nemmeno l’autore de “L’ultimo dei giusti” poteva immaginare la vergogna che si prova oggi guardando un qualsiasi telegiornale.
Marco Cianca