La filosofia, troppo spesso e troppo velocemente accantonata come un esercizio vetusto, inutilmente faticoso e distaccato dal senso comune, entra nelle aule della politica. In uno dei passaggi più delicati della sua carriera politica, il premier Conte, nel suo discorso per chiedere la fiducia al Senato, cita il concetto di sympatheia. Senza questa, afferma il premier, la politica è priva di anima.
L’etimologia del termine indica quel senso di vicinanza e compartecipazione alla sofferenza e al dolore dell’altro. Nella sfera politica la sympatheia dovrebbe richiamare la consapevolezza di un destino comune collettivo e quindi la necessità della condivisione di intenti e di una visione comunitaria. Papa Francesco, nel corso della pandemia, ha usato più volte l’espressione, forse meno aulica ma maggiormente incisiva e comprensibile ai più, “essere sulla stessa barca”. Continuando sulla scia della terminologia filosofica, credo che una condizione preliminare all’attuazione della sympatheia sia definita da un’altra parola, usata qualche settimana da fa da Renzi proprio dagli scranni del Senato, parresia. Questa indica il diritto/dovere di dire la verità.
Infatti l’accoglimento dell’altro, anche nella sua dimensione legata al dolore e alla sofferenza, richiede, come prima cosa, sia l’accoglimento della verità dell’altro sia l’esercizio della verità da parte di chi accoglie. Nella diade che si crea attraverso la sympatheia e la parresia, le istanze morali, etiche, emozionali e cognitive dei partecipanti hanno lo stesso diritto di verità. Il che non vuol dire che non ci sia dibattito o che poi, alla fine, una delle due posizione non venga smentita dal punto di vista argomentativo o dai fatti. Ritornando alla dimensione politica, nell’antica Grecia c’era uno stretto legame tra la politeia, l’anima della politica e l’esercizio del potere da parte dei cittadini, e la parresia. La democrazia ateniese si fondava su tre istanze: l’isegoria, l’uguale diritto di parola per i cittadini nelle assemblee, l’isonomia, l’uguaglianza dinnanzi alla legge, e appunto la parresia. Nel ‘900 Michel Foucault nel Governo di sé e degli altri, corso che tenne al Collège de France tra il 1982 e il 1983, edito poi da Feltrinelli, individua nella parresia l’anima della democrazia greca.
Personalmente mi è difficile capire quale sia il significato che il premier Conte nel suo discorso abbia voluto dare alla parola sympatheia. Certamente uscire dalla crisi sanitaria ed economica nella quale ci ha fatto precipitare la pandemia è un obiettivo che ogni persona dotata di buon senso dovrebbe percorrere, indipendentemente dall’appartenenza politica. La ricerca di un’anima a questo progetto politico, che poi dovrebbe confluire nella definizione del Recovery Plan, è una missione ardua se non impossibile. Non solo perché la maggioranza nata nell’estate del 2019 è stata creata per mettere all’angolo Salvini, ma soprattutto perché le forze che le hanno dato vita non hanno mai esercitato a pieno l’accoglimento autentico delle istanze dell’altro. Secondo Conte, l’emergenza pandemiaca avrebbe rafforzato la sympatheia tra i partiti di governo. Credo che il male più grande vada rintracciato nel fatto che neanche il covid sia stato in grado di rinsaldare questo sentimento all’interno di tutta la politica. La mancanza di una visione comune d’intenti non si registra unicamente in questo esecutivo ma, da tempo, nell’intera classe politica.
La crisi che stiamo attraversando nasce da una mancanza di parresia tra i due contendenti, i quali hanno avuto premura di dire la verità a tutti, tranne che all’altro.
Tommaso Nutarelli