di Vincenzo Bavaro, Università di Bari
1. Se è vero che le tendenze si colgono nei particolari, allora si può ben dire che nel mercato del lavoro italiano è in corso una inversione di tendenza nella politica del lavoro; tendenza che fa mostra di sé proprio in quel segmento della panoplia di istituti contrattuali del mercato del lavoro che più di altri ha impegnato la scienza giuridica. Mi riferisco al contratto di lavoro a progetto: un contratto assai giovane dal punto di vista della disciplina normativa (dal momento che essa risale al decreto legislativo n. 276 del 2003) ma, com’è dimostrato dalle numerose ricerche, molto utilizzato in alcuni settori produttivi. Com’è ben noto al giuslavorismo italiano, l’attenzione prestata al lavoro a progetto è cresciuta in parallelo alla (vera o presunta) crisi della subordinazione, o meglio alla crisi della polarizzazione giuridica basata sulla dicotomia autonomia-subordinazione. Non intendo richiamare in questa sede la vasta letteratura scientifica – non solo giuridica – presente su questo tema; nondimeno proprio nel lavoro a progetto, così emblematico nel connotare il lavoro della «contemporaneità» (invero molto italica), si manifesta un timido capovolgimento culturale non solo desumibile dalla nuova legislazione ma anche da segnali provenienti dalla cultura organizzativo-imprenditoriale.
La prova di tale inversione di tendenza sta nella recente contrattazione collettiva che ha riguardato le più importanti imprese di servizi di call center. In queste note farò riferimento al contratto collettivo di gruppo Almaviva sottoscritto il 13 dicembre 2006 – gruppo che controlla 5 grandi aziende di call center – e, de relato, al contratto collettivo dell’azienda Atesia sottoscritto precedentemente l’11 aprile 2006, che è proprio una delle aziende del suddetto gruppo. Considero molto interesse leggere questi due contratti in una prospettiva diacronica perché segnano il mutamento progressivo avvenuto nel corso di qualche mese. Sappiamo bene – non fosse altro che per deduzione di senso comune – che il lavoro a progetto è associato idealmente proprio ai call center; e sappiamo anche che queste imprese rappresentano uno straordinario oggetto d’indagine per il giuslavorista perché consentono di verificare la fisiologia organizzativa di un istituto giuridico-contrattuale di lavoro non-subordinato ad un intero processo produttivo, quindi relativo a organizzazioni di lavoro basate su grandi numeri di unità lavorative. In altri termini, parlare di lavoro a progetto nei call center è un utile strumento conoscitivo delle trasformazioni organizzative e giuridiche dei processi organizzativi della produzione e del lavoro.
C’è un altro elemento che occorre mettere in evidenza in via preliminare per segnalare il mutamento della cultura politica del lavoro e – è il caso di aggiungere, come dirò – delle relazioni industriali. Durante la legislatura del Governo Berlusconi si è registrata una sostanziale derubricazione della prassi concertativa fra Governo e parti sociali. Anche su questo aspetto non serve dilungarsi. Orbene, la vicenda del lavoro nei call center lascia intravedere l’anticipazione di una rinnovata propensione alla concertazione tripartita. Quest’affermazione si spiega se teniamo presente l’evoluzione degli eventi in controluce rispetto al contratto di gruppo Almaviva.
La circolare del ministro del Lavoro n. 17 del 2006 fu emanata subito dopo che una ispezione del lavoro nell’impresa Atesia condusse gli organi amministrativi a rilevare un utilizzo illegittimo del contratto di lavoro a progetto. Il clamore della vicenda amplificato dagli organi di stampa fece trascurare la circostanza che gli ispettori del Lavoro si limitarono semplicemente a verificare la corrispondenza tra fatto e norma giungendo a rilevare che «il re è nudo»: insomma, si rilevò che non era possibile qualificare i rapporti di lavoro instaurati in quel call center, sulla base di una normale operazione di qualificazione della fattispecie, come lavoro a progetto ex art. 61 de d. lgs. n. 276/03. La circolare n. 17/2006, dunque, ha specificato la precedente circolare n. 1/2004 con particolare riferimento alle imprese di servizi di call center, definendo i criteri di interpretazione cui avrebbero dovuto conformarsi gli Ispettori del lavoro.
È utile osservare, intanto, che prima delle ispezioni e della circolare, Atesia aveva sottoscritto un accordo collettivo aziendale col quale si avviava un processo di gradualissima stabilizzazione dell’occupazione compiuta attraverso la trasformazione di circa 900 contratti di lavoro a progetto in contratti di inserimento e contratti di apprendistato. Si tratta di un accordo, invero abbastanza discusso, che ha avuto il merito di riconoscere che il problema della esatta qualificazione dei rapporti di lavoro nei call center esisteva e poteva risolversi soltanto avviando un percorso di trasformazione di quei rapporti in lavoro subordinato. La vicenda degli Ispettori del lavoro, ovviamente, s’intrometteva in quel percorso sindacale; tuttavia deve essere chiaro che questa alterazione avveniva del tutto involontariamente e, comunque, in base all’obbligo di applicazione della legge.
Della questione se ne è fatta carico la contrattazione collettiva confederale con l’avviso comune del 4 ottobre 2006 mediante il quale Confindustria, Cgil, Cisl e Uil hanno assunto una linea innovativa rispetto agli anni precedenti: da una parte, si assume la volontà di stabilizzare l’occupazione dei lavoratori a progetto dei call center non con soluzioni temporanee o parziali bensì con la semplice e integrale trasformazione dei contratti di lavoro a progetto in contratti di lavoro subordinato; dall’altra parte, però, le parti sociali richiedono un intervento del legislatore per sostenere questo percorso di stabilizzazione. In particolare, le parti sociali assumono l’impegno ad avviare un percorso di trasformazione del lavoro a progetto in lavoro subordinato «in coerenza con le esigenze organizzative» e previo accordo sindacale aziendale, con la precisazione che le trasformazioni riguarderanno soltanto i rapporti di lavoro a progetto eseguiti con modalità c.d. in bound (richiamando così la stessa indicazione presente nella Circolare n. 17/06) escludendo, perciò, le collaborazioni a progetto c.d. out bound. Inoltre, tali trasformazioni sarebbero state distribuite nell’arco di un anno secondo un calendario predefinito e – questo è un punto essenziale – previa conciliazione giudiziale o sindacale su eventuali pretese creditorie o risarcitorie dei lavoratori interessati alla trasformazione. Sarebbe a dire che le imprese di call center accettano di trasformare i contratti a progetto in contratti di subordinazione purché i lavoratori rinuncino ad avviare azioni giudiziarie per il periodo pregresso.
È evidente che anche questa disposizione finisce per essere una ammissione di utilizzo illegittimo del lavoro a progetto dal momento che le imprese ritengono necessario fugare il pericolo di azioni giudiziarie che, evidentemente, vengono percepite come un autentico pericolo in quanto giuridicamente fondate sulla qualificazione del lavoro come lavoro subordinato. Da un punto di vista sindacale si ratta ovviamente di un buon risultato perché si ottiene una stabilizzazione del lavoro; ma anche per le imprese resta un buon accordo peraltro dovendo confidare nella capacità del sindacato di ottenere la disponibilità dei lavoratori a conciliare.
Quest’ultimo aspetto investe la competenza legislativa in quanto nell’avviso comune si legge che «gli atti di conciliazione individuali che verranno perfezionati nell’ambito del percorso specifico definito dall’accordo sindacale, cui farà seguito la contribuzione aggiuntiva di cui in premessa, definiranno anche nei confronti dei terzi la posizione individuale del collaboratore per tutti i profili anche previdenziali, connessi alla qualificazione del rapporto». Si tratta, dunque, di una norma per la disposizione transattiva dei diritti che non può che derivare dalla legge, oltre a richiedere un sostegno a carattere economico-previdenziale.
Fin qua l’avviso comune. Su questa scia il contratto di gruppo Almaviva è il primo ad attuare questo processo di stabilizzazione ad una condizione espressamente prevista: «il presente accordo – si legge – avrà validità a seguito della conversione in legge, senza modificazioni, della normativa prevista dal disegno di legge finanziaria 2007…». Il contratto collettivo ha previsto una clausola che sospende l’efficacia del contratto condizionato dall’approvazione in parlamento della legge finanziaria 2007. Merita solo un cenno la singolarità di un accordo il cui contenuto ha validità condizionata all’approvazione di una legge, tanto più quando si tratta di un caso nel quale la trasformazione dei contratti di lavoro a progetto in contratti di lavoro subordinato non è un fatto disponibile o condizionabile ma giuridicamente necessitato.
Ad ogni modo, la Finanziaria 2007 è stata approvata ed ha previsto le misure di sostegno alla trasformazione del lavoro a progetto in lavoro subordinato richieste dall’autonomia negoziale. Vediamole più da vicino.
2. «Al fine di promuovere la stabilizzazione dell’occupazione mediante il ricorso a contratti di lavoro subordinato nonché di garantire il corretto utilizzo dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto, i committenti datori di lavoro, entro e non oltre il 30 aprile 2007, possono stipulare accordi aziendali ovvero territoriali» per promuovere «la trasformazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, mediante la stipula di contratti di lavoro subordinato». La stipulazione di tali accordi consente ai lavoratori interessati alla trasformazione di sottoscrivere atti di conciliazione individuale conformi alla disciplina di cui agli artt. 410 e 411 c.p.c. Tali atti di conciliazione producono l’effetto di cui agli artt. 410 e 411 c.p.c. con esclusivo riferimento ai diritti di natura retributiva, contributiva e risarcitoria per il periodo pregresso. Solo dopo aver sottoscritto l’accordo collettivo di trasformazione e aver convalidato gli atti di conciliazione si potrà anche riconoscere una agevolazione sulla contribuzione previdenziale per il medesimo periodo pregresso, oltre alla fruizione di tutte le altre agevolazioni previste per l’assunzione di lavoratori subordinati. Questa è il succo della disposizione normativa prevista dai commi 1202 – 1210 dell’art. 1 della Finanziaria 2007.
Come si può vedere, lo schema concertativo di queste disposizioni normative appare evidente: da una parte l’impegno delle imprese a trasformare i contratti di lavoro a progetto in contratti di lavoro subordinato; dall’altra parte l’impegno dei sindacati a sottoscrivere accordi collettivi con i quali si sostiene la rinuncia o transazione dei lavoratori ad ogni pretesa creditoria per il periodo pregresso rispetto alla trasformazione; da parte sua, la legge garantisce il quadro giuridico di tali rinunce connesso a un sostegno finanziario sul piano contributivo (300 milioni di euro sia per il 2008 sia per il 2009), sostanzialmente a vantaggio sia delle imprese: secondo il comma 1205, le imprese dovranno versare alla gestione separata dell’Inps una «somma pari alla metà della quota di contribuzione a carico dei committenti per i periodi di vigenza dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto, per ciascun lavoratore interessato alla trasformazione del rapporto di lavoro».
Una precisazione va fatta riguardo all’impegno sindacale. Deve essere chiaro che si tratta di un impegno che non significa disposizione collettiva di diritti individuali. In altri termini, l’accordo sindacale non implica un obbligo dei lavoratori a progetto di conciliare. Piuttosto, la mancata conciliazione colloca quella posizione lavorativa fuori dall’accordo sindacale e perciò fuori da un percorso concertato di trasformazione. Nulla impedisce a quel lavoratore a progetto di rivendicare la trasformazione per via giudiziaria sulla base della corretta qualificazione della fattispecie. Voglio dire che in questo caso occorre avere la consapevolezza che le imprese del Gruppo debba fare affidamento sulla (e quindi sostenere la) capacità del sindacato di governare l’intero processo di stabilizzazione.
Altre due disposizioni della Finanziaria 2007 meritano di essere ricordate: il comma 1204 si presenta come norma senza contenuto prescrittivo perché finalizzata a riconoscere il ruolo e il valore dell’avviso comune sui call center: infatti, le parti sociali possono «stabilire… misure atte a contribuire al corretto utilizzo delle predette tipologie di lavoro – cioè il contratto di lavoro a progetto – nonché stabilire condizioni più favorevoli per i collaboratori». Posta così, la norma appare del tutto inutile dal momento che essa si riferisce ai casi in cui non vi sia alcuna trasformazione di rapporti di lavoro. Tuttavia, essa sembra consentire alla parti sociali di essere soggetti di interpretazione attuativa della circolare ministeriale e così prevedere i casi nei quali utilizzare i lavoratori a progetto collegandovi – e questa è la novità – anche misure di incentivazione finanziaria. In altre parole, il sostegno riguarda non solo le trasformazioni da lavoro a progetto a lavoro subordinato ma anche, eventualmente e su previsione di accordi collettivi interconfederali, i contratti di lavoro a progetto legittimamente stipulati e utilizzati; in breve, quei contratti che, nei call center, la circolare n. 17/06 chiama di lavoro a progetto out bound.
La seconda ed ultima disposizione da ricordare è contenuta nel comma 1210 che così recita: «I contratti di lavoro subordinato di cui al comma 1203 prevedono una durata del rapporto di lavoro non inferiore a ventiquattro mesi». Pertanto, il congegno di sostegno alla trasformazione è altresì collegato ad una durata minima del rapporto di lavoro. Beninteso, occorre sottolineare quest’ultimo aspetto che è sistematicamente molto interessante. È bene mettere in evidenza che la Finanziaria 2007 collega il sostegno alla trasformazione del lavoro a progetto in lavoro subordinato senza che questo contratto sia necessariamente a tempo indeterminato ben potendo essere a termine. Tuttavia, qualora la trasformazione fosse a tempo determinato dovrebbe avere una durata minima di due anni per poter rientrare nel sistema di incentivazione.
3. Con l’entrata in vigore della Finanziaria 2007, dunque, l’accordo di gruppo Almaviva ha piena validità, e perciò a partire dal 1° gennaio 2007 decorre il primo trimestre (dei quattro complessivi) entro cui trasformare il primo scaglione di contratti di lavoro a progetto ciascuno equivalente al 25% del totale dei lavoratori assunti con tale tipologia contrattuale. La trasformazione comporterà l’assunzione dei lavoratori con contratto di lavoro subordinato a tempo parziale con durata settimanale della prestazione pari a 20 ore e inquadramento al 3° livello del Ccnl del settore delle telecomunicazioni.
Innanzitutto occorre mettere in evidenza le peculiarità di questo accordo collettivo di gruppo sia rispetto al precedente accordo aziendale di Atesia sia rispetto alla previsione della Finanziaria.
Rispetto al contratto aziendale di Atesia, l’accordo è più avanzato nella prospettiva della stabilizzazione perché non ricorre né all’apprendistato né al contratto di inserimento. In verità anche questi due tipi di contratto costituiscono fattispecie di lavoro subordinato; tuttavia, sembrerebbe desumersi la volontà delle parti di ricorrere alla tipologia standard ex art. 2094 c.c. non fosse altro perché quando le parti hanno voluto riferirsi a specifici tipi contrattuali l’hanno espressamente indicato (com’è avvenuto per Atesia, appunto). Inoltre, non si deve dimenticare che il contratto di apprendistato e d’inserimento sono pur sempre contratti di durata predeterminata, a differenza della disposizione dell’accordo Almaviva che espressamente fa riferimento a contratti a tempo indeterminato (v. le osservazioni sull’ accordo aziendale Atesia e su tutta la vicenda cui ho fatto riferimento A. PERULLI, Lavori atipici e per subordinazione tra diritto europeo e situazione italiana, RGL, 2006, I, p. 743 – 746). A questo proposito si può fugare anche il dubbio circa il coordinamento dei due contratti collettivi dal momento che il più recente (Almaviva) è gerarchicamente superiore al precedente (Atesia) perché il primo è di gruppo ed il secondo è aziendale, oltre al fatto che il contratto Almaviva risulta più favorevole ai lavoratori: da ciò deriva che tutti i lavoratori a progetto di Atesia saranno inclusi nel percorso di stabilizzazione. Il problema, piuttosto, si potrebbe porre per gli ex lavoratori a progetto assunti con contratto di apprendistato o d’inserimento prima del 31 dicembre 2006 e che, perciò, sarebbero fuori dalla previsione contrattuale.
Rispetto alla Finanziaria 2007, la prima cosa che risalta agli occhi è che le assunzioni sono effettuate a tempo indeterminato e non – come pure consentirebbe la Finanziaria – a termine. Questo aspetto è interessante anche perché induce a rimettere in discussione una complicata questione giuridica relativa alla configurazione della fattispecie contrattuale del lavoro a progetto. Uno degli aspetti di maggiore dibattito in dottrina e giurisprudenza – ma anche nella interpretazione amministrativa vista la circolare n. 17/06 – è la connessione logico-dogmatica fra il progetto (o programma o fase di esso) e la durata determinata del rapporto. Un punto ormai condiviso riguarda il fatto che il contratto di lavoro a progetto è strutturalmente diverso rispetto alle collaborazioni coordinate e continuative ex art. 409 c.p.c. soprattutto (anzi, soltanto) per la determinazione di un termine entro cui realizzare il risultato dedotto in contratto.
Ebbene, la scelta di costituire contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sembra svelare definitivamente il velo trasfigurante (e illegittimo) che finora ha ricoperto contratti di lavoro privi innanzitutto del fondamentale requisito della temporaneità connessa all’esistenza del progetto, programma o fase di esso. Infatti, a meno che non si voglia pensare che nel gruppo Almaviva vi sia stata improvvisamente un mutamento dell’organizzazione produttiva tale da richiedere lavoro a tempo indeterminato, appare più probabile ritenere che la situazione fisiologica sia quella cui oggi il gruppo decide di fare formale riferimento.
Dal punto di vista della durata del lavoro, quanto appena detto riguarda la durata del rapporto (da tempo determinato a tempo indeterminato). V’è anche una specificazione dal punto di vista della durata della prestazione poiché l’assunzione dei lavoratori sarà a part-time della durata di 20 ore settimanali. SI tratta di una tipologia organizzativa dell’orario che nel caso di specie risulta essere assai conforme alle esigenze di flessibilità nell’organizzazione del lavoro. Ai lavoratori interessati da questo accordo di gruppo si applicherà il contratto collettivo del settore delle Telecomunicazioni rinnovato il 3 dicembre 2005 (da me commentato in q. riv. il 10 gennaio 2006) col quale si è dato attuazione anche alle modifiche introdotte dall’art. 46 del d. lgs. n. 276/03 proprio in materia di part-time. Si tratta di una disciplina che ha adottato sia la clausola elastica (per la variazione della collocazione temporale) sia la clausola flessibile (per la variazione in aumento della durata dell’orario). Peraltro, secondo l’art. 18 del Ccnl la variazione dell’orario dei lavoratori part-time disposta secondo il modello dei turni applicati ai lavoratori a tempo pieno non si configura come clausola elastica e perciò non soggiace a questo scarno regime giuridico sulle maggiorazioni retributive.
Insomma, le esigenze di organizzazione flessibile dei tempi di lavoro appaiono ampiamente salvaguardate collocando tale flessibilità nel fisiologico schema giuridico di riferimento.
4. C’è un secondo aspetto da tenere in considerazione e che ha notevole rilievo dal punto di vista giuridico e politico. Accanto al problema della durata del rapporto di lavoro a tempo indeterminato si pone il problema delle modalità di svolgimento della prestazione di lavoro da cui dipende la configurazione del lavoro subordinato o autonomo (a progetto). Grazie alla trasformazione in lavoro subordinato si presume che dovrebbero concretamente mutare anche le modalità di svolgimento della prestazione di lavoro: cioè da essere una prestazione autonoma – per quanto coordinata – diventa una prestazione subordinata.
A me pare che, in linea di principio, le alternative sono due: o il gruppo Almaviva con questo accordo ha deciso di modificare radicalmente il processo produttivo trasformando una organizzazione di lavoro autonomo a progetto in una organizzazione di lavoro subordinato oppure l’accordo riconosce di fatto una anomalia e sana una situazione giuridica illegittima. Poiché ritengo improbabile la prima soluzione, ritengo verosimile affermare che l’accordo sia la conferma in fatto di un orientamento in diritto presente nella circolare ministeriale: e cioè intanto si conferma che il lavoro a progetto nei call center svolto con modalità c.d. in bound è illegittimo perché quella fattispecie non è qualificabile come lavoro a progetto, bensì come lavoro subordinato. Insomma, anche la contrattazione collettiva del più importante gruppo imprenditoriale del settore si allinea ad un prevalente orientamento dottrinale e giurisprudenziale (richiamo per tutte le sentenze Trib. Torino, 5 aprile 2005 e Trib. Ravenna, 25 ottobre 2005) nel sostenere che la fattispecie «lavoro a progetto» non può essere confusa né può surrettiziamente sostituire la fattispecie «lavoro subordinato». Esse attengono a due tipologie diverse al punto che laddove si configuri una prestazione svolta «alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore» lì c’è lavoro subordinato ex art. 2094 c.c.
Il problema, piuttosto riguarda la corretta configurazione della dipendenza e dell’eterodirezione della prestazione in un call center. Orbene, pur riconoscendo la complessità del problema che non è possibile neanche accennare in questa sede, di una cosa si può essere certi: la dipendenza e l’eterodirezione, quale che sia l’interpretazione che se ne voglia dare, è pienamente riscontrabile in qualsiasi prestazione di lavoro c.d. in bound.
Quanto alle prestazioni c.d. out bound il discorso è diverso, come ci suggerisce la Circolare, ma non tanto diverso da giustificare una diversa qualificazione dei lavoratori del gruppo Almaviva dal momento che in base all’accordo la trasformazione riguarda sia i lavoratori a progetto in bound sia quelli out bound. Questo fatto non deve passare inosservato.
Con una certa dose di malizia, anche in questo caso potrei prospettare una alternativa: premesso che il gruppo Almaviva riconosce l’esistenza di queste modalità di prestazione (cioè l’out bound) si potrebbe presumere che esso abbia deciso di ricorrere ugualmente alla trasformazione in lavoro subordinato anche di questi contratti, pur non essendo obbligato in base all’accordo, assumendo costi superiori a quelli giuridicamente necessari. Infatti, stando alla Circolare ministeriale, nessun ispettore del Lavoro potrebbe sollevare rilievi dinanzi ad un lavoratore a progetto out bound. Il punto è che mi sembra ragionevole presumere che l’impresa assuma i costi che è costretta ad assumere di modo che la trasformazione del lavoro a progetto out bound in lavoro subordinato è un fatto politico-sindacale molto apprezzabile ma anche indicativo di un realismo tecnico-organizzativo. Voglio dire che questa scelta si spiega con fatto che anche una prestazione di lavoro connessa a campagne out bound può essere organizzata in base ai canoni giuridici del lavoro subordinato, cioè alle dipendenze e sotto la direzione dell’impresa.
Non si tratta di sminuire il valore interpretativo della circolare n. 17/06; al contrario, si tratta di valorizzare proprio la descrizione delle modalità di svolgimento della prestazione che ne ha fatto la circolare e cioè valorizzare l’indice autentico dell’autonomia organizzativa della prestazione di lavoro e non semplicemente l’idea che la correlazione a campagne di promozione in out bound connoti la prestazione di lavoro medesima come autonoma. In altri termini, la subordinazione o l’autonomia non dipendono dal contesto in cui si inserisce la prestazione bensì dal concreto assetto organizzativo della stessa nel suo svolgimento.
Per questa ragione questo contratto collettivo di gruppo ha uno straordinario valore simbolico. Quantomeno rispetto alla tipologia del contratto di lavoro a progetto si tratta di un contratto apprezzabile anche sul piano di una rinnovata etica delle relazioni aziendali. Si tratta di un importante riconoscimento della centralità del lavoro subordinato non solo perché ciò consente ai lavoratori di godere del relativo statuto giuridico quanto perché rappresenta un esempio di corrispondenza autentica del modello organizzativo al modello di rappresentazione giuridica: laddove il lavoro è organizzato secondo lo schema giuridico della subordinazione, anche quando essa connoti nuovi processi produttivi, cioè nuovi lavori, le parti sociali si assumono la responsabilità giuridica della legittima configurazione giuridica e dei modelli organizzativi consentiti dalla legge. Insomma, un buon esempio di contrattazione per iniziare un’inversione di tendenza nel sistema delle relazioni industriali e nell’organizzazione del mercato del lavoro italiano.