di Volker Telljohann – Fondazione Istituto per il Lavoro, Bologna
1) La partecipazione contrattuale
Il quadro italiano è caratterizzato da un’istituzionalizzazione quasi inesistente dei diritti di partecipazione. In assenza di una legislazione le esperienze di partecipazione dei lavoratori o dei loro rappresentanti si manifestano in forma di partecipazione diretta o in forma di partecipazione contrattuale.
Per forme di partecipazione contrattuale intendiamo percorsi partecipativi formalizzati che in genere vengono attivati attraverso la negoziazione sindacale. La partecipazione contrattuale che va dai diritti di informazione e consultazione attraverso la partecipazione economica alla codeterminazione può essere definita partecipazione forte (1) in quanto riesce a modificare i criteri di esercizio delle prerogative manageriali.
Poiché le esperienze più significative di partecipazione si basano su accordi fra le parti sociali si può parlare di una via contrattuale alla partecipazione. Dopo le prime esperienze di introduzione di diritti di informazione a a metà degli anni Settanta, nella seconda metà degli anni Ottanta è avvenuto un salto di qualità rappresentato dall’introduzione attraverso la contrattazione aziendale di organismi e procedure di partecipazione. Le esperienze più significative che promuovevano l’introduzione di meccanismi di partecipazione erano gli accordi firmati nei gruppi a partecipazione statale (IRI, ENI). Questi accordi prevedevano l’istituzione di apposite commissioni paritetiche per la gestione congiunta di tematiche di interesse comune.
In seguito sono state sviluppate varie esperienze partecipative molto differenziate in quanto rispondono alle specifiche esigenze delle relative imprese. Nei casi più avanzati come per esempio nel caso della Zanussi si è giunti anche ad esperienze di co-progettazione di innovazioni organizzative. (2) La mancanza di un’istituzionalizzazione dei diritti partecipativi e gli approcci differenziati delle varie aziende alla partecipazione hanno fatto sì che il quadro italiano in materia di partecipazione risulti particolarmente frammentato.
Il quadro italiano in materia di partecipazione non è solo caratterizzato da una quasi inesistente istituzionalizzazione di diritti di partecipazione ma anche da risultati e tendenze poco incoraggianti per quanto riguarda le esperienze concrete realizzatesi in passato. Si potrebbe sostenere che le esperienze italiane di partecipazione rappresentino delle occasioni mancate. A questo riguardo i casi più significativi sono il protocollo IRI, il protocollo ENI, il patto sociale del 1993 ed infine il modello Zanussi. Gli esigui spazi che il patto sociale offre in materia di partecipazione non sono mai stati utilizzati appieno dalle parti sociali; il protocollo IRI e soprattutto il modello Zanussi invece non hanno retto alle varie forme di contraddizioni a cui erano esposti fin dall’inizio. In più è da sottolineare che nonostante queste esperienze siano sempre state considerate casi avanzati da prendere come modello non hanno mai assunto un ruolo trainante; sono rimaste sostanzialmente dei casi avanzati, ma isolati. Si può quindi riassumere che ad oggi la partecipazione contrattuale ha prodotto dei risultati deludenti dal punto di vista quantitativo e poco stabili dal punto di vista qualitativo.
2) Sfide per il futuro ed il ruolo delle direttive europee
Visto questi risultati poco soddisfacenti pare che ci sia bisogno di una regolazione più incisiva, e quindi di una legislazione in grado di promuovere la partecipazione nei vari processi di cambiamento. Il limite del patto sociale del 1993 sta nel fatto che incentiva la partecipazione solo indirettamente. In prospettiva sarebbe quindi auspicabile un’istituzionalizzazione dei diritti di partecipazione per creare un contesto più favorevole ai processi di cambiamento. Per favorire l’efficacia e l’incisività dei processi di partecipazione l’istituzionalizzazione dei diritti dovrebbe fornire una chiara definizione del concetto di partecipazione includendo aspetti come la tempestività del coinvolgimento ed i diritti all’autonomia progettuale, alla formazione, a risorse e alla possibilità di poter ricorrere ad esperti esterni.
Di fronte a queste esigenze le iniziative del Parlamento europeo in materia di informazione e consultazione potrebbero acquisire una certa rilevanza per quanto riguarda i diritti di partecipazione a livello nazionale. (3) Le norme comunitarie in materia di diritti di informazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori nelle imprese in Europa contenute soprattutto nelle tre direttive 94/45/CE, 2001/86/CE e 2002/14/CE rappresentano un’occasione per una modernizzazione degli strumenti di partecipazione in Italia. Il maggiore contributo potrebbe probabilmente arrivare dalla direttiva 2002/14/CE che istituisce un quadro generale di diritti relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori nella Comunità europea e che prevede l’applicazione di questi diritti in tutte le imprese e stabilimenti degli Stati membri con un determinato numero di addetti (50 per le prime, 20 per le seconde).
L’adozione di questa direttiva viene giustificata dalla parziale inefficacia dei quadri giuridici a livello comunitario e nazionale in materia di coinvolgimento dei lavoratori nei processi di cambiamento a livello di impresa o di stabilimento. L’obiettivo della direttiva consiste fra l’altro nell’intensificare il dialogo sociale per favorire l’anticipazione dei rischi, sviluppare la flessibilità dell’organizzazione del lavoro, agevolare l’accesso dei lavoratori alla formazione e promuovere il coinvolgimento dei lavoratori nella conduzione dell’impresa e nella determinazione del suo futuro. Si intende promuovere ed intensificare l’informazione e la consultazione sulla situazione e l’evoluzione dell’occupazione, in particolare quando risulta che l’occupazione nell’ambito dell’impresa potrebbe essere minacciata. La direttiva definisce anche che i processi di informazione e consultazione devono avvenire in tempo utile per garantire il successo dei processi di adattamento delle imprese alla globalizzazione dell’economia mediante lo sviluppo di nuove procedure di organizzazione del lavoro.
Un ulteriore merito della direttiva sta nella precisa definizione dei concetti ‘informazione’ e ‘consultazione’. Per informazione si intende “la trasmissione di dati da parte del datore di lavoro ai rappresentanti dei lavoratori per consentir loro di prendere conoscenza della questione trattata e esaminarla”; per consultazione invece si intende “lo scambio di opinioni e l’instaurazione di un dialogo tra i rappresentanti dei lavoratori e il datore di lavoro”.
In più viene specificato che l’informazione deve avvenire secondo modalità e con un contenuto appropriati, suscettibili “di permettere ai rappresentanti dei lavoratori di procedere ad un esame adeguato e di preparare, se del caso, la consultazione”. Anche per la consultazione vale che la scelta del momento, le modalità e il contenuto devono essere appropriati. I rappresentanti dei lavoratori hanno diritto ad un incontro con il datore di lavoro ed ad una risposta motivata al loro eventuale parere. La consultazione dovrebbe inoltre avvenire al fine di ricercare un accordo sulle decisioni che comunque dipendono dal potere di direzione del management.
Per quanto riguarda l’impatto sulle relazioni industriali in Italia la direttiva 2002/14/CE dovrebbe portare soprattutto ad una maggiore certezza in materia di diritti di informazione e consultazione; in particolare dovrebbe assicurare condizioni di effettività e di esigibilità di questi diritti. La direttiva obbliga gli Stati membri a garantire l’efficacia del diritto comunitario attraverso l’emanazione di sanzioni “effettive, proporzionate e dissuasive”. È comunque da evidenziare che la soluzione applicata nell’ambito della trasposizione della direttiva 94/45 si è dimostrata del tutto inadeguata. Gli strumenti della conciliazione nell’ambito di una commissione composta da membri nominati dalle parti e del ricorso ad una semplice sanzione amministrativa in caso di inottemperanza non si sono dimostrati un efficace deterrente contro la violazione dei diritti previsti dalla direttiva. (4)
Il fatto che l’applicazione della direttiva venga imposta anche alle imprese con 50 addetti o agli stabilimenti con 20 implica per l’Italia un notevole impatto vista la struttura produttiva del Paese. Attraverso la direttiva il diritto di informazione e consultazione viene esteso alle imprese di piccole dimensioni che prima non venivano raggiunte essendo spesso nei contratti collettivi più alta la soglia dimensionale. La trasposizione della direttiva dovrebbe comunque anche contribuire a migliorare la qualità dei diritti. Se nel patto sociale del 1993 prevede un coinvolgimento rispetto alla gestione degli effetti sociali dei processi di ristrutturazione e di cambiamento tecnologico ed organizzativo, le norme comunitarie prevedono processi di informazione e consultazione in tempo utile per anticipare e prevenire i rischi legati ai processi di cambiamento. È altrettanto importante che la direttiva consente alle rappresentanze dei lavoratori di preparare pareri ed ipotesi alternativi a quelli del management.
Riassumendo si può sostenere che le modalità ed i principi che caratterizzano le norme comunitarie contribuiscono al riconoscimento del ruolo dei lavoratori e delle loro strutture di rappresentanza nell’ambito di processi di cambiamento organizzativo e di ristrutturazione. Per quanto riguarda il quadro giuridico italiano la legislazione europea dovrebbe portare attraverso i necessari processi di adattamento e mutamento dei diritti di informazione e consultazione ad un miglioramento significativo della normativa nazionale in materia. Il fatto che sarà necessario provvedere alla trasposizione della direttiva in una legge italiana contribuirà alla certezza e alla generalizzazione dei diritti di partecipazione. L’applicabilità della legge è più sicura rispetto al contratto collettivo. La direttiva 2002/14/CE insieme alla direttiva sullo Statuto di Società Europea (2001/86/CE) potrebbero quindi assumere un ruolo importante nel rilanciare una strategia del sindacato in materia di partecipazione.
Per quanto siano importanti diritti certi ed esigibili, ci sono comunque ancora altri fattori che influenzano lo sviluppo dei processi di partecipazione. I risultati della partecipazione dipendono anche dalle conoscenze rese disponibili ai lavoratori ed i loro rappresentanti. Esiste quindi anche una dimensione materiale della partecipazione rappresentata dalla disponibilità di risorse dedicate a processi di formazione e ricerca. Visto che l’incisività dei processi di partecipazione dipende anche dalle competenze un approccio serio allo sviluppo della partecipazione dovrebbe basarsi su garanzie per tutti gli attori coinvolti riguardanti le possibilità sia di accesso alle conoscenze esistenti, sia di produzione di nuove conoscenze attraverso la ricerca. Rispetto al problema di fornire ai rappresentanti dei lavoratori le necessarie competenze al fine di garantire una partecipazione effettiva la direttiva europea 94/45/CE sui Comitati aziendali europei contiene un punto interessante di riflessione. Nelle prescrizioni accessorie si trova il diritto del Cae di poter “farsi assistere da esperti di sua scelta, nella misura in cui ciò risulta necessario allo svolgimento dei suoi compiti”. Le spese in caso di utilizzo di un esperto sono a carico dell’impresa.
1) Si veda G. Baglioni, La partecipazione nel tempo della globalizzazione, “L’impresa al plurale. Quaderni della partecipazione”, 5, 2000, p. 34.
2) Cfr. Garibaldo F., Problemi di politica rivendicativa: la natura dei rapporti cooperativi fra i lavoratori rispetto alla struttura dell’impresa. Esperienze e problemi di progettazione organizzativa nei metalmeccanici bolognesi, in O. Marchisio (a cura di), Frammenti di innovazione, Franco Angeli, Milano, 1988, pp. 13-42; Garibaldo F., Dai casi ai contratti: iter ed output negoziale in Marchisio O. (a cura di) Frammenti di sindacato: dai casi ai contratti, Franco Angeli, Milano, 1990, pp. 26-41; V. Telljohann, The Italian industrial relations system and new forms of participation, in D. Foden, J. Hoffmann, R. Scott (a cura di), Globalisation and the Social Contract, ETUI, Bruxelles 2001, pp. 277-294.
3) Cfr. V. Telljohann, Ricontrattare l’organizzazione del lavoro, in: Quaderni Rassegna Sindacale – Lavori, Vol. 6, 3, 2005, pp. 139-150.
4) Cfr. G. Arrigo, Alcune questioni interpretative connesse alla trasposizione della Direttiva n. 2002/14, in: CGIL, Newsletter del segretariato Europa CGIL, n.3, 16.02.2006, p. 11.




























