La guerra commerciale tra Usa e Cina e il possibile dirottamento delle esportazioni di quest’ultima verso il mercato europeo, per sfuggire alla tariffe imposte da Trump, potrebbero avere impatti diretti su 29 milioni di lavoratori europei, il 27% del totale mercato del lavoro dell’area euro. A dirlo è uno studio contenuto nell’ultimo bollettino della Banca Centrale Europea.
Dal 2001, anno di adesione della Cina all’Organizzazione mondiale del commercio, le sue esportazioni verso la zona della moneta unica sono cresciute notevolmente, si legge nel rapporto, e dopo una sostanziale stabilizzazione nel decennio 2010-2020, dopo la pandemia sono salite del 60%. Le esportazioni verso il Dragone dei beni europei hanno toccato il 15,6% nel 2024.
Venendo ai settori più esposti alla penetrazioni delle importazioni cinesi in prima linea c’è quello manifatturiero, che occupa 24 milioni di addetti. Segmenti come i veicoli o i prodotti chimici che danno lavoro, in termini assoluti, a un numero ristretto di persone – insieme impiegano 4 milioni di lavoratori, il 2,5% del totale – restano, tuttavia, strategici per il valore aggiunto che generano, l’automotive contribuisce al 10% di quello manifatturiero e al 2% del Pil, e per interconnessioni con alte filiere produttive. Altri settori esposti, tra cui carta, apparecchiature elettriche e plastica, rappresentano altri tre milioni di lavoratori, pari all’1,7% del totale degli occupati.
Lo studio evidenzia come i settori maggiormente esposti alla concorrenza di Pechino abbiano registrato, tra il 2019 e il 2024, un calo della domanda di lavoro. Nel settore dell’auto si registra un calo del 55%, mentre nell’industria chimica si arriva al 95%. Al contratto nei settori meno minacciati la domanda di lavoro è rimasta, in media, stabile nello stesso lasso temporale. Per concretizzare l’impatto, tra il 2015 e il 2022, ogni mille euro in più di importazioni dalla Cina per ogni lavoratore di un settore ha causato un calo dell’occupazione in quel segmento dello 0,1%, che vuol dire che circa 240mila posti di lavoro hanno smesso di esistere o sono migrati in comparti meno vulnerabili.
Nel complesso la crescente competitività delle esportazioni cinesi pone sfide significative per i mercati del lavoro dell’area dell’euro. Mentre al momento, si legge nello studio contenuto nel bollettino della Bce, l’impatto è concentrato sull’auto e il settore chimico, le implicazioni più ampie potrebbero estendersi a quasi un terzo dell’occupazione dell’area dell’euro.
La deviazione degli scambi commerciali dagli Stati Uniti, combinata con la crescente competitività della Cina nei settori ad alto valore aggiunto, suggerisce che le imprese dell’area dell’euro debbano adattarsi a un contesto globale sempre più competitivo. Gli shock commerciali possono causare interruzioni a breve termine e spostamenti di posti di lavoro tra i settori.
Nel lungo periodo lo studio offre una visione non così buia per il mercato del lavoro europeo perché l’occupazione totale potrebbe non variare di molto, poiché l’economia si adatta attraverso variazioni salariali e lo spostamento dei lavoratori tra i settori. Tuttavia le inefficienze del mercato del lavoro, i costi di aggiustamento e le politiche governative potrebbero causare interruzioni temporanee prima che venga raggiunto il nuovo equilibrio.
Tommaso Nutarelli