La serata fredda non scoraggia le sardine che sbarcano a Firenze. Piazza della Repubblica – sulla quale si affaccia lo storico Caffè delle Giubbe Rosse che fu il teatro di una rissa tra alcuni intellettuali fiorenti, come Soffici, Prezzolini e Rosso, e i futuristi di Milano, capitanati da Marinetti e Boccioni – è gremita, così come le strade limitrofe. La giostra che anima la piazza, autentico gioiello dell’artigianato fiorentino, è un’isola illuminata circondata dalla folla. C’è chi parla di 40mila persone, altre stime più prudenti si attestano tra le 10 e le 15mila.
Una piazza eterogenea e trasversale, nella quale si mescolano età e condizioni sociali diverse, ma dove tutti sono accomunati dal bisogno di una narrazione politica diversa, che abbandoni i toni aggressivi dell’attacco costante nei confronti dell’avversario, dove Bella Ciao, che a volte assume le vesti del feticcio, si alterna e si fonde con I cento passi dei Modena City Ramblers. Una piazza nella quale la parola che più spesso risuona è “disagio”.
Chiedo a una sardina che cosa intenda con questo termine. Mi spiega che per lei il disagio viene da una politica che ha abbandonato totalmente la dimensione umana del confronto. Il disagio non è legato solamente alle difficoltà quotidiane che ci sono sempre state e che vengono sempre superate, anche se con fatica, ma alla mancanza di una prospettiva che metta al centro la persona. Per un’altra il disagio si manifesta in una società disumanizzata, incentrata sull’individualismo e la paura dell’altro.
Un disagio dunque verso una politica non seria, che non rispetta i cittadini. Una politica che, come sottolinea un’altra sardina, gioca sulle paure delle persone, le alimenta e se ne alimenta, che non se ne prende cura, che non le placa e che non offre una cornice entro la quale provare a ricomporre fratture sempre più profonde.
Ma non dite a queste sardine che la loro azione si riduce a un “essere contro”. Le sardine, forse, stanno crescendo. Quello che tentano di offrire è un rinnovato spirito di partecipazione, un modo diverso di fare politica, che alla violenza verbale e alla semplificazione di Salvini mette sul piatto un linguaggio rivolto alla decifrazione della complessità, che mira a un unire e non a dividere.
Insomma, c’è l’urgenza di una buona politica. Quella che le sardine cercano di portare è una prospettiva alternativa, ancora embrionale, molto nebulosa e disarticolata, che però ha fatto della libertà e dell’autonomia alcuni dei suoi tratti distintivi. Infatti, la ricerca della buona politica al momento non contempla i partiti che animano la scena attuale. Anche a Firenze non ci sono simboli.
E forse lo scarto più significativo è proprio questo. Al momento le sardine più che alle urne pensano alla testa delle persone. Vogliono farle ragionare, abbattere il pensiero unico del sovranismo e del populismo, evitare la logica del voto di pancia. Il rischio maggiore è che al momento del voto tutte queste buone intenzioni si perdano nel mare dell’indifferenza. Parte della sinistra cerca di rispecchiarsi nelle sardine ma, al momento, le sardine non sembrano disposte a fare altrettanto.
Tommaso Nutarelli