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Home - Rubriche - Poveri e ricchi - L’inflazione, il 2%, e i “calci nel sedere” all’economia

L’inflazione, il 2%, e i “calci nel sedere” all’economia

di Maurizio Ricci
3 Luglio 2023
in Poveri e ricchi, Analisi
Inflazione, Istat: a maggio si attesta al 6,8%

Aiuto, l’inflazione ci travolge. O, invece, no? Chi ha seguito il simposio di Sintra delle banche centrali, nei giorni scorsi, ne è tornato con l’immagine dei capi della Fed e della Bce come meteorologi spauriti davanti all’alluvione alle porte. Christine Lagarde si è affrettata a eliminare ogni dubbio su un nuovo aumento dei tassi di interesse entro luglio e, chissà, forse anche a settembre.

Eppure, la narrazione non convince. La situazione richiede certamente ombrello e stivali, ma, forse, il gommone lo si può lasciare in garage. L’impressione è che chi sosteneva che la fiammata dell’inflazione fosse transitoria, intimidito finora dal boom dei prezzi dell’energia, stia cominciando ad avere ragione: l’inflazione si stempera, anche se la transizione sta durando molto più del previsto. In Europa, quello della Spagna, dove l’inflazione è scesa a giugno sotto il fatidico limite del 2 per cento è, probabilmente, un caso limite. Ma, sul mercato italiano, nel trimestre marzo-maggio, i prezzi sono crollati dell’11,2 per cento. Naturalmente, non stiamo parlando dei prezzi al consumo, ma di quelli alla produzione. Ma il fatto che, all’uscita dalle fabbriche, i prezzi si stiano rapidamente ridimensionando è un buon segnale per quello che potrà avvenire, poi, al consumo e, forse, anche un indizio che le imprese stanno cominciando ad assorbire, con una riduzione dei profitti, le spinte salariali. Anche nel settore dei servizi – quello che più preoccupa oggi gli uffici studi delle banche centrali – le pressioni rallentano: l’aumento registrato ad inizio 2023 è inferiore a quello dell’ultimo trimestre del 2024 e, smaltito l’effetto di inizio estate, il rallentamento dovrebbe farsi più sensibile.

Infatti, a giugno, l’inflazione complessiva è scesa in Italia, rispetto ad un anno fa, al 6,4 per cento, contro il 7,6 di maggio, grazie al previsto e prevedibile crollo dei listini dell’energia (-4,1 per cento in un solo mese). Dire che, a questo punto, gli unici a lanciare l’allarme sull’inflazione in arrivo sono i banchieri centrali è, probabilmente, esagerato. Però, per quello che valgono, i sondaggi sulle aspettative di ulteriori aumenti dei prezzi, sia dal lato delle imprese che da quello dei consumatori, in Italia, come nel resto d’Europa, segnalano un diffuso raffreddamento dei timori. Risultato? Fra chi si occupa di previsioni, la stima più diffusa è che, a dicembre, l’inflazione sia scesa al 2,5 per cento. Ovviamente, non è l’inflazione media del 2023 che sarà, per via degli aumenti dei mesi scorsi, almeno del 5 per cento, ma l’incremento dei prezzi fra dicembre 2022 e dicembre 2023. In altre parole, la velocità a cui viaggerà l’inflazione fra sei mesi.

Attenzione, però. Questo risultato – l’inflazione al 2,5 per cento – sarà raggiunto quando la raffica di rincari dei tassi di interesse iniziata dalla Bce un anno fa avrà appena cominciato a fare il suo effetto: occorrono, mediamente, 18 mesi, infatti, perché le scelte di politica monetaria abbiano realmente impatto sull’economia. Ecco perché continuare a pigiare sul pedale dei tassi, anche nei prossimi mesi, come chiesto a gran voce dalla Bundesbank e da altre banche centrali del Nord Europa, può risultare inutile contro una inflazione già domata. Anzi, controproducente, perché la stretta rischia di generare una recessione, quando non ce n’è più bisogno.

Ma una inflazione al 2,5 per cento creerà, comunque, un’altra linea di frattura nei dibattiti a Francoforte. Joachim Nagel, il boss della Bundesbank, e altri alleati già insistono perché la leva dei tassi venga comunque spinta al massimo a lungo, ovvero almeno quanto serve a scendere stabilmente sotto il famoso limite del 2 per cento. Il problema è che togliere quel mezzo punto dal 2,5 per cento – avvertono molti economisti – può risultare più doloroso  e penoso del percorso necessario per portare l’inflazione dall’8 al 2,5 per cento. Prepariamoci, quindi, ad un acceso dibattito sui tempi del rientro nel 2 per cento. A tutti i costi, pur di rientrare nel 2 al più presto possibile? O a tempi più dilatati, con una stretta via via sempre più dolce, lasciando all’economia il tempo di riassestarsi senza troppi calci nel sedere?

Maurizio Ricci

Maurizio Ricci

Maurizio Ricci

Giornalista

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