Salvini ha ragione. La nomina di David Sassoli (ancora un giornalista dopo Antonio Tajani) alla testa del Parlamento europeo non rispetta il voto italiano: Sassoli è un esponente di punta del Pd, mentre le elezioni, in Italia, danno una indicazione tutta diversa, premiando Lega e 5Stelle. Salvini, tuttavia, se ne faccia una ragione. La scelta di Sassoli rispetta, infatti, il voto europeo e le dinamiche della politica europea e conferma l’isolamento e l’impotenza del sovranismo salviniano. Installare a capo del massimo organo della democrazia europea un euroscettico – leghista o grillino – sarebbe stato possibile solo nell’ipotesi che nazionalisti e sovranisti ribaltassero, nelle urne, gli equilibri tradizionali della politica europea. Non è avvenuto. Anzi, il voto europeo ha, semmai, premiato verdi e liberali, cioè i partiti più europeisti. A maggio, Salvini ha vinto le elezioni in Italia. In Europa, le ha perse.
La distinzione è importante, per capire quello che ci aspetta nei prossimi mesi. In particolare, per mettere nella giusta luce la decisione della Commissione europea di sospendere (nei fatti, questa è la decisione) la minaccia della procedura d’infrazione contro il debito pubblico italiano. La scelta conferma che i tempi dell’austerità sono finiti (una rigida applicazione del Patto di stabilità avrebbe dato un esito diverso), ma anche quali siano i limiti della flessibilità che ci possiamo attendere da Bruxelles: pragmaticamente, quello che i responsabili europei considerano decisivo è quello che avverrà con la manovra dell’anno prossimo.
Per il momento, comunque, il governo Conte si porta a casa un risultato positivo. Anche se non se lo merita. Tre mesi, fra settembre e dicembre, di battaglie durissime, di emorragia sui mercati, sotto l’incubo dello spread, per difendere con i denti due promesse elettorali – Reddito di cittadinanza e quota 100 sulle pensioni – che risulteranno più roboanti che fondate e, nei fatti, sovradimensionate rispetto alle esigenze reali del paese. Con più realismo e meno demagogia, lo scontro con l’Europa, per difendere un livello di disavanzo che non serviva, poteva essere evitato.
Il risultato delle nuove previsioni di spesa è, però, un tesoretto che può venir buono per smussare le asperità del 2020. Se i risparmi su Reddito di cittadinanza e su quota 100 si ripeteranno l’anno prossimo, il Tesoro si troverà a disporre di una decina di miliardi di euro in più, rispetto alla spesa prevista. E, poi, c’è lo spread. La tregua con l’Europa lo sta facendo scendere velocemente e, se le cose non cambiano, gli interessi sui titoli pubblici ci costeranno, in futuro, qualche miliardo di euro in meno di quanto previsto. Basta per scalare la montagna del 2020? La risposta è no, anche perché il governo sta ripetendo gli errori di un anno fa.
Il tesoretto, infatti, è appena sufficiente per dimezzare i 23 miliardi di euro di aumento dell’Iva, che sono già in bilancio. Il governo intende, invece, cancellare l’aumento che, secondo le simulazioni della Banca d’Italia, colpirebbe i consumi e zavorrerebbe il paese, già sull’orlo della recessione. Anche con il tesoretto, bisogna comunque trovare una dozzina di miliardi. Più spese indifferibili e trascinamenti vari, siamo già di fronte ad una manovra da una ventina di miliardi, per contenere il disavanzo in limiti accettabili. È il treno pericolante a cui si aggiungono i pesanti vagoni della flat tax rivendicata da Salvini, che vale (facendo la media fra le stime della Lega e quelle indipendenti) una quindicina di miliardi. Totale della manovra 2020: anche con i nuovi risparmi, 35 miliardi, che nessuno sa dove andare a prendere.
È qui che Salvini sconta il suo isolamento europeo. Politico ed economico. Il leader della Lega non ha alleati nella sua richiesta di riscrivere le regole europee di bilancio. Nessuno sembra intenzionato a spendere un po’ del suo patrimonio politico per aiutare Salvini a riscrivere delle regole che, oggi, danno sostanzialmente fastidio soltanto ad un’Italia che perde terreno rispetto alle altre economie. Finora, dal pensatoio della Lega è uscita – via Alberto Bagnai – una sola idea di nuove regole. Cancellare tutto l’armamentario sul deficit strutturale e le prospettive di debito e tornare al Maastricht originario: un deficit di bilancio non superiore al 3 per cento. Nello stile Lega, è una proposta semplice, schematica, che guarda indietro ed è, probabilmente, fasulla. Il 3 per cento è un limite secco, ma anche non flessibile e, per l’Italia, potrebbe anche essere peggio. Senza l’aumento Iva e con la flat tax, il disavanzo 2020 è già superiore.
Maurizio Ricci