Una manovra “sostanzialmente a saldo zero, senza impatto significativo sul Pil che “non ha la dimensione adeguata a rilanciare la competitività delle imprese, pur centrando alcuni obiettivi rilevanti”. Lo ha detto il direttore generale di Confindustria, Maurizio Tarquini, nel corso dell’audizione alle commissioni bilancio di Camera e Senato sulla legge di bilancio. Confindustria “riconosce la disponibilità al dialogo del Governo che si è tradotta nella condivisione di scelte importanti” specie “alla luce dei ristretti margini di intervento”. Tuttavia, il ddl bilancio “non ha la dimensione adeguata a rilanciare la competitività delle imprese, pur centrando alcuni obiettivi rilevanti” e per questo “abbiamo prospettato la necessità di dotare l’Italia di un Piano industriale straordinario” che “andasse oltre i limiti delle singole leggi di bilancio, suggerendo tre direttrici di intervento: investimenti, competitività e contesto attrattivo”.
Il tutto per generare crescita, senza la quale è difficile tracciare una prospettiva non solo per le imprese, ma per l’intera collettività: “Senza crescita, cioè senza le imprese che la fanno, non saremo più in grado di assicurare i livelli di protezione sociale di cui oggi beneficiamo. Significa meno istruzione, sanità, previdenza, assistenza ai più deboli, solo per citare alcuni esempi”. In generale, la stabilità dei conti è sì “una ‘scelta azzeccata’, ma deve essere accompagnata da un investimento significativo e stabile nel tempo sulle imprese e sulla loro capacità di competere”. La richiesta è che vengano fatte “scelte coerenti” su almeno tre capitoli complementari alla Manovra: la rimodulazione del Pnrr; misure per ridurre il costo dell’energia; le riforme a costo zero. “Dopo un anno, delle 80 proposte di Confindustria, quelle approvate sono 9 e altre 8 sono in dirittura d’arrivo. Siamo consapevoli degli ostacoli cui le politiche di semplificazione vanno incontro, ma incoraggiamo Parlamento, Governo e Regioni a fare di più. Vogliamo un’Italia più semplice, cioè un luogo dove chi rischia può fare affidamento su regole non ostili e stabili nel tempo”.
Altra critica è rivolta alle misure fiscali “che minano l’affidamento dei contribuenti, la certezza del diritto e l’impatto positivo delle misure a sostegno degli investimenti”. Si tratta, in particolare, dell’inasprimento della tassazione dei dividendi infragruppo, “una disciplina dirompente anche rispetto a quello che accade oltre confine, dove si adottano analoghi sistemi di esenzione, e che cambierà radicalmente l’assetto proprietario dei gruppi italiani, penalizzando la nostra capacità di mantenere e attrarre capitali”. Ma anche il divieto, dal primo luglio 2026, di utilizzare crediti d’imposta agevolativi sul modello F24 per compensare i debiti per contributi previdenziali INPS e per premi assicurativi Inail. “Una misura molto impattante, soprattutto per imprese con un elevato numero di dipendenti, che effettuano molti versamenti contributivi, e con un livello di redditività basso, per effetto di importanti investimenti o di perdite. Il rischio è che il blocco delle compensazioni congeli risorse liquide e riduca la capacità operativa delle imprese. Il nuovo divieto limiterà, di fatto, la possibilità di utilizzare strumenti ormai centrali nelle politiche di investimento delle imprese, come i crediti di imposta ZES, 4.0. 5.0, R&S. Si tratta, peraltro, di un intervento con effetti retroattivi”.
Zona d’ombra ance per le misure per contenere l’emergenza abitativa “che, tra gli altri effetti, ha quello di ostacolare la mobilità territoriale dei lavoratori e spiazzare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro”. Tarquini ricorda che il Ddl consente di utilizzare una quota del Fondo sociale europeo per il clima anche per le iniziative del Piano casa Italia previsto dalla Legge di Bilancio 2025, “ma non prevede, come sollecitato da Confindustria, misure finanziarie e fiscali, ferma la necessità anche di semplificazioni urbanistiche per favorire la realizzazione di alloggi per lavoratori a basso reddito, studenti, anziani”.
Si segnala, inoltre, l’assenza di misure per la ricerca industriale e per la logistica intermodale (ferrobonus, sea modal shift). “Strumenti utili a potenziare la connettività e la logistica all’interno del nostro Paese e con l’estero; da segnalare, inoltre, la mancanza di risorse per la copertura dei costi del nuovo contratto collettivo per il trasporto pubblico locale, che il settore non è in grado di assorbire”.
“Infine, si esprime l’auspicio di rivedere il nuovo sistema di finanziamento dell’Agcom – ha concluso -, che sposta integralmente a carico dell’industria regolata il funzionamento dell’Autorità, includendo una platea molto ampia di operatori interessati”.
Quanto alle misure sul lavoro, per Tarquini sono “apprezzabili, in linea di principio”, ma tuttavia si tratta “di misure non strutturali, che di per sé producono un effetto di incertezza, dal lato delle imprese, in quanto esse non sanno se potranno contare sulle stesse anche nei prossimi anni”. In particolare, la disposizione sui rinnovi contrattuali “può generare disparità di trattamento fiscale tra dipendenti, a seconda del momento in cui i rinnovi contrattuali sono (stati) conclusi – ha spiegato -. Analoga disparità potrebbe determinarsi anche sul piano negoziale tra diversi comparti o settori, a seconda del momento in cui le parti sociali procedono alla sottoscrizione dei rinnovi contrattuali. Le misure sui premi di risultato rappresentano un segnale positivo di attenzione al salario variabile, ma rischiano di ridurre l’incentivo alla conversione in welfare aziendale e hanno un campo di applicazione circoscritto alle imprese più strutturate, considerato che il nuovo limite (5 mila euro) è superiore alla media dei premi erogati dal settore industriale. Sarebbe stato preferibile semplificare i requisiti per accedere alla tassazione sostitutiva (a prescindere dall’aliquota applicata), viste le difficoltà di molte imprese in questo periodo”.
“Si segnala poi, la necessità di una specifica agevolazione contributiva per le assunzioni effettuate dalle grandi imprese del Mezzogiorno, legate a piani di investimento riconducibili al credito d’imposta Zse – ha aggiunto -. L’assenza di questa misura continua a essere un limite strutturale del disegno di rilancio del Mezzogiorno, poiché lo priva di un importante traino per rafforzare le filiere produttive e recuperare i divari. Inoltre, occorre prorogare lo strumento del contratto di espansione a beneficio, in particolare, delle imprese di maggiori dimensioni impegnate in processi di trasformazione industriale. Il mancato rifinanziamento di questa misura priverebbe, infatti, queste imprese di uno strumento utile per accompagnare le transizioni occupazionali nell’ambito dei processi di reindustrializzazione e riorganizzazione. In tema di previdenza e, in particolare, di fondi pensione, è apprezzabile il tentativo di dare un segnale teso a imprimere un indirizzo politico di apertura agli investimenti in infrastrutture e imprese”.
“Ma, per mobilitare realmente il risparmio previdenziale a beneficio di infrastrutture e imprese italiane, anche non quotate – ha concluso -, occorrono anche misure fiscali di favore, oltre a una revisione delle regole che disciplinano il sistema della previdenza integrativa, al fine di rafforzarne governance e competenze”.
Infine, conclude il dg, “per Confindustria, gli interventi imprescindibili erano e rimangono quattro”: iperammortamento per l’innovazione tecnologica/digitale dei processi produttivi; stabilizzazione del credito d’imposta per la ZES Unica per il Mezzogiorno; rilancio dell’operatività dei contratti di sviluppo, rafforzandone le dotazioni finanziarie e conferma e rafforzamento del Fondo di Garanzia per le Pmi.





























