Cgil, Cisl e Uil restano lontane sulla riforma dei contratti, sui rinnovi di terziario e pubblico impiego. Pietro Marcenaro, senatore del Partito democratico, ex segretario della Fiom e della Cgil Piemonte, è ancora possibile ricucire l’unità?
Prima di tutto, credo che il nodo dell’unità vada tenuto nettamente separato dall’andamento delle relazioni sindacali. Queste negli ultimi anni hanno avuto molte oscillazioni, dal buono al cattivo tempo, ma non è il punto della questione.
E qual è allora?
Bisogna capire chiaramente che l’unità sindacale è un diritto dei lavoratori. L’assenza dell’ipotesi unitaria non riguarda solo né esclusivamente i sindacati, ma si ripercuote proprio su chi lavora, che in questo modo viene privato del diritto stesso ad avere un sindacato.
In che senso?
Moltissimi lavoratori, soprattutto precari e impiegati nelle pmi, non possono scegliere se aderire o meno; il problema è proprio quello di costruire il sindacato. E l’unico mezzo per farlo è la via unitaria. Nelle aziende in cui il sindacato non c’è i lavoratori non hanno scelta, per difendersi possono solo mettersi insieme.
Ma nelle centrali confederali le divisioni ci sono.
Mi chiedo come un dirigente sindacale, di qualsiasi organizzazione, possa spiegare a un lavoratore magrebino la differenza tra Cgil, Cisl e Uil. E’ evidente che non ha nessuna possibilità, e allo stesso modo restare divisi non ha nessuna logica.
Neanche sul piano pratico?
Naturalmente. L’unità sindacale è anche organizzazione e fornitura di servizi, come quelli fiscali e previdenziali. Qualcuno può affermare che la dichiarazione dei redditi o la denuncia infortunistica della Cgil è più di sinistra di quella della Cisl?
Certamente no.
Lo dico perché spesso vengono invocate differenze politiche per spiegare la situazione, ma nelle attività sindacali concrete queste non sono assolutamente riscontrabili.
Qual è la condizione per tornare all’unità?
L’unico requisito è la democrazia e il rispetto delle regole. Il pluralismo sindacale può continuare a vivere, ma deve trasferirsi in un contesto unitario dove sarà anche più costruttivo. Nelle condizioni attuali, inoltre, la riforma dei contratti sarebbe impraticabile.
Perché?
Non ha senso stabilire nuovi assetti comuni se restano le divisioni confederali.
Il passaggio più complicato?
Ricostruire l’unità tra sindacati diversi. In altre fasi storiche, quando le organizzazioni erano sulla stessa linea, è stato facile ottenere posizioni comuni. Adesso è più complesso ma fondamentale, perché si deve affrontare l’emergenza economica.
L’obiettivo è così difficile?
Dalla mia esperienza personale, posso dire che la vera difficoltà è l’incapacità di considerare sè stessi in una nuova condizione. Non è una questione strettamente sindacale, ma anche politica: tutta la democrazia italiana ha bisogno di nuove regole di rappresentanza.
Deve cambiare anche il ruolo del sindacato?
E’ cresciuto il potere dell’Esecutivo e si è ridotto quello del Parlamento, quindi serve ancora di più un sindacato unitario e autonomo. Sarebbe il contrappeso democratico ideale che non riusciamo più a trovare nelle istituzioni.
24 novembre 2008
Emanuele Di Nicola