“Condividiamo l’obiettivo della Cisl di costruire un patto di responsabilità fondato su coesione e sviluppo, ma ogni proposta deve confrontarsi con un tema imprescindibile che è la competitività del sistema produttivo, messo alla prova da un mercato globale sempre più aggressivo e dalla sfida della triplice transizione, ambientale, digitale e demografica che sta ridisegnando le nostre imprese e la nostra società in modo profondo” afferma Maurizio Marchesini, vice presidente di Confindustria per il lavoro e le relazioni industriali, nel corso dell’evento della Cisl “Sul cammino della responsabilità. Il patto che serve al paese e all’Europa” organizzato a Roma presso la sede del Cnel.
“La competitività non può essere affrontata solo in chiave nazionale, la partita si gioca in Europa. Molte leggi che impattano sulle imprese nascono a Bruxelles e vanno gestite senza sacrificare valore e capacità produttiva. Poi, la competitività richiede un impegno politico convinto e di lungo periodo. Un patto che coinvolga anche il governo deve necessariamente avere un orizzonte temporale medio-lungo: solo così possiamo dare stabilità e prospettiva alle imprese e ai lavoratori”.
“Dobbiamo essere consapevoli – prosegue Marchesini – dei limiti strutturali del nostro sistema produttivo, dove il 5,5% delle imprese e i 10mln di lavoratori in esse occupati finanziano una quota preponderante dei servizi pubblici e del sistema di welfare da cui dipendono oltre 50mln di persone. Nel definire un patto di responsabilità non si può non tener conto di questi dati e dell’elevata pressione fiscale e contributiva”.
Al termine dell’evento Marchesini ha risposto ad alcune domande de Il diario del lavoro.
Marchesini come procede la trattativa con i sindacati?
Era da molto tempo che non si riusciva a trovare un tavolo comune , e quindi l’avere riallacciato i contatti è un fatto molto positivo. Ovviamente è sempre meglio parlarsi che non parlarsi. Quindi le discussioni vanno avanti e credo che presto ci saranno anche dei risultati concreti. I temi centrali sono sempre gli stessi sicurezza sul lavoro, forme contrattuali e come governare le tre transizioni ambientale digitale e demografica. La premessa che abbiamo fatto coi sindacati è che tutti questi elementi sono legati l’uno con l’altro non faremo uscite parziali ma cercheremo di fare un documento unico.
Non è buon momento per l’unità sindacale al livello confederale. Questo ha rallentato il dialogo?
Diciamo che è stato motivo di rallentamento almeno all’inizio. Ora, invece, il dialogo procede, naturalmente nel rispetto dei differenti punti di vista, però riscontro una certa sintonia e devo dire onestamente una voglia di arrivare a un risultato.
Che giudizio date alla manovra?
La premessa doverosa da fare è che l’attenzione ai conti e la solidità del governo sono elementi importanti che danno all’Italia veramente in un’ottima considerazione. Detto questo ci aspettavamo qualcosa di più coraggioso in termini di politiche industriali. Avevamo chiesto incentivi ben maggiori di questi ma soprattutto, e questa è la carenza maggiore, incentivi triennali. Quello che sta accadendo con transizione 5.0 è la dimostrazione plastica. Le imprese fanno piani a cinque anni e tre anni è l’orizzonte minimo entro il quale possiamo muoverci. Transizione 5.0 è stato un sistema macchinoso, che ha avuto una partenza piuttosto lenta e nel momento in cui ha iniziato a macinare viene stoppato.
Il prossimo anno termineranno i fondi del Pnrr. Che scenario ci attende?
Il 2026 e la fine delle risorse del Pnrr si lega molto alla nostra richiesta di incentivi molto più robusti proprio perché si esaurisce un mondo intero di politica industriale, salvo i prolungamenti che il vicepresidente esecutivo della Commissione europea Raffaele Fitto sta cercando di negoziare.
Secondo lei si poteva ottenere di più dal Pnrr in termini di ritorno per il paese?
Molti paesi hanno dirottato le risorse prevalentemente sulle politiche e sullo sviluppo industriale mentre noi, anche per motivi storici e politici, sulle infrastrutture.
Siamo lo stato che ha ricevuto la dote maggiore ma la crescita arranca.
Come diceva il nostro amato presidente Squinzi lo zero virgola è un prefisso telefonico. È chiaro che una crescita di questo tipo non può funzionare.
Tommaso Nutarelli


























