La notizia buona è che i morti sul lavoro stanno diminuendo. Erano sempre più di 1.000, anche negli anni buoni. Adesso la cifra è calata drasticamente. Nel 2013, denuncia la relazione annuale presentata dal presidente dell’Inail Massimo De Felice, ci sono stati 660 morti. La cifra, socialmente parlando, è sempre alta e non si dovrebbe mai smettere di lavorare perché non ne accadano più. Ma c’è una netta diminuzione rispetto agli altri anni. Rispetto al 2012 il calo è del 17%, rispetto al 2009 del 32%.
In pratica, nel giro di qualche anno abbiamo avuto un terzo di incidenti mortali rispetto al passato. Una bel traguardo. E non finisce qui. Perché anche il numero degli infortuni, tutti, non solo quelli mortali, è in netto calo. Nel 2013 ci sono state 695mila denunce, il 7% in meno rispetto al 2012, addirittura il 21% in meno rispetto al 2009. E lo stesso si può dire per il numero degli infortuni riconosciuti, ossia quelli effettivamente tali per l’Inail: sono stati 457mila contro i 607mila del 2009.
Ha inciso, è bene specificarlo, il calo dell’attività produttiva: meno lavoro c’è, ovviamente meno incidenti accadono. Ma la diminuzione è reale e lo dimostra l’indice di sinistrosità, che l’Inail calcola mettendo a confronto il numero degli incidenti (tutti, non solo quelli mortali) con il numero dei lavoratori occupati. Questo indice di sinistrosità mostra una tendenza netta alla diminuzione nel corso degli anni. A dimostrazione che non è che ci sono meno morti solo perché si lavora meno, ma perché il numero degli incidenti sta effettivamente calando, anche in termini percentuali.
Meno positivi i dati relativi invece alle malattie professionali. Le denunce nel 2013 sono state 51.900, con un aumento rispetto all’anno precedente pari al 12%, addirittura del 47% rispetto al 2009. E questa volta non c’è il dato della crisi economica in atto in questi anni ad attutire la gravità del dato, che anzi il numero totale è cresciuto, e anche molto, nonostante si sia lavorato meno.
C’è da dire che il calo di attività di questi ultimi anni non può aver inciso sul numero delle malattie, che si contraggono nel corso di anni e anni. Ma anche questo fatto in qualche modo si spiega in maniera positiva. Come ha specificato il presidente dell’Inail infatti, molto ha inciso la maggiore diffusione, da ascrivere a merito dell’Istituto, della possibilità di attribuire al lavoro svolto una serie di malattie. Tanto più si sa che il lavoro è alla base di una malattia, tanto più sale il numero delle denunce. Al disinteresse e all’ignoranza degli anni passati è subentrata una conoscenza che ha fatto lievitare il numero delle denunce.
C’è peraltro da rilevare ancora che il numero delle malattie accertate dall’Inail è molto minore delle denunce. Solo il 38% delle malattie denunciate infatti è stato effettivamente ricondotto al lavoro svolto. Molti anche i lavoratori deceduti a causa di malattie professionali: sono stati 1.475, comunque il 33% in meno rispetto ai dati del 2009.
Insomma, forse è presto per cantare vittoria contro la piaga delle morti sul lavoro, ma comincia a vedersi un pezzetto di cielo. La guardia, è evidente, non va mai abbassata e certo non lo fa l’Inail, ma dei nuovi dati offerti dall’Istituto va fatto tesoro. Anche perché la speranza è che i numeri diminuiscano sempre più. E, almeno per le malattie professionali, ci sono buone speranze, come testimonia quello che l’Inail chiama il “reticolo virtuoso”, ossia quella concatenazione di cause ed effetti che lega intimamente la ricerca, la prevenzione, la riabilitazione, il reinserimento. Tutto si lega intimamente. La ricerca che fa l’Istituto aiuta la prevenzione e la riabilitazione, a sua volta questa la molla per il reinserimento nel posti di lavoro.
Massimo Mascini