di Rita Cavaterra, responsabile politiche previdenziali Cgil
La legge 243/2004 ha cancellato uno dei punti cardine della riforma Dini: la flessibilità dell’età pensionabile, e questa flessibilità deve essere ripristinata. Essa significa, infatti, libera scelta per i lavoratori rispetto all’età in cui collocarsi in pensione ed anche parificazione dei requisiti tra uomo e donna (parificazione che è possibile solo in un sistema flessibile). La flessibilità, inoltre, era ed è legata al sistema di calcolo contributivo: una cosa è interconnessa con l’altra. Stabilire nel sistema contributivo un’età pensionabile fissa è un controsenso: infatti si ripristinano delle rigidità che si rivelano incompatibili con il sistema e che producono effetti estremamente penalizzanti per i lavoratori.
L’età pensionabile flessibile costituisce, poi il patto stipulato con i giovani, con quelli cioè che hanno cominciato a lavorare dopo il 1 gennaio 1996. A tali soggetti, infatti, la legge Dini garantisce sicuramente un trattamento pensionistico diverso rispetto al retributivo, un trattamento commisurato alla contribuzione versata nell’arco dell’intera vita lavorativa, legato, però, anche alla possibilità dei lavoratori di scegliere se andare in pensione prima e quindi percepire consapevolmente una pensione ridotta, oppure attendere i 62 anni per percepire un trattamento più o meno pari a quello che sarebbe stato garantito dal sistema retributivo, o ancora aspettare i 65 anni per percepire un importo di pensione che in alcuni casi potrebbe anche essere più elevato rispetto a quello previsto nel sistema retributivo.
La legge 243/2004 ha rotto questo patto: dal 1 gennaio 2008 per i lavoratori che si trovano nel sistema contributivo la nuova età pensionabile è fissata a 60 anni per le donne e a 65 per gli uomini.
Sempre in base a quanto stabilito da tale legge, a decorrere dal 1 gennaio 2008 nel sistema contributivo sarà possibile andare in pensione di vecchiaia prima del compimento dell’età pensionabile solo alle seguenti condizioni:
1) con 40 anni di contribuzione,
2) con 35 anni di contribuzione ed una età pari a 60 anni per i lavoratori dipendenti (61 per gli autonomi).L’età si eleverà a 61 anni (62 per gli autonomi) nel periodo 2010- 2013 e salirà a 62 (63 per gli autonomi) nel 2014.
Per quanto riguarda i 40 anni di contribuzione non è dato sapere se si tratta di un rinvio a quanto già previsto dalla legge 335/1995 (ai fini del raggiungimento dei 40 anni di contribuzione non vanno computate le anzianità derivanti dai riscatti dei periodi di studio e dai versamenti volontari, mentre devono essere maggiorati del 50% i periodi di lavoro svolti prima del compimento dei 19 anni di età) o se la nuova disposizione voglia sostituirsi alla precedente, permettendo il computo dei riscatti e dei versamenti volontari.
Per quanto concerne poi la possibilità di uscita prima del compimento dell’età pensionabile (35 anni di contribuzione e 60 anni di età, che crescono fino ad arrivare nel 2014 a 62) la norma appare incomprensibile, dal momento che potrà trovare concreta applicazione solo dal 2013, tenuto conto che il sistema contributivo è nato nel 1996 e che solo alcuni lavoratori, che stanno nel sistema misto, potrebbero, optando per il sistema contributivo, avvalersi della norma.
La Cgil chiede, pertanto, che sia ripristinata l’età pensionabile flessibile prevista dalla legge 335/1995, con la cancellazione di tutte le norme relative all’età pensionabile contenute nella legge 243/2004. Chiede, inoltre, che anche ai fini del raggiungimento dei 40 anni di contribuzione nel sistema contributivo sia considerato utile sia il riscatto dei periodi di studio, sia il periodo relativo ad eventuali versamenti volontari. Chiede, infine, che debbano essere individuati incentivi pensionistici (e non di altro tipo) per chi decide di continuare a lavorare oltre i 65 anni di età od oltre il 40 di contribuzione. La Cgil ha sempre ribadito la sua totale contrarietà all’innalzamento obbligatorio dell’età pensionabile o a qualsiasi tipo di proposta tesa a disincentivare le pensioni di anzianità, tenuto conto che spesso non è il lavoratore a scegliere di andare in pensione anticipatamente ma sono le aziende che sempre più frequentemente “convincono” i lavoratori ad avvalersi di tale diritto. Gli incentivi previsti dalla legge 243/2004, comunque, non hanno funzionato, dal momento che sono stati richiesti da lavoratori che comunque avevano già deciso di continuare a lavorare. Il 55% dei richiedenti aveva già più di 40 anni di contribuzione, il 40% più di 38 anni di contribuzione. Non superbonus quindi, ma supermalus!
La Cgil resta, con altrettanta fermezza, profondamente e decisamente contraria a qualsiasi proposta di innalzamento dell’età pensionabile riferita alle lavoratrici (si sente dire da 60 a 62 anni), poiché ritiene che non ci sia alcun privilegio femminile in questo e che prima di parlare di età pensionabile per le donne sarebbe bene parlare di pari opportunità di lavoro, di parità di retribuzione, di asili nido, di politiche familiari, di congedi parentali adeguati, di condivisione dei ruoli con i propri partners, di assistenza agli anziani.