Patrizia Consiglio – Segretario Nazionale Flai Cgil
L’8 ottobre si è dato avvio alle trattative per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro degli operai agricoli e florovivaisti, in scadenza il prossimo 31 dicembre. Il contratto, che interessa oltre 700 mila lavoratori dipendenti, riveste sotto molti riguardi un interesse che va al di là delle sue pur considerevoli dimensioni. Tra questi spiccano, in particolare, gli aspetti squisitamente contrattuali e quelli legati alle relazioni sindacali e al modello di concertazione, tanto sui temi di politica economica nazionale, comunitaria e internazionale, quanto sugli argomenti legati all’ambiente e alla tutela delle risorse, alla sicurezza alimentare, alla professionalità e alla formazione professionale.
Rivendicando una troppo spesso strumentale “specificità” rispetto a tutti gli altri settori produttivi, l’agricoltura ha accettato di pagare il prezzo di una tangibile marginalità nei processi economici e sociali, alimentando la convinzione del settore come frontiera del modello italiano di welfare, pur di mantenere condizioni che consentissero regimi fiscali, contributivi, contrattuali in deroga dalle norme comuni. Le stesse regole contrattuali sancite dall’accordo del 23 luglio 1993 sono state “rese compatibili” alle esigenze del settore già nel 1995. Quel modello contrattuale viene ora riproposto, amplificato negli effetti e nei contenuti, dal ministro Maroni nel suo Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia.
In una fase politica e culturale in cui sembra acquisire sempre maggiori consensi l’idea che la strada verso il più ampio esercizio dei diritti individuali, in primo luogo quelli attinenti il rapporto di lavoro e le sue condizioni, passi attraverso il ridimensionamento dei diritti collettivi e la dispersione e destrutturazione dei conseguenti percorsi normativi, negoziali, contrattuali, l’aver raggiunto il totale di 90 contratti provinciali di lavoro non è indice dell’affermazione della contrattazione di secondo livello in agricoltura né della bontà del modello contrattuale agricolo. Semplificando, al livello provinciale sono, infatti, affidati gli aumenti salariali legati all’inflazione programmata del secondo biennio e il recupero del differenziale inflattivo relativo al biennio precedente: null’altro, quindi, che il compito assolto dal contratto nazionale al fine di assicurare retribuzioni di base uguali per tutti, ma che, in questo modo, determina salari assai differenti, a parità di mansioni, nelle diverse province. Pressoché virtuale è, di contro, il rimando ad incrementi salariali legati alla produttività e alla redditività, poiché il livello naturale di riferimento – l’azienda – non è previsto e poco credibile si è dimostrato il ricorso alla produttività “territoriale”.
Analoghe incongruenze possono essere riscontrate sul versante della eccessiva rigidità del mercato del lavoro, in un settore talmente caratterizzato da elevati livelli di flessibilità strutturale del lavoro, in entrata ed in uscita, da non riuscire ad utilizzare buona parte degli strumenti previsti. In questo caso, e in considerazione degli obiettivi di sicurezza e di qualità alimentare che l’agricoltura italiana sembra essersi unanimemente dati, andrebbero, invece, affrontati con continuità e impegno i problemi legati alla formazione del personale dipendente ed alla qualità delle condizioni in cui vengono svolte le attività lavorative, dedicando l’attenzione necessaria alle diverse tipologie di prodotto, di produzione, di filiera produttiva.
L’asfitticità con cui l’agricoltura italiana sembra affrontare se stessa e le sfide, con le quali almeno sul piano europeo, è obbligata a misurarsi contrastano con l’immagine di vivacità che se ne vorrebbe dare e che pure tante imprese sono in grado di rappresentare sullo scenario nazionale e internazionale. Sul versante delle relazioni tra le parti – le relazioni sindacali e le attività cosiddette bilaterali – ciò comporta l’insufficienza del dialogo e l’incapacità di riconoscere e perseguire interessi comuni in forme manifestamente scevre da tentazioni di collateralismo e di commistione di ruoli: la revisione della Pac e gli appuntamenti Wto, come, in generale, lo sviluppo sostenibile dell’agricoltura italiana meriterebbero forse maggiore considerazione di una rivisitazione della gestione comune del mercato del lavoro.
Segretario Nazionale FLAI-CGIL