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Home - Approfondimenti - Interviste - Pirani, cosa non va nel Fit For 55

Pirani, cosa non va nel Fit For 55

di Tommaso Nutarelli
23 Luglio 2021
in Interviste
Morti sul lavoro

di Emanuele Ghiani https://twitter.com/GhianiEmanuele

Il pericolo è quello di una desertificazione industriale. È questo l’ammonimento di Paolo Pirani, segretario generale della Uiltec, in merito al documento “Fit For 55” presentato dalla Commissione europea sulla transizione green. Nel testo, spiega Pirani in accordo agli altri sindacati dell’energia, si spinge verso una elettrificazione dei consumi, senza dare indicazioni su come questa energia debba essere prodotta. Secondo le recenti disposizioni europee non si potrà usare né gas, né idrogeno blu, mentre la Francia sta costruendo centrali nucleari nell’Europa dell’Est e la Germania fino al 2038 potrà contare sulla produzione energetica di centrali a lignite. Capiamo, conclude Pirani, la visione strategica del Green New Deal, ma si corre il pericolo di una transizione energetica non competitiva, con costi sociali ed economici che si ripercuoteranno sul sistema produttivo e le famiglie.

Pirani cosa non funziona nel documento presentato dalla Commissione europea?

Dal nostro punto di vista è sbagliata l’impostazione. Se si agisce solo con divieti, sanzioni e provvedimenti di natura fiscale, senza dare indicazioni su come affrontare questo cambio di paradigma, il rischio che corre il sistema produttivo e industriale è che il sentiero verde della svolta ecologica si trasformi in un miglio verde, che determinerà la morte di molte realtà produttive. Non è in discussione la svolta verde, ma ricordiamoci che, nel complesso, l’Europa produce solo l’8% dell’inquinamento mondiale.

Insomma non mettete in dubbio tanto la visione del Green New Deal quanto, piuttosto, le modalità e i tempi di attuazione.

Assolutamente sì. La rapidità nella transizione ecologica che ha in mente l’Europa, se deve essere fatta in questi tempi stretti, richiederebbe un quantitativo di risorse ben superiore agli attuali soldi messi a disposizione dal Recovery Plan. E questo è un dato dal quale non possiamo prescindere. C’è poi, come dicevo, tutta la questione di capire come produrre l’energia elettrica che dovrebbe andare a sostituire i combustibili fossili o il gas.

Dunque l’obiettivo è quello di una elettrificazione dei consumi, senza però indicare come arrivarci.

Se si mettono al bando gas e idrogeno blu, puntando unicamente sul solare o l’eolico, che non sono fonti continue, si chiede un salto che la nostra industria non è in grado di sostenere. In Sardegna, per esempio, ancora non si può prescindere dall’uso dell’energia termica. Non si capisce come realizzare forni elettrici per produrre acciaio verde se, come dicevo, l’idrogeno viene messo all’angolo. Inoltre abbiamo avviato il processo per trasformare le raffinerie in bio raffinerie. Ma se poi dal 2035 blocchiamo la vendita delle auto a diesel, senza distinguere tra carburanti e bio carburanti, tutto il processo di transizione energetica serve a ben poco.

Servirebbe una visione di politica industriale.

Sì, sia al livello comunitario che nazionale. Il grosso limite dell’Europa è quello di fare solo politiche regolatorie, in pieno stile austerity. Servirebbe un salto di qualità, superando unicamente la logica dei divieti e delle sanzioni, indicando, invece, anche la strada da seguire, uniformando. È del tutto illogico spingere i paesi verso l’elettrico, e poi erogare degli incentivi per l’acquisto delle auto elettriche, sapendo che non sono macchine alle quali tutti possono eccedere facilmente dal punto di vista economico. La transizione green rischia di essere un affare da ricchi.

Quali pericolo corre il nostro sistema produttivo?

Da un lato lavoratori e imprese rischiano di pagare un costo molto alto. L’impatto sull’occupazione può essere davvero devastante, così come si corre il serio pericolo di una desertificazione industriale. Dall’altro gli effetti di una transizione con queste modalità ricadranno sulle famiglie, con rincarichi nelle bollette. L’Italia importa il 78% dell’energia dall’estero, e così rischiamo di aumentare maggiormente la nostra dipendenza energetica.

Venendo all’attualità, cosa ne pensa dell’ipotesi di richiedere il green pass per accedere dal luogo di lavoro avanzata da Confindustria?

Quando si parla di green pass si parla della libertà individuale. Per questo deve essere affrontato con scelte governative e non in modo univoco dalle imprese, ma attraverso il confronto. La logica deve essere quella della persuasione e non dell’obbligo.

Tommaso Nutarelli

Tommaso Nutarelli

Tommaso Nutarelli

Giornalista de Il diario del lavoro.

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