Elio Porino, segretario generale Uilca, state preparando la piattaforma rivendicativa per il prossimo rinnovo contrattuale. Avete ritrovato l’unità dei sindacati. Su quale base?
Credo che sarebbe molto difficile per i lettori farsi un’idea compiuta sull’inedita alleanza tra nove delle dieci sigle sindacali operanti nel settore senza una brevissima premessa sulle ragioni che hanno spinto all’unità d’azione forze tanto eterogenee tra di loro. La ragione fondamentale risiede nelle caratteristiche inedite di quella che definisco come la terza fase del processo di ristrutturazione del settore bancario, una fase che vede un’accelerazione estrema dei processi di aggregazione tra importanti banche italiane all’indomani del tutt’altro che indolore cambio al vertice della Banca d’Italia e dell’esito rovinoso della campagna di resistenza alle Opa straniere. Questo ulteriore processo di concentrazione si intreccia fortemente con l’instaurazione, anche per via legislativa, di una forma di mercato finanziario molto più concorrenziale e nel quale dovrebbero essere maggiormente tutelati i diritti degli utenti, anche se pesano i ritardi e le lacune della pur recente legge per la tutela del risparmio. E’ evidente che questo scenario vede il sindacato del settore del credito chiamato a rispondere a sfide forse senza precedenti sul terreno contrattuale e su quello delle ristrutturazioni aziendali. Abbiamo vissuto un lungo, a volte estenuante, percorso volto alla ridefinizione dei rapporti unitari, un percorso che per lungo tempo sembrava ignorare le novità della fase che stiamo vivendo, quasi non si volesse comprendere che tendere al massimo di unità possibile e praticabile rappresenta oggi una scelta ineluttabile in presenza di una volontà sempre più chiara delle controparti di mettere radicalmente in discussione quelli che, a loro giudizio, non sono che intollerabili vincoli alla libertà di impresa.
Quali saranno, prevedibilmente, i punti cardine delle vostre richieste?
Le vicende legate agli scandali finanziari ci sospingono quasi ineluttabilmente ad andare alla radice del problema, ed è ormai giunto il tempo di porre con forza in sede contrattuale la questione di un riequilibrio del peso del salario variabile a favore di quello fisso e dell’eliminazione di quelle forme di sistema incentivante che assomigliano più ad un premio per i più disinvolti che per i più bravi. Così come ritengo che sia assolutamente necessario giungere all’individuazione di un sistema di regole interne alle banche, regole che ripropongano con forza e su carta intestata della banca quanto è già chiaramente previsto dalle norme e dai regolamenti, anche perché non credo di essere l’unico a ricordare banchieri vecchi e nuovi scaricare tutta la responsabilità sulle addette e gli addetti allo sportello e sull’avidità dei risparmiatori. Per essere ancora più chiaro, voglio dire che noi, a livello nazionale od aziendale, non firmeremo mai accordi che, in cambio di premi e incentivi, rendano i lavoratori complici di chi agisce al di là o sul filo della legge.
Su quali punti la controparte farà maggior resistenza?
Non mi nascondo che un maggior livello di concorrenza, una maggiore trasparenza e un’accresciuta attenzione ai diritti e alla tutela dei risparmiatori possono rappresentare un aumento dei costi ed una diminuzione dei ricavi per le banche, ma ritengo corretta l’analisi dell’attuale Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, il quale ritiene che, per le banche, la reputazione rappresenti un valore da coltivare con estrema cura, presupposto indispensabile per accrescere la fiducia dei risparmiatori nei confronti degli attori del mercato finanziario. Vorrei, però, ricordare che, quando abbiamo criticato l’assenza di una visione di medio e lungo periodo dei vertici bancari, avevamo ben presenti, oltre al profilo etico, i rischi per gli stessi conti aziendali derivanti da pratiche che si sono tradotte, e ancor più rischiano di tradursi in base ai numerosi contenziosi in corso in perdite, miliardarie, ponendo a rischio al contempo posizioni individuali di lavoratrici e lavoratori stretti nella morsa delle pressioni aziendali e delle lusinghe di sistemi incentivanti che attribuivano punteggi elevati proprio ai prodotti più rischiosi. La resistenza della banche al decreto Bersani e le grida di dolore dei banchieri per l’obbligo del prospetto per tutti i prodotti finanziari non mi inducono all’ottimismo su un diverso atteggiamento della delegazione Abi al tavolo delle trattative.
A suo giudizio, il negoziato si profila difficile?
Molto probabilmente sì. Le cose che ho appena detto su quanto sta accadendo nel mercato finanziario italiano, con particolare riferimento alle banche, fanno capire che sarebbe sbagliato ritenere questo che si avvicina un normale rinnovo contrattuale, anche perché non dare una risposta alle preoccupazioni espresse dalle lavoratrici e dei lavoratori per quanto è accaduto in questi ultimi anni e per i processi di concentrazione che, già oggi, vedono coinvolti oltre un terzo dei dipendenti del settore, sarebbe estremamente sbagliato. Io stesso sono preoccupato del fatto che la presenza al tavolo di nove delle dieci sigle sindacali operanti nel settore potrebbe essere una condizione necessaria ma non sufficiente per far fronte alle sfide che abbiamo di fronte, ma sono convinto che l’esperienza che abbiamo maturato e la capacità di far comprendere alle lavoratrici ed ai lavoratori del settore la posta in gioco ci consentiranno di essere protagonisti anche nella terza fase della ristrutturazione del mercato finanziario italiano.




























