Nessuno ormai più mette in dubbio che si debba andare a una revisione totale dell’organizzazione del lavoro nelle fabbriche. Solo il mantenimento della distanza tra i lavoratori obbliga le imprese a una revisione totale del layout degli stabilimenti, che devono essere ridisegnati tenendo conto allo stesso tempo della distanza tra i lavoratori, ma anche delle esigenze della produzione. Ma più in generale, sempre solo per garantire la sicurezza, per quanto possibile dei lavoratori, dovranno essere rivisti gli orari del lavoro, per moltiplicare i turni, quindi per evitare le ore di punta e i relativi affollamenti sui mezzi pubblici. Nelle fabbriche come nelle scuole perché un momento di vero affollamento nelle strade della città è proprio quello in cui iniziano le lezioni, normalmente tutte alla stessa ora. Quindi servirà una trattativa con gli enti locali e con le aziende di trasporto collettivo. E ancora, poiché l’appetito vien mangiando, si comincia con crescente insistenza, a parlare di una revisione del modello economico, quanto meno della messa a punto di una vera politica industriale, che aiuti le imprese in questa difficile situazione. Che è difficile, certo, ma che rappresenta pur sempre una grande opportunità di rimediare a quei vizi di fondo della nostra economia che nei decenni passati, gli ultimi due, forse gli ultimi tre, hanno rappresentato la vera palla al piede della nostra economia relegando l’Italia sempre agli ultimi posti nelle classifiche internazionali.
Insomma, c’è una gran voglia di ricominciare e si sa che sarà un compito difficile. Nel quale, crediamo, debba essere coinvolto chiunque abbia qualcosa da dire e soprattutto degli interessi da difendere, ma anche dei sacrifici da sopportare. E’ per questo che ha stupito un’affermazione del neo presidente di Confindustria Carlo Bonomi che proprio sul sistema da usare in questa trattativa si è espresso nel giorno in cui ha presentato la sua squadra di presidenza. C’è da dire che Bonomi parlava in una sede riservata, per cui le sue parole dovevano restare appunto riservate, mentre c’è stato qualcuno che quelle parole le ha registrate e diffuse in un sito Internet dal quale le agenzie di stampa le hanno tratte rendendole pubbliche. Pratica scorretta, non quella delle agenzie, che hanno fatto il loro mestiere, ma di chi quella registrazione ha reso nota.
Lo stupore nasce dal fatto che Bonomi nel suo discorso ha affermato che sarà necessario “ridefinire dal basso turni, orari di lavoro, numero di giorni di lavoro settimanale e di settimane in questo 2020, da fissare in ogni impresa e settore al di là delle norme contrattuali”. Ora è indubbio che il luogo nel quale contrattare una diversa organizzazione del lavoro sia proprio la fabbrica perché queste sono operazioni che si possono e di debbono fare sul vivo della produzione, misurando gli spazi e inventandosi qualche soluzione fantasiosa quando sorge un problema, che sia tecnico o umano. E’ lì che si devono negoziare i cambiamenti. Ed è giusto che siano coinvolti i settori in quanto tali, quindi le federazioni di categoria che le imprese rappresentano perché la diversificazione sia ordinata e segua un ritmo preciso. Ed è abbastanza normale che si pensi di poter andare anche al di là delle norme contrattuali, dei contratti nazionali di lavoro che tutti i settori hanno. Stupisce però che il presidente di Confindustria non abbia pensato a un confronto di carattere generale con le confederazioni sindacali, che sono interessate ovviamente a un negoziato del genere e hanno più volte sottolineato la necessità di una revisione dei cardini fondamentali, sia dell’economia che delle relazioni industriali.
Si tratterà certamente di un’osservazione cavillosa, ma siccome la partenza di una qualsiasi avventura è sempre importante, sarebbe bene se Bonomi chiarisse il tipo di rapporti che vuole avere con il sindacato. Nessuno crede, nelle file dei rappresentanti dei lavoratori, che i contratti di lavoro siano un dogma che non debba subire variazioni in corso d’opera; anzi, da qualche anno a questa parte è vero il contrario perché proprio su questa disponibilità sono state improntate le nuove relazioni industriali. Ma quando ci si incammina sulla strada, sempre stretta, dei diritti è bene muoversi molto cautamente per non creare allarmi ingiustificati.
C’è sempre da tenere nel dovuto conto il fatto che Bonomi non parlava al sindacato o al paese, ma ai suoi elettori e in questo caso le attenzioni possono anche variare, ma sarebbe bene chiarire subito le intenzioni per il futuro. Soprattutto perché questo negoziato, da declinare poi ovviamente i tutti i luoghi di lavoro, ma sulla base di indicazioni precise proprio perché si tratti di azione facile, potrebbe subire un’espansione, arrivando appunto anche ai principi di fondo del nostro sistema economico e produttivo. Del resto, c’è da sottolineare che Bonomi ha confermato nella sua carica Maurizio Stirpe, affidandogli la delega per le relazioni industriali. Stirpe è un grande negoziatore ed è molto attento al confronto con il sindacato, tanto è vero che il patto della fabbrica, firmato, dopo un negoziato molto difficile, nel marzo di due anni fa, alla vigilia delle elezioni politiche, fu proprio merito suo. Fu lui a insistere nelle ore più buie della trattativa con Cgil, Cisl e Uil per arrivare a un’intesa, poi giudicata positivamente da tutti. Che sia stato mantenuto al suo posto è un fatto molto importante, che rasserena le previsioni sul futuro delle relazioni industriali.
Massimo Mascini