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Home - Primo Piano - Quando Kissinger disse ai sindacati: “quel compromesso storico non s’ha da fare”. La sorprendente rivelazione in un libro mai tradotto in Italia

Quando Kissinger disse ai sindacati: “quel compromesso storico non s’ha da fare”. La sorprendente rivelazione in un libro mai tradotto in Italia

di Marco Cianca
28 Giugno 2023
in Analisi
Quando Kissinger disse ai sindacati: “quel compromesso storico non s’ha da fare”.  La sorprendente rivelazione in un libro mai tradotto in Italia

HENRY KISSINGER

Non voleva lo scontro diretto con i paesi comunisti ma nel contempo, in questa visione dell’ordine mondiale per la quale diceva di ispirarsi alla pace di Westfalia e a Talleyrand, non accettava che la sinistra allargasse la propria sfera di influenza. In tal senso, rifiutava anche solo l’idea che Aldo Moro ed Enrico Berlinguer cercassero di realizzare il compromesso storico. La pesante ingerenza negli affari interni italiani, in quegli infuocati e torbidi anni, non è mai stata ricostruita con certezza. Ma ora è Giorgio Benvenuto a fornire un tassello di quel puzzle ancora tutto da montare: Kissinger non aveva remore e cercò di utilizzare persino il potente sindacato dell’allora Germania Occidentale per scongiurare l’avvicinamento del Pci a Palazzo Chigi.

L’ex segretario della Uil, attuale presidente della fondazione Bruno Buozzi, è molto impegnato nella ricerca e raccolta di documenti che aiutino a far luce su opache fasi della nostra storia. “Troppa polvere è stata messa sotto il tappeto”, spiega. Ed ecco che, quasi per caso, è venuto in possesso di un libro scritto in tedesco, mai tradotto in italiano e, possiamo dire, del tutto sconosciuto, almeno qui da noi. Quasi un’opera clandestina. “Sono rimasto colpito- commenta- dal fatto che finora certe ricostruzioni siano passate come fossero pettegolezzi, cose viste dal buco della serratura”.

Ed invece, ecco, come per incanto, riapparire il racconto di autorevolissimi testimoni diretti. Il libro, intitolato “Notizen”, cioè appunti, fu pubblicato nel 1983 dalla casa editrice Bund-Verlag. A scriverlo Heinz Oskar Vetter, gran capo dei sindacati tedeschi e della Cisl, la confederazione internazionale dei sindacati liberi. In un capitolo delle 288 pagine, Vetter, che fu anche eurodeputato per l’Spd, ricorda quando lui ed Eugene Loderer, a sua volta dirigente della mitica Ig Metal, andarono negli Stati Uniti con una delegazione di altissimo livello, guidata dal cancelliere Helmut Schmidt. Correva l’anno 1974.

Ecco il racconto, che vale la pensa di riportare per intero.

“Durante la nostra visita negli Stati Uniti, Eugen Loderer e io fummo sorpresi una mattina dalla richiesta dell’allora ministro degli Esteri americano Henry Kissinger di avere un colloquio con noi. Acconsentimmo volentieri, pur non avendo la minima idea di cosa volesse discutere.

Ci ricevette al Dipartimento di Stato, insieme ad un alto funzionario dell’Ufficio affari europei che, come scoprimmo in seguito, era l’incaricato per le questioni italiane. Kissinger rinunciò all’interprete, avvertendoci però subito che le sue conoscenze del tedesco si limitavano essenzialmente ad alcuni termini del mondo del football, quando invece la sua conoscenza della lingua era chiaramente maggiore. Ci intrattenne per un po’raccontando alcuni ricordi del football nella sua città natale, Furth, e ci spiegò in che condizioni si trovava il suo club calcistico preferito, l’FC Furth, a noi che eravamo meno esperti di questo sport. Difficoltà con la lingua non ne aveva davvero, a parte il fatto di parlare americano con un leggero accento tedesco e tedesco con un forte accento americano.

 Kissinger chiese dunque al suo funzionario di darci alcune spiegazioni sugli sviluppi politici italiani. In Italia-questo naturalmente lo sapevamo-si stava assistendo in quel momento a un chiaro avvicinamento tra una parte della Democrazia Cristiana e i comunisti. Sembrava che la strategia del Partito Comunista Italiano, quella del cosiddetto compromesso storico tra le forze politiche e sociali del cattolicesimo e il Pci illuminato “eurocomunista”, stesse funzionando. A Roma si parlava già apertamente dell’imminente ingresso dei comunisti italiani al governo.

 Kissinger ci spiegò che la partecipazione dei comunisti al governo di un paese della NATO così importante come l’Italia avrebbe rappresentato una grande minaccia per gli Stati Uniti. Ci disse che avrebbe costituito un rischio elevatissimo per la sicurezza e che non potevano accettarlo in nessun modo. Tutti gli sforzi diplomatici per influenzare gli italiani non avevano dato risultati. Si dovevano dunque cercare altre strade. Kissinger ipotizzava che le forze trainanti di una convergenza tra democristiani e comunisti andassero ricercate soprattutto all’interno delle due maggiori confederazioni sindacali italiane, la Cisl, vicina alla Democrazia Cristiana, e la Cgil, legata al Partito Comunista.

Era evidente che i sindacati si aspettavano di poter attuare la loro visione sociopolitica solo all’interno di una coalizione del genere. Kissinger ci colse di sorpresa con la proposta-insolita dal punto di vista delle nostre relazioni in Europa centrale-di parlare con i sindacati italiani, di farci dire quali erano le loro richieste e di riferirle a lui, il segretario di Stato americano. Ci disse che avrebbe poi trovato il modo di convincere i democristiani ad inserire quelle stesse richieste nel programma di una nuova coalizione di governo, a quel punto naturalmente senza i comunisti.  In questo modo, sperava di riuscire ad aumentare significativamente la distanza tra i sindacati e il Partito comunista italiano e di far fallire la strategia del Compromesso Storico.

 Secondo Kissinger, saremmo dovuti volare a Roma quel pomeriggio stesso con un aereo speciale del governo americano, parlare con i nostri colleghi, ritornare la notte seguente e riferirgli il mattino successivo quali fossero le richieste dei sindacati. Era così che Henry Kissinger si immaginava di poter determinare il corso della storia mondiale, con nostro grande stupore.

Il livello di machiavellismo di Kissinger superava di gran lunga la sua capacità di intuire i delicati processi sociali e politici in Europa, un continente che, dopo tutto, avrebbe dovuto essergli ancora familiare.

Non esitammo un istante. Respingemmo la proposta definendola inaccettabile e inconcepibile e sottolineammo che la decisione sulla formazione dei governi doveva rimanere una questione di competenza dei paesi interessati. Dal punto di vista di Kissinger, abituato alla politica di potere, queste osservazioni erano evidentemente difficili da comprendere. Per lui, gli sviluppi della politica interna andavano osservati sempre dal punto di vista di quello che considerava l’interesse superiore degli Stati Uniti e dell’Occidente. I processi democratici e i diritti di sovranità dovevano necessariamente passare in secondo piano. Con la sua proposta, di cui secondo la mia impressione non aveva discusso prima con il ministro degli Esteri tedesco, supponeva evidentemente che da noi l’anticomunismo fosse molto forte, tanto che per un istante aveva avuto la speranza che ci saremmo lasciati coinvolgere in un intrigo del genere.

Le mie opinioni mature sul comunismo in generale e sui comunisti italiani in particolare non erano del tutto coerenti, ma per me ed Eugen Loderer non c’era alcun dubbio che non avremmo mai anche solo tentato di immischiarci nella situazione politica interna di un paese libero e democratico.

Inoltre, nella Confederazione europea dei sindacati erano in corso complicate trattative per l’ammissione della Cgil e contemporaneamente, in Italia, si stava verificando un incredibile avvicinamento tra le tre confederazioni sindacali, che noi, come sindacato unificato tedesco, non potevamo che accogliere con favore e sostenere. Era sorprendente come la mentalità e la psicologia politica di un sindacalista europeo fossero totalmente estranee a un politico così esperto e brillante come Kissinger. Quello che però era indicativo – e questo rispecchia senz’altro l’atteggiamento politico delle grandi potenze – era la filosofia con cui Kissinger affrontava la questione: non andava tanto per il sottile nella scelta dei mezzi”.

Ecco, parola di sindacalista. Un racconto che non ha bisogno di commenti. E che fa capire quanto il segretario di stato fosse disposto a fare per raggiungere i suoi scopi. E che cosa effettivamente fece non lo sapremo forse mai. Lo stesso Vetter chiarisce che incassò “sportivamente” il loro rifiuto.

Chiosa Benvenuto: “Questo sorprendente episodio, finora del tutto sconosciuto qui da noi, dimostra come abbiano prevalso una visione unitaria e il desiderio di autonomia. Vettel aveva rispetto per quel che facevamo, non lavorava per dividere. D’altro canto, proprio nella Germania Ovest, nonostante l’anticomunismo fosse legge, il concetto di unità, di riunificazione, era fondamentale. Stimavano Luciano Lama. E non avevano paura della Cgil, che si era quasi completamente allontanata dalla Fsm, la federazione mondiale di impronta sovietica. Comprendevano che il suo ingresso nella Ces, la confederazione sindacale europea, avvenuto proprio nel 1974, avrebbe rafforzato la presenza dei lavoratori. Non era un prezzo da pagare ma una prospettiva di successo. E questo ben lo sapevamo Carniti ed io che ci siamo sempre battuti, all’interno della Cisl e della Uil, per quell’unità sindacale che ci sembrava di aver quasi raggiunto e che poi invece non è stato possibile realizzare. Ma questa è un’altra storia, sulla quale però vale la pena di continuare a indagare”.

Vettel e Loderer sono morti ma Kissinger è vivo. Chissà che ricorda di quel colloquio. E ci piacerebbe chiedergli: dopo il rifiuto dei due sindacalisti, che si inventò per portare al fallimento il compromesso storico?

Marco Cianca

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