Alla fine, tutti i sindacati andranno in piazza contro la manovra del governo: ma ci andranno ciascuno per suo conto. La novità 2025 infatti è una sorta di calendario dell’Avvento sindacale: una serie di manifestazioni, cadenzata nell’arco di una quindicina di giorni, da fine novembre quasi a ridosso delle feste natalizie, e con ben due scioperi generali. Tutto, e tutti, con lo stesso obiettivo: cambiare la manovra. E pressappoco tutti con la stessa agenda di richieste e critiche al governo.
Inizia l’Usb, che il 28 novembre farà il suo sciopero generale e il 29, sabato, una grande manifestazione a Roma, cercando di bissare il successo delle iniziative di settembre per Gaza.
Il 29, sempre a Roma, ci sarà anche la manifestazione della Uil, in luogo da decidere, ma si starebbe ragionando su su una location al chiuso, anche per non sovrapporsi, nel vero senso del termine, cioè fisicamente, ai cortei e alle piazze dell’Usb.
Scavallato il Ponte dell’Immacolata, parte un altro giro di proteste. Il 12 dicembre, venerdi, c’è lo sciopero generale della Cgil, che sarà accompagnato da manifestazioni locali e che probabilmente a Milano si incrocerà con la manifestazione per l’anniversario di Piazza Fontana. E sabato 13 la manifestazione della Cisl, sempre a Roma, in luogo da decidere. Come si diceva, tutte queste iniziative sindacali separate sono in realtà tenute assieme dalla stessa ragione, cioè lo scontento nei confronti della Legge di Bilancio. Le critiche, del resto, sono arrivate anche dalle autorità più disparate, dalla Banca d’Italia all’Istat, alla Corte dei conti, all’Ups, nel corso delle audizioni parlamentari. Tanto da far dire al ministro dell’Economia Giorgetti che ‘’ci stanno massacrando’’. Anche le imprese sono fortemente scontente, sia per lo scarso stanziamento di risorse destinate allo sviluppo, sia per la farraginosità di parecchi provvedimenti che renderanno arduo accedere ai già scarsi fondi (vedi il pasticcio tra la moritura Transizione 5.0 e la rediviva Industria 4.0).
Ma se è ovviamente fantascienza immaginare la Confindustria sfilare in corteo sotto braccio ai sindacati, sarebbe stato normale aspettarsi che almeno Cgil Cisl e Uil unissero le proprie forze, manifestando tutte assieme. Come si diceva, infatti, le critiche e le richieste delle tre confederazioni sono per buona parte le stesse. Le critiche riguardano principalmente le pensioni, a partire dalla mancata sterilizzazione dei tre mesi di aumento dell’età pensionabile e la soppressione di Opzione donna, e il fisco, per quanto concerne la rottamazione delle cartelle e la flat tax, aspramente condannate da Cgil come da Cisl e da Uil: tutte, indistintamente, lo considerano un provvedimento inaccettabile.
Sul fronte delle proposte, l’elemento unificante tra le confederazioni è il riconoscimento al governo di aver fatto un passo verso le richieste sindacali accogliendo la detassazione degli aumenti contrattuali, ma accompagnato dalla richiesta di estenderne l’applicazione almeno fino al tetto di 40 mila euro di reddito, dai 28 mila attuali, e allargarne il raggio di azione agli accordi firmati anche nel 2024.
Poi, ovviamente, ciascun sindacato ha le sue priorità. A parte l’Usb, che ha una agenda rivendicativa quasi sconfinata, si direbbe più di bandiera che altro, le tre confederazioni si distinguono per alcune specifiche richieste che cercheranno di far arrivare al governo e al parlamento prima che la manovra sia approvata definitivamente. E anche qui, ciascuno a suo modo: la Cgil con lo sciopero generale, intimando al governo di riaprire il confronto coi sindacati e insistendo sulla ‘’rich tax’’, il prelievo dell’1,3% sulle ricchezze oltre due milioni di euro, che riguarderebbe 500 mila persone a garantirebbe, secondo i calcoli della confederazione, 25 miliardi di gettito. Ma anche la Uil ha una proposta non meno forte sul fisco, che va dall’applicazione della tassa sugli extraprofitti oltre che alle banche anche alle aziende farmaceutiche ed energetiche, all’aumento della tassazione sia sui dividendi azionari, dal 26 al 31%, per un gettito ulteriore di circa 1 miliardo di euro, sia sull’Ires, dal 24 al 26%, per un’entrata aggiuntiva annua di circa 4,9 miliardi, sia sulle successioni, di valore superiore ai 100 milioni di euro, mediamente dal 2,4 al 6%, incamerando così ulteriori introiti fino a 10 miliardi di euro, da utilizzare poi come copertura finanziaria alle modifiche richieste su pensioni e contratti. La via che la Uil intende percorrere è però quella di manifestare, sì: ma soprattutto di trattare col parlamento per trasformare in emendamenti le proprie richieste.
Stessa linea del confronto coi gruppi parlamentari segue la Cisl, che nel complesso ha dato un giudizio positivo sulla manovra, dall’intervento a sostegno del ceto medio, alla defiscalizzazione degli accordi di produttività, fino alle misure per la famiglia, la sanità -sulla quale però ritiene insufficiente lo stanziamento in legge di bilancio- e il sud. E tuttavia, anche Daniela Fumarola ritiene che la manovra “vada assolutamente migliorata”, a partire da pensioni e rottamazione, capitoli sui quali condivide con Cgil e Uil in giudizio totalmente negativo. Di qui, la decisione di tenere una manifestazione a Roma.
Ma la preoccupazione più specifica di Via Po è ottenere il rifinanziamento della legge sulla partecipazione, promessa dal governo e poi sparita dalla legge di Bilancio, ma sulla quale è in corso una trattativa con l’esecutivo. Altro terreno su cui la confederazione chiede modifiche è proprio il provvedimento sulla detassazione degli aumenti contrattuali: nella manovra non è indicato che a firmare i contratti debbano essere le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, e in questo modo, secondo la Cisl, “si rischia di destinare risorse pubbliche anche a chi sottoscrive contratti in dumping, indebolendo il sistema di rappresentanza e la qualità del lavoro”. Tema, quello della rappresentanza e della guerra ai contratti pirata, che trova fortemente convinte anche Cgil e Uil, e perfino Confindustria.
A conti fatti, dunque, forse non sarebbe stato impossibile trovare una convergenza su un minimo comune denominatore e per una volta riuscire a manifestare tutti assieme. Ma questo accadeva in altri tempi. Oggi va diversamente: ognuno per sé e dio per tutti, almeno fino a manovra approvata. E dopo si vedrà.
Nunzia Penelope



























