Un’aula deserta, i banchi vuoti, sia negli scranni dei senatori sia in quelli del governo. E’ in questo scenario di desolazione che il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha illustrato l’aggiustamento sui conti pubblici che si appresta a varare dopo la strigliata della Commissione Ue. Tredici in tutto, ad ascoltarlo. E’ la scena clou della giornata di giovedì, quel giorno della settimana che il parlamento definisce affettuosamente ‘’trolley day”, il giorno del trolley, il giorno in cui deputati e senatori fanno la valigia e tornano a casa. Inesorabilmente. Anche se quello cui rispondeva il ministro era un question time, cioè una precisa richiesta da parte del parlamento di avere risposte; e anche se le risposte, appunto, vertevano sulla prossima manovra correttiva, che dopo essere stata liquidata con un’ alzata di spalle nei giorni scorsi, ieri e’ stata invece definita “indispensabile” da Padoan.
Diversamente, scatterebbe, infatti, la procedura di infrazione contro il nostro paese: eventualità che per il titolare dell’Economia e’ “estremamente allarmante”, in quanto “comporterebbe una riduzione di sovranità nella politica economica e costi ben più superiori per la finanza pubblica del Paese a seguito del probabile aumento dei tassi di interesse”. La Commissione Ue ha chiesto all’Italia una riduzione del deficit pubblico dello 0,2% del Pil, pari a 3,4 miliardi. Non cifra da strapparsi i capelli, ma comunque qualcosa che occorrerà trovare in tempi strettissimi, al massimo entro aprile: tagliando un po’ di qua, aumentando un po’ il prelievo di la’, e facendo costantemente attenzione alla risalita dello spread, spettro che sembrava esser stato del tutto esorcizzato nel 2012 e che invece si riaffaccia in modo inquietante sulla scena italiana.
Dunque, c’era da aspettarsi una maggiore attenzione per l’intervento del ministro Padoan in Senato. Ma così vanno le cose: l’attenzione della politica è massima verso le questioni strettamente legate alla politica stessa, molto meno al resto. Il dibattito si concentra solo su alcuni temi precisi: quale legge elettorale, quale data per le elezioni (anticipate o meno), quale leader per il centro sinistra (Renzi o altri), quale assetto per il centro destra (Berlusconi con Salvini o senza), eccetera. Non che siano argomenti irrilevanti, certo. Ma, senza incorrere nell’accusa di populismo, si può affermare che le urgenze oggi sono altre?
Non è certo populista, per esempio, il ministro dello sviluppo Carlo Calenda, che in un’ intervista al Corriere della Sera ha spiegato con pacatezza quali siano, appunto, le urgenze che stanno a monte delle questioni politiche: mettere in sicurezza le banche, definire il piano sull’immigrazione, la ricostruzione delle zone terremotate, risolvere le oltre cento crisi industriali che indeboliscono il tessuto produttivo nazionale, solo per elencare le principali. Dopo, solo dopo, dice Calenda, vengono legge elettorale ed elezioni: ‘’usiamo i mesi di qui all’estate per mettere in sicurezza i dossier più difficili e in parallelo lavoriamo a una legge elettorale solida e condivisa, apriamo subito la discussione sulla prossima legge di bilancio, costruendo un vero e proprio piano industriale per l’Italia, che abbia al centro gli investimenti, e misure incisive per l’inclusione sociale, capaci di accelerare il percorso di crescita del paese’’. Difficile dargli torto.
E non sono populisti nemmeno i sindacati, che hanno chiesto al governo di fare chiarezza sul destino di Finmeccanica. Dopo la sentenza che ha condannato l’Ad Mauro Moretti a sette anni per la strage di Viareggio, (avvenuta nell’epoca in cui era a capo delle Ferrovie) oggi il principale gruppo industriale italiano – uno dei pochi che ci restano- e’ in preda all’incertezza. Moretti è uno dei migliori manager del paese, uno dei pochi a livello europeo, la sua azione di risanamento ha funzionato alle Ferrovie così come nel gruppo ribattezzato Leonardo. Il cui consolidamento, tuttavia, hanno ricordato i sindacati, richiede strategie, investimenti, e soprattutto una guida certa: cosa che al momento e’ dubbia, esattamente come la riconferma di Moretti nel mandato che scade tra un paio di mesi. A decidere dovrà essere il governo, cui spetta la nomina degli amministratori: e tuttavia ancora non ha fatto sentire la sua voce, non ha detto cosa intende fare, se tenere Moretti, o sostituirlo, e con chi. Si può comprendere l’incertezza, tirati da un lato dalle proteste dei familiari delle vittime, che chiedono le dimissioni del manager e dall’altro dalla necessità di dare continuità al gruppo industriale. Ma si tratta di un’ incertezza che fa male all’azienda. Non sembri cinico dirlo: Finmeccanica sono anche i 70 mila dipendenti che ci lavorano e da queste decisioni dipende anche il loro destino.
In tutto questo, arrivano due notizie rilevanti dal mondo sindacale. La prima e’ della Cgil, che giovedi ha ottenuto l’impegno dei gruppi Pd di Camera e Senato a portare in parlamento la Carta dei diritti. Dunque, a breve la legge di iniziativa popolare presentata dalla confederazione approderà alla commissione Lavoro di Montecitorio, per un primo esame. La seconda notizia arriva dalla Uil: ieri, a Lampedusa, il sindacato di Carmelo Barbagallo ha riunito i colleghi di tutti i paesi del Nord Africa, di Israele e della Palestina, nonché i rappresentanti delle quattro principali religioni, per firmare un’ accordo storico di collaborazione sui temi dell’immigrazione e della cooperazione. Lavoro, migranti: i due problemi chiave del nostro tempo, i più urgenti e drammatici. Quelli che non possono davvero aspettare.
Nunzia Penelope