Domenica e lunedì l’Italia è chiamata a votare per i referendum. Quello per accelerare l’iter burocratico per ottenere la cittadinanza italiana e quelli chiesti dalla Cgil sui temi del lavoro. Purtroppo, non è difficile presagire come andrà a finire. Perché un referendum per essere valido deve essere votato, che dica sì o no non importa, almeno dalla metà degli elettori più uno, che devono andare ai seggi e ritirare le schede. Considerando che la metà degli italiani non va più a votare e che tutti i partiti di maggioranza, fatta eccezione per Noi moderati, hanno invitato gli elettori a non votare, appare difficile che la barriera del quorum possa essere infranta. Quella norma era stata varata quando a votare andava più o meno il 90% degli italiani, adesso sembra impossibile arrivarci.
Maurizio Landini sapeva bene che c’era questo vincolo, ma ha voluto provare lo stesso. Nella speranza che gli italiani si riapproprino del loro diritto di esprimersi e vadano compatti a votare. Non è facile che ci riesca. Tutto inutile, allora? Tutti i detrattori della sfida della Cgil sono concordi nell’affermare che se non si arriva al quorum è una sconfitta, anche molto pesante, per il segretario generale della Cgil. Che pagherà pesantemente la sconfitta. Qualcuno arriva a dire con congresso anticipato che in qualche modo lo accompagni all’uscita, anticipando di un paio d’anni la scadenza naturale del suo mandato.
Non credo che ciò accadrà, conoscendo i rituali della confederazione e il grado della sua unità interna. Ma soprattutto non sono d’accordo sul fatto che senza quorum il referendum sia inutile. Tutto dipenderà dall’affluenza alle urne nei prossimi giorni. Perché se un quarto, e magari anche qualcosa in più, degli italiani ritirano la scheda che li attende ai seggi, il quadro cambia e di molto.
Tutto dipende dal fatto che la maggioranza e i partiti che la sostengono si è dichiarata contro il voto. Quindi è da credere che gli elettori di destra non si recheranno ai seggi. A votare ci andranno gli altri, quelli che non sopportano questo governo e magari lo manderebbero a casa. Dire quelli di sinistra mi sembra un po’ troppo, ma ci siamo capiti. Ma allora, se il 30% degli elettori va a votare, questo significa che a favore del governo c’è solo il 20% dell’elettorato. Il 50% non vota mai, di quelli che votano il 30% è contro il governo, mi sembra che il conteggio sia preciso.
Certo, è un conto un po’ semplicistico, ma basato su dati precisi. E se questo fosse il risultato, il valore della prova referendaria sarebbe tutto un altro da quello indicato dai suoi detrattori. Del resto, Landini lo ha sempre detto che questo governo non ha il consenso della maggioranza degli italiani e per questo dovrebbe quanto meno dare più ascolto ai gruppi intermedi, per le materie del lavoro e dell’economia ai sindacati.
E poi può sempre accadere il contrario, che si raggiunga il quorum. Il 9 giugno del 1991 Bettino Craxi, forte segretario del Psi, infastidito da un referendum abrogativo di alcune disposizioni della legge elettorale, consigliò agli italiani di andare al mare. Ma il 65% andò a votare e cambiò la legge. Ancora più macroscopico il caso del referendum del 1985 sulla scala mobile. Si chiedeva agli italiani, quindi ai lavoratori e alle loro famiglie, se volevano che fossero rimesse in busta paga 21mila lire che una legge dell’anno prima aveva tolto. Tutti pensavano che il sì sarebbe stato dilagante e invece gli italiani dissero di no.
Quindi è meglio astenersi dai pronostici e attenersi al merito dei quesiti che vengono rivolti agli italiani. E devo dire che almeno per quanto si riferisce al primo, quello per accorciare l’iter per avere la cittadinanza italiana, è veramente difficile capire le ragioni per dire no. L’Italia ha un problema grandissimo legato alla denatalità. Non nascono bambini, presto avremo un deficit di milioni di persone, quindi di lavoratori, con un danno economico molto rilevante. Qualsiasi strumento venga usato per cambiare la situazione prevede risultati nel giro di almeno due decenni, quindi troppo tardi, e conosciamo la risposta del governo a chi chiede di allargare gli ingressi dall’estero. E non vogliamo nemmeno dare un riconoscimento a chi ha scelto di vivere e lavorare nel nostro paese? Sembra assurdo, certamente miope.
Poi ci sono i quesiti sul lavoro e qui non posso che rinviare alle indicazioni che esimi giuslavoristi hanno dato sulle pagine del Diario del lavoro in merito. Importante è che gli italiani scelgano la via che ritengono migliore. Per i loro interessi, per quelli del Paese.
Massimo Mascini




























