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Home - Notizie del giorno - Riforma Patto di stabilità, raggiunto l’accordo unanime all’Ecofin

Riforma Patto di stabilità, raggiunto l’accordo unanime all’Ecofin

21 Dicembre 2023
in Notizie del giorno
L’impegno dell’Europa per una legislazione sempre più efficace

I ministri delle Finanze dell’Ue hanno raggiunto, durante una riunione straordinaria del Consiglio Ecofin via teleconferenza, un accordo politico sulla revisione delle regole della “governance economica”, ovvero sulla riforma del Patto di stabilità. “Abbiamo un accordo politico. E’ una buona notizia per l’Europa”, ha affermato la ministra dell’Economia della Spagna Nadia Calvino, puntualizzando che l’accordo è stato unanime. “Siamo in un momento storico” e sulla riforma del Patto di stabilità e di crescita “abbiamo il migliore accordo possibile. Un grande accordo che arriva al momento giusto”, commenta ancora Calvino. Inoltre questa intesa “manda un messaggio molto importante sulla capacità che abbiamo nell’Ue nel remare tutti nella stessa direzione”, ha aggiunto.

“‘Il cammino è stato lungo, intenso, difficile ma alla fine abbiamo raggiunto il nostro obiettivo e cioè ottenere, in questo momento storico per la costruzione europea, il miglior accordo possibile, un grande accordo nel momento migliore”. Così la presidente di turno dell’Ecofin, la ministra spagnola delle Finanze Nadia Calvino, ha descritto, in modo trionfale, l’accordo sulla revisione del Patto di stabilità, raggiunto oggi dalla riunione straordinaria in videoconferenza dei ministri delle Finanze dell’Ue.

“Le regole che approviamo oggi – ha detto Calvino durante la conferenza stampa in videoconferenza al termine dell’Ecofin – si basano sul cuore della proposta della Commissione europea, che riguarda l’adeguamento delle regole al metodo del controllo della spesa primaria netta. Su questo nucleo centrale, abbiamo incorporati quattro tipi di salvaguardie per garantire una riduzione sostenuta del rapporto debito/Pil, un margine di bilancio sufficiente al di sotto dell’obiettivo di disavanzo del 3% fissato dal Trattato Ue, per essere in grado di sviluppare politiche anticicliche’, più ‘una salvaguardia per garantire una crescita sostenibile e un impatto anticiclico dell’intero sistema di regole, e infine una salvaguardia a tutela dei necessari investimenti negli ambiti prioritari delle politiche europee per la transizione verde e digitale, e negli ambiti sociale e della difesa”.

Le nuove regole, ha aggiunto la presidente di turno dell’Ecofin, “prevedono inoltre un regime transitorio fino al 2027 che attenua l’impatto del rapido rialzo dei tassi di interesse del debito pubblico, preservando così il margine di bilancio necessario per poter proseguire e sviluppare gli investimenti necessari”.

La riforma, ha insistito Calvino, “garantisce la riduzione sostenuta e graduale dei rapporti deficit/Pil e debito/Pil con impatto anticiclico e tutela gli investimenti pubblici in quei settori prioritari dell’agenda europea in campo ambientale, digitale, sociale e della difesa, per avere una crescita più sicura, più sostenibile e anche più inclusiva”.

In realtà, è difficile non vedere nell’accordo una sostanziale vittoria dei paesi ‘frugali’, ovvero della priorità assegnata alla stabilità finanziaria con poche concessioni alle politiche di crescita e di incentivo degli investimenti, anche se non si può parlare di un vero e proprio ritorno dell’austerità. Il nuovo Patto è composto di due regolamenti e una direttiva. Le modifiche essenziali stanno nei due regolamenti ‘gemelli’, uno sul’ braccio preventivo ‘ e l’altro sul ‘ braccio correttivo’ del Patto.

La proposta originaria della Commissione, dell’aprile 2023, era incentrata su due pilastri principali, riguardanti i percorsi di aggiustamento di bilancio per i paesi che non rispettano le due soglie previste dal Trattato di Maastricht: il 60% per il debito/Pil e il 3% per il deficit/Pil. Nel primo caso, quello del debito eccessivo, veniva indicato un percorso di aggiustamento ‘su misura’, individualizzato per ciascuno Stato membro, con tempi più lunghi e più realistici per le correzioni: quattro anni, con la possibilità di proroga a sette anni per ammortizzare i costi delle riforme e degli investimenti raccomandati dall’Ue (transizione verde e digitale, innovazione, difesa).

Il percorso di aggiustamento (‘traiettoria tecnica’), è determinato tenendo conto di un’analisi caso per caso della sostenibilità del debito, e originariamente si basava su un ‘singolo indicatore operativo’, basato sulla ‘spesa primaria netta’, quella cioè che non prende in considerazione la spesa per gli interessi, la parte controciclica degli stabilizzatori automatici (come i sussidi di disoccupazione o la cassa integrazione in tempi di crisi), le spese che non dipendono dai governi, e la spesa nei programmi e progetti comunitari che sono co-finanziati dagli Stati membri.

La proposta originaria prevedeva semplicemente di tenere sotto stretto controllo, con un limite annuale collegato alla crescita economica, l’andamento della spesa primaria netta del paese interessato, senza definire una riduzione quantitativa annuale del debito/Pil uguale per tutti i casi, ma tale da assicurare che, alla fine del periodo previsto dal piano di aggiustamento, il livello del debito pubblico in quello Stato membro fosse inferiore a quello iniziale, e avviato su un percorso stabile di riduzione. Era previsto un controllo della Commissione sui percorsi di aggiustamento, a scadenza semestrale, per individuare e correggere eventuali deviazioni significative.

Il secondo pilastro della proposta della Commissione riguardava la regola del deficit: semplicemente, per i paesi con un rapporto deficit/Pil oltre il 3% veniva previsto aggiustamento strutturale minimo annuale di bilancio pari allo 0,5% del Pil, per ridurre il disavanzo, fino al raggiungimento della soglia del 3% (art.3 del Regolamento sul ‘braccio correttivo’).

In questa semplificazione estrema delle regole attuali non venivano più considerati né il cosiddetto ‘Obiettivo di bilancio di medio termine’ (Mto), che per i paesi più indebitati esigeva di portare il deficit strutturale ben sotto la soglia del 3%, con target tra l’1% e il pareggio di bilancio, né una serie di fattori su cui erano basati i percorsi di aggiustamento del vecchio Patto di stabilità: il ‘saldo strutturale di bilancio’, la ‘crescita potenziale’ e il cosiddetto ‘output gap’, tutte ‘grandezze difficilmente osservabili’ (come le aveva definite lo stesso vicepresidente esecutivo della Commissione europea, Valdis Dombrovskis) che rendevano complicatissimo e in parte anche arbitrario il giudizio della Commissione sulle eventuali ‘deviazioni significative’ da parte degli Stati membri.

Oltretutto, negli anni delle politiche di austerità si è dimostrato che la riduzione del deficit a tappe forzate non determina necessariamente una riduzione del debito/Pil (come pretendeva tutto l’impianto del vecchio Patto di stabilità, di ispirazione tedesco-nordica), ma, al contrario, può incrementarlo, perché deprime gli investimenti pubblici e quindi la crescita (ovvero il denominatore del rapporto debito/Pil).

Il negoziato tra gli Stati membri, sotto la spinta dei ‘frugali’ (Germania, Olanda, Austria e Paesi nordici) ha vanificato in buona parte questa semplificazione, e riproposto proprio quel legame di causa effetto tra riduzione del deficit e riduzione del debito/Pil che non ha funzionato, anche se in questo caso si riconosce la necessità di preservare gli investimenti pubblici almeno in alcuni settori.

I paesi ‘frugali’ sono riusciti a ottenere l’inserimento di due ‘salvaguardie’ nel nuovo quadro di regole, inserite nel regolamento sul ‘braccio preventivo’ una per ‘la sostenibilità del debito’. La prima salvaguardia prevede (art.6bis) che i paesi con un debito/Pil superiore al 90% (come l’Italia) debbano ridurlo di almeno un punto percentuale all’anno, mentre la seconda salvaguardia (art.6ter) impone a questi paesi di continuare il proprio percorso di riduzione del deficit/Pil anche dopo che avranno raggiunto il 3%, puntando a portare il disavanzo all’1,5%, per mantenere un ‘cuscinetto’ (‘common resilience margin’) che permetta un margine di bilancio per gli investimenti e le riforme.

Le due ‘salvaguardie’ sono un po’ meno rigorose per i paesi con un debito/Pil tra il 60 e il 90 per cento, che dovranno ridurre il proprio debito/Pil di almeno mezzo punto percentuale all’anno, e poi puntare a ridurre il deficit fino al 2%, e quindi con un ‘margine di resilienza’ dell’1% rispetto alla soglia normale del 3%.

Sostanzialmente, il vecchio ‘Obiettivo di medio termine’ per i paesi più indebitati, che era stato messo fuori dalla porta, rientra dalla finestra, anche se meno rigoroso (deficit tra l’1 e il 2 per cento invece che tra l’1 per cento e il pareggio di bilancio).

Inoltre, la seconda salvaguardia prevede che per tutti gli Stati membri che superano le soglie del 3% del deficit o del 90% del debito venga aggiunto anche un obbligo di ‘miglioramento annuale del bilancio strutturale primario’, pari allo 0,4% nei percorsi di aggiustamento di quattro anni, che sarà ridotto allo 0,25% in caso di prolungamento del percorso a sette anni (quando ci sono gli investimenti e le riforme considerati prioritari dall’Ue).

L’accordo finale ha aumentato queste due ultime percentuali, che nell’ultima bozza di compromesso erano rispettivamente dello 0,3% e dello 0,2%.

Un’altra modifica importante riguarda il cosiddetto ‘conto di controllo’, relativo alle deviazioni massime consentite dai percorsi di aggiustamento basati sulla limitazione della spesa primaria netta (Art.2 del Regolamento sul ‘braccio correttivo’): per i paesi con rapporto debito/Pil superiore alla soglia del 60%, la deviazione massima annuale è stata fissata allo 0,3% del Pil, e allo 0,6% per quella ‘cumulativa’ (per tutto il periodo), con un irrigidimento ulteriore rispetto all’ultima bozza, che prevedeva lo 0,5 annuale e lo 0,6% cumulativo.

In cambio di queste ulteriori concessioni ai paesi ‘frugali’, questi ultimi hanno accettato una clausola di flessibilità temporanea (per gli anni 2025, 2026 e 2027), chiesta dalla Francia e appoggiata dall’Italia, sull’aumento della spesa per gli interessi sul debito, che verrà riconosciuto come fattore mitigante rispetto all’aggiustamento strutturale minimo annuale dello 0,5 del Pil, richiesto ai paesi con un disavanzo oltre il 3% del Pil e sotto procedura per deficit eccessivo.

In sostanza, l’aumento della spesa per gli interessi sul debito, dovuta a eventuali aumenti dei tassi d’interesse o al nuovo debito contratto sui mercati per finanziare gli investimenti e le riforme prioritari per l’Ue, sarà preso in considerazione dalla Commissione e dovrebbe permettere di diminuire di uno o due decimi di punto (in termini di Pil) la correzione annuale richiesta.

Nel complesso, il nuovo Patto di stabilità appare molto più rigoroso e ‘frugale’, meno ‘su misura’ per ogni paese e anche molto meno semplificato, rispetto quello proposto dalla Commissione, con l’aggiunta delle nuove clausole di salvaguardia su debito sul deficit e dei nuovi parametri di correzione minima e deviazione massima nei percorsi di aggiustamento, per i quali tuttavia resta l’elemento centrale della proposta dell’Esecutivo comunitario, l’indicatore basato sulla sostenibilità del debito e sul controllo della spesa pubblica.

Per l’Italia, comunque, c’è un indubbio vantaggio rispetto alle regole dell’attuale Patto di stabilità, che prevede in particolare la regola, mai applicata, della riduzione annuale di 1/20 dell’eccedenza del debito/Pil rispetto alla soglia del 60% (ovvero, con il debito al 140%, una diminuzione del 4% all’anno), e un ‘obiettivo di medio termine’ che in pratica consisterebbe nel pareggio di bilancio. Ora, invece, il nuovo ‘obiettivo di medio termine’ per il deficit viene fissato all’1,5%, e il debito dovrà ridursi solo dell’1% all’anno.

L’accordo, una volta formalizzato, costituirà la posizione negoziale del Consiglio Ue per le trattative (‘trilogo’) che si apriranno ora con il Parlamento europeo, che tuttavia è competente solo per quanto riguarda il ‘braccio preventivo’, e non per quello correttivo. Il Parlamento, che sostiene la clausola di salvaguardia per il debito, non condivide invece quella per il deficit, e chiede anche di aumentare di altri dieci anni i percorsi graduali di aggiustamento.

Le probabilità che il nuovo Patto sia definitivamente approvato entro febbraio ed entri in vigore prima delle elezioni europee sono comunque alte. “Se le cose procedono come pianificato – ha detto Dombrovskis durante la conferenza stampa conclusiva dell’Ecofin – e con l’accordo di oggi penso possiamo essere più fiduciosi sul fatto che vada così, avremo le nuove regole in vigore in questa legislatura, prima delle elezioni europee. E a quel punto la Commissione darà le linee guida sui bilanci per il 2025 in base alle nuove regole”.

“L`Italia ha contribuito in modo rilevante, direi decisivo, soprattutto nell`ultimissima fase insieme alla Francia alla Germania a raggiungere questa intesa”. Lo ha affermato il commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni incontrando i giornalisti al termine dell’Ecofin straordinario . “Penso che per l`Italia siano molto importanti alcuni aspetti che riguardano il percorso di correzione del deficit, che tenga conto dei maggiori costi per i tassi di interesse, il riconoscimento dell`importanza degli investimenti nei Pnrr per ottenere un periodo più lungo nell`aggiustamento della finanza pubblica – ha aggiunto -. E il riconoscimento dell`importanza delle spese per la difesa come aspetto fondamentale nelle nostre valutazioni di politica fiscale”.

“Più in generale, penso che l`Italia abbia un grande vantaggio ad assumere questa prospettiva di medio termine, cioè di diversi anni in cui l’aggiustamento della finanza pubblica e riforme e investimenti vanno di pari passo. E, certo, l`introduzione di diversi parametri numerici costituisce un problema, ma non direi in modo specifico soltanto per l`Italia – ha riconosciuto -. Certamente l’introduzione di questi parametri numerici per alcuni paesi è un fattore di garanzia, lo chiedevano sin dall`inizio, certamente rende l`insieme della meccanismo delle regole più complesso e quindi sarà un gran lavoro da fare per la Commissione, insieme ai diversi Paesi, per avere questi piani di medio termine funzionanti per l`obiettivo di assicurare stabilità e crescita insieme”.

“Spirito del compromesso inevitabile in un’Europa che richiede il consenso di 27 Paesi” è la chiave del ministro dell’economia e delle finanze, Giancarlo Giorgetti, che commenta: “Ci sono alcune cose positive e altre meno”. Ma l’Italia, continua Giorgetti, “ha ottenuto molto e, soprattutto, quello che sottoscriviamo è un accordo sostenibile per il nostro Paese volto, da una parte, a una realistica e graduale riduzione del debito, mentre dall’altra guarda agli investimenti specialmente del Pnrr con spirito costruttivo. Ci sono regole più realistiche – prosegue – di quelle attualmente in vigore. Le nuove regole naturalmente dovranno sottostare alla prova degli eventi dei prossimi anni che diranno se il sistema funziona realmente come ci aspettiamo”.

“Consideriamo positiva – conclude il Ministro dell`economia – il recepimento delle nostre iniziali richieste di estensione automatica del piano connessa agli investimenti del Pnrr, l’aver considerato un fattore rilevante la difesa, lo scomputo della spesa per interessi dal deficit strutturale fino al 2027”.

e.m.

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