Manco fossimo tornati ai tempi di Lenin e Kerensky, oppure, per restare leggermente più vicini a noi, a quelli di Ingrao e Amendola, o se vogliamo avvicinarci ancora eccoci a Bersani e Renzi. La polemica interna al Pd, agitata dai cosiddetti riformisti, farebbe ridere se non fosse patetica ma anche preoccupante per il futuro del principale partito della sinistra italiana.
Il problema è tanto semplice quanto surreale: questi riformisti – ossia l’ex ministro Guerini, il governatore emiliano Bonaccini e vari altri dietro a loro, tra cui un gruppo di dirigenti liguri che hanno lasciato il Pd e che sono stati osannati dalla stampa di destra e non solo – accusano la segretaria Elly Schlein di essere troppo radicale, anzi massimalista per usare una definizione del passato remoto. Non dicono rivoluzionaria – magari lo fosse – perché anche loro sanno che la rivoluzione, oltre a non essere un pranzo di gala (Mao tse Tung), non è proprio nell’ordine delle cose esistenti. Oggi, domani e pure dopodomani. Dunque di cosa viene accusata l’attuale leader del Pd? Semplicemente di dire cose e agire politicamente mettendo al primo posto i problemi che tutti quelli di sinistra, anche moderata, dovrebbero mettere, ossia i problemi di chi è rimasto indietro, di chi ha meno diritti degli altri, di chi vorrebbe avere qualcosa di più dalla vita. Gli operai per esempio, ma anche i gay e i transgender, i disoccupati, i precari, o quelli che pagano le tasse mentre molti altri non le pagano, gli immigrati che vengono ricacciati in mare oppure, se sono fortunati, lavorano in nero dodici ore al giorno a raccogliere pomodori dormendo in capanne di lamiera senza acqua potabile, pagati pochi euro. Oppure tutti quelli che subiscono i tagli alla sanità pubblica, avvenuti anche sotto il governo renziano, e non hanno le risorse per curarsi privatamente.
Insomma, ci siamo capiti: a modo suo, a volte anche goffamente e con qualche ingenuità che si presta allo scherno dei politici super navigati, Schlein sta cercando di ritrovare quella ragion d’essere che dovrebbe essere il fondamento del Pd, la sua anima. Non va bene, anzi va malissimo, perché secondo i nostri riformisti, così facendo il Pd sarebbe subalterno ai Cinquestelle di Conte o alla Cgil di Landini. Non gli viene in mente che l’altra strada porterebbe dritti dritti nel mondo di quei moderati, Renzi e Calenda e anche Forza Italia, rendendo il Pd una sorta di utile idiota. Utile alla destra che governa e agli interessi di chi esercita il potere senza farsi notare troppo.
Ma forse, chissà, l’obiettivo di questi riformisti non è solo quello di cambiare linea al partito, ma soprattutto quello di riprendersi il potere (chiamiamolo così) che hanno esercitato per dieci anni ma che ora hanno perduto.
Riccardo Barenghi