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Home - Approfondimenti - La nota - Ripensare le relazioni industriali per contribuire alla crescita

Ripensare le relazioni industriali per contribuire alla crescita

14 Dicembre 2010
in La nota

Il dialogo alla base del futuro delle relazioni industriali. E’ quello che fa la differenza secondo l’amministratore delegato di Telecom Italia, Franco Bernabè, e permette di siglare gli accordi. Ne è un esempio l’intesa di agosto sottoscritta tra le parti sociali, frutto di una partita molto complessa, vinta dalla volontà di trovare una soluzione condivisa.
E dialogo e confronto saranno elementi di rilievo della scuola di relazioni industriali di Telecom Italia presentata oggi nel corso di un convegno a Roma  al quale hanno partecipato le istituzioni, rappresentate dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, le imprese, con la presenza di Franco Bernabè per l’azienda e di Aurelio Regina per l’Unione Industriale di Roma, dei sindacati, con i segretari generali di Cgil, Cisl, Uil tlc e Ugl, Susanna Camusso, Raffaele Bonanni, Bruno Di Cola e Giovanni Centrella.

Al centro del dibattito il cambiamento dello scenario sociale in risposta alla crisi, i modelli di relazioni industriali, la bassissima crescita della produttività, il ruolo delle imprese e dei sindacati in un contesto economico e politico sempre più difficile. Ma si è parlato anche dell’importanza del capitale umano nel contribuire alla crescita economica del paese. Investimenti quindi non solo in infrastrutture ma anche nelle risorse umane.

Di fronte a questo scenario difficile secondo il presidente del Censis, Giuseppe De Rita, l’Italia ha replicato se stessa mettendo in campo le misure di sempre, dal manifatturiero alle attività delle pmi, dalla famiglia alla grande capacità del territorio di creare coesione sociale. A suo avviso la crescita è bloccata perché manca il rischio nell’imprenditorialità. Il ciclo economico ha esaurito la sua forza di spinta, dice De Rita, a causa del declino dei desideri, soffocati da una sovrabbondanza dell’offerta.

Il problema per il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, non è un calo dei desideri degli italiani, ma una diffusa incertezza sulle prospettive future e sull’incapacità di progettare il proprio avvenire.
Il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, insiste sulla mancanza degli investimenti e sulla necessità di una responsabilità delle parti sociali più che della differenza giocata da un bravo politico per superare lo scoglio della crisi. Per Giovanni Centrella, segretario generale dell’Ugl, la politica è molto distante dal paese, anche se questo non toglie responsabilità alle organizzazioni imprenditoriali e sindacali. Anche per il segretario generale della Uil telecomunicazioni, Bruno Di Cola, il governo ha delle grandi responsabilità e il sindacato sta cercando di fare del suo meglio, a partire dalle proposte che emergono dal tavolo su crescita e occupazione.

E’ calato il desiderio di sognare, di sentirsi parte di una sfida imprenditoriale, dice Aurelio Regina dell’Unione Industriali di Roma, ricordando che in Italia manca la grande industria, perché non competitiva. La gente invece ha paura e cerca di proteggere tutto quello che ha, secondo l’ad di Telecom, Franco Bernabè. Per combattere questa paura a suo giudizio è necessario un cambiamento strutturale. Serve sì ricerca e innovazione, ma anche dialogo perché in un momento come questo si trova il maggior grado di conflittualità, tra parti sociali e governo, tra le stesse parti sociali, all’interno delle stesse confederazioni.

La discussione poi si è spostata sulla contrattazione e sul sistema delle regole. La scelta di dividere è precedente alla crisi, secondo Camusso. Per questo la Cgil ritiene che si debba ripensare il rapporto e la funzione delle regole. Infatti se il punto fondamentale è diventato che la regola la puoi derogare, occorre forse rifare le regole perché la legge non può essere sempre derogata e se si destruttura il sistema di rappresentanza non si opera un vantaggio per il paese. Di fronte alla derogabilità siamo tutti più irresponsabili, dice la leader della Cgil.  Le regole le fanno le parti, risponde Bonanni, e la legittimità di derogarle dipende esclusivamente dalla maggioranza, unica ad avere il potere di decidere. Tutte le categorie hanno firmato accordi, ricorda, ad eccezione dei metalmeccanici dove c’è un sindacato che secondo il sindacalista ha come obiettivo non le intese ma tante lotte.
A divedere il sindacato, dice Centrella riferendosi all’accordo di Pomigliano, non sono tanto le contraddizioni ma piuttosto la mancanza della democrazia. Non è una questione di regole, secondo Di Cola, ma di come queste si applicano e su come ci si confronta. Infine per Regina servirebbero regole più snelle a livello centrale.

Il convegno si è concluso con l’intervento del ministro Sacconi che ha ribadito l’importanza della cooperazione, strumento fondamentale per costruire nuove forme di crescita. A suo avviso bisogna superare fattori strutturali di ritardo come il debito pubblico e il declino demografico. Muovendo da questi fattori la cooperazione diventa ancor più necessaria. Molti devono diventare i punti di forza per il rilancio delle relazioni industriali, dalla sicurezza sul lavoro alla giusta remunerazione del lavoratore estesa alla partecipazione alla gestione aziendale, dalla conoscenza che rende le persone occupabili alla crescita della produttività del lavoro. Secondo il ministro non si può fare affidamento solo sulle sanzioni, ripiegando su una cultura difensiva, ma serve un forte contenuto promozionale. La cornice normativa è essenziale dice Sacconi, per questo è importante intervenire sullo Statuto dei lavoratori e sostituirlo con una nuova legge che sia rigida per quanto concerne i diritti universali, ma flessibile per il contenuto promozionale che deve sostenere. Le regole sono derogabili dalle parti sociali nel concreto delle diverse circostanze specifiche.

Francesca Romana Nesci

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