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Home - Top - Secessione. Una politica di noi stessi, di Éric Sadin. Edizioni Luiss University Press

Secessione. Una politica di noi stessi, di Éric Sadin. Edizioni Luiss University Press

di Elettra Raffaela Melucci
12 Gennaio 2024
in La biblioteca del diario
Secessione. Una politica di noi stessi, di Éric Sadin. Edizioni Luiss University Press

Secessione. Una politica di noi stessi (Edizioni Luiss University Press) è l’ultimo saggio scritto dal filosofo francese Éric Sadin che fa seguito all’acclamato Io tiranno, costituendone una sorta di seguito. Perché se, in estrema sintesi, in Io tiranno l’autore analizza il conflitto tra il percepirci più autonomi grazie alle tecnologie e l’effetto di scollamento dall’ordine comune che queste producono sull’individuo, in Secessione Sadin analizza autopticamente le cause, ma soprattutto gli effetti, prodotti nell’era del neoliberismo sfrenato e dell’avvento della “rivoluzione digitale”, intravedendone certo il tramonto, ma focalizzando l’attenzione sulle conseguenze che ci ritroviamo conniventemente a pagare, essendo noi complici di un fenomeno di portata epocale.

Il neoliberismo, sostiene Sadin, è in agonia e la diagnosi parrebbe definitiva. Gli effetti su corpi, menti e ambiente sono devastanti e incontrovertibili; la precipitosa rovina etica, morale, economica e politica, sia essa collettiva o individuale, ormai inarrestabile. Il grido di accusa si solleva all’unanimità, ove con ipocrisia, ove con lucida esasperazione. Dinanzi a tutto ciò, Sadin si autoproclama “additatore”, «alla stessa stregua di quelle figure, presenti nella pittura rinascimentale, che guardano in faccia l’osservatore e, con gesto deittico, gli indicano la scena decisiva, e a volte persino nascosta, su cui concentrare l’attenzione». L’intento è quello di trascinare il lettore nella storia del mondo e renderlo partecipe del suo movimento, sostenendolo a integrarvisi e agirvi dall’interno come protagonista attivo. Perché la principale accusa di Sadin non è tanto alla causa, al neoliberismo, ormai compiuto in sé stesso e, anzi, all’acme della sua deflagrazione finale, quanto alla letargia in cui gli uomini e le donne sono (stati) sprofondati, incapaci di trarre insegnamento dal passato e liberarsi dal giogo di un’illusione dettata da vecchie promesse mai mantenute. Nostalgie nocive per l’utopia della resurrezione di uno stato sociale benefico in un mondo ormai spersonalizzato, atomizzato e automatizzato, la cui unica logica è l’asservimento delle coscienze alla logica degli algoritmi e del profitto, alla telesocialità e alla mercificazione delle vite da parte dell’industria digitale, ventilata come l’Eldorado dell’umanità e acriticamente accettata da tutti. La sinergia di tali vettori ha contribuito al più radicale isolamento degli individui e alla conseguente rottura di ogni forma di collettività, considerata la vera forza per sovvertire questo disordine mondiale, e Sadin imbraccia la causa per provare e svegliarci da questo sonno senza fine.

Ma Secessione è anche un j’accuse alla politica e a un certo tipo di intellettualismo/attivismo che ha condotto allo svuotamento concettuale delle idee e alla subdola gerarchizzazione tra gruppi, per cui da una parte ci sono le élite deputate a indicare la via, e dall’altra le masse indotte a seguire delle istruzioni senza volontà di critica. Il riferimento è in particolare alla teorizzazione di un umanesimo ecologico che sta emergendo come una forma di neoconformismo, dall’aspetto miope e lenitivo – la «finzione collettiva di un mondo migliore» -, che propone modelli inaccessibili per i più e dal quale sarebbe meglio diffidare. Se, nel merito, la battaglia delle idee è stata vinta, nel metodo «questo neoconformismo intriso di buona coscienza promette di essere, dopo l’ultraliberismo, il nuovo nemico da combattere, perché contribuisce a fare schermo alle questioni capitali e, di conseguenza, a eclissare l’urgenza di affrontarle». Tra le quali ridefinire la politica e rivitalizzare la democrazia, che non significa modificare vecchi schemi rivelatisi inefficaci, «ma piuttosto modificare le nostre concezioni, che si rivelano altrettanto arcaiche».

Nella facoltà critica Sadin individua il potere fondamentale – la «critica che salva», diceva Walter Benjamin – per impedire l’avvento di ogni tipo di catastrofe, attraverso cui è possibile riappropriarsi dell’essenza del ruolo politico del cittadino, non confinabile al semplice atto di voto come espressione democratica. Perché se «la democrazia è, prima di tutto, una teoria del potere e della ripartizione dei poteri, oggi come oggi è bene operare delle redistribuzioni e mobilitare altre forme di esercizio del potere». Per l’autore, la politica è scollata dalla realtà e per questo incapace di modificarla se non in peggio e a discapito delle masse. In questo senso, per compiere una vera rivoluzione sociale – nella declinazione di Aleksandr Berkman come riorganizzazione dell’intera società – si erge a valore di capitale importanza la dinamica della testimonianza, della viva voce di chi questa realtà la esperisce e la subisce. Le testimonianze «puntano a far venire a galla contraddizioni, ingiustizie, sofferenze» e per questo dovrebbero essere adottate a diversi livelli della società, «per smontare le rappresentazioni distorte che, troppo spesso, offuscano la realtà […] questa è una delle condizioni necessarie affinché, in democrazia, non perdurino forme di abuso, e affinché possano concretizzarsi azioni di trasformazione virtuose». In questo senso, rifacendosi a Franz Fanon per il quale «ogni esperienza, soprattutto se si rivela infeconda, deve entrare nella composizione del reale e, attraverso ciò, occupare un posto nella ristrutturazione del reale», la testimonianza fungerebbe «non soltanto da rivelatrice, ma anche da rivelazione, in un certo qual modo, perché è in grado di annunciare prospettive che, senza di essa, ci potrebbero sfuggire». Prospettive che servirebbero a smentire una serie di rappresentazioni errate o deliberatamente distorte. È «questo significa costruire una “società critica”, impegnarci a non essere più ingenui e distinguere tra, da una parte, ciò che è vero e, dall’altra, ciò che è sbagliato e improprio».

Sarà fondamentale che la testimonianza sia sincronica all’abuso, che non offra margini di assuefazione e integrazione all’iniquità che poi diventa regola. Pertanto, se l’essere umano «è dotato di un’energia viscerale e indistruttibile che, a forza di subire o assistere a circostanze inique, si sprigiona», occorre canalizzarla e utilizzarla con saggezza, esercitarla per tempo nei luoghi in cui avvengono tali fenomeni abusivi. «Quello che oggi ci schiaccia non sarebbe durato se tali posture fossero state adottate con fermezza»: un’affermazione disincantata che dà prova della debole e limitata vocazione degli uomini alla ribellione, senza strategia, orientata più a sviluppare le individualità, così come voluta dal capitalismo e dal liberismo, piuttosto che la collettività intesa come comunanza di intenti libera dalla prevaricazione. Sarà attraverso l’interposizione che potremo difendere le nostre esigenze morali, che si caratterizza per il fatto di essere il risultato della volontà di far prevalere i principi cardinali inviolabili, «l’affermazione intangibile del fatto che nessun individuo può essere trattato esclusivamente come un mezzo e che le preoccupazioni umane non possono rispondere di continuo a logiche strettamente utilitaristiche». Coltivare la cultura del rifiuto, del “no” pasoliniano, «difendere con le unghie e con i denti, in maniera collettiva e intelligente, valori indefettibili – capaci di sortire gli effetti sperati e di modificare, alla lunga e radicalmente, un certo stato d’animo della società […] contrastare così, tramite azioni concrete, le iniziative considerate usurpatorie significa non soltanto dotarsi degli strumenti utili per farle fallire, ma anche favorire l’emergere di una coscienza che sostiene un’idea molto alta della morale».

Ma se il potere «più che nelle istituzioni, risiede nelle relazioni» tra individui, secondo i dettami Michel Foucault, bisogna riappropriarsi del senso della collettività, liberare le nostre aspirazioni all’interno di progetti comuni e complementari e «costruire, ovunque e insieme, forme di vita appaganti e virtuose» per cambiare finalmente (e concretamente) il paradigma da un modello deleterio a modalità di esistenza più appaganti del capitalismo. Azioni alternative, queste, che possono scaturire solo dal basso mobilitando le nostre forze: «Solo la ferma intenzione di agire può far scaturire la possibilità di sottrarsi a certe situazioni, non essere più testimoni amorfi, e a volte danneggiati, dei grandi eventi o di quelli del quotidiano, e di essere capaci di pensare, in vari modi, sul corso dei nostri destini […] La sfida della nostra epoca “è quella di influire sulle questioni che ci riguardano».

Cos’è quindi la secessione invocata dal titolo? «Fare una secessione significa prima di tutto smontare una serie di riflessi, abitudini e rappresentazioni che continuano a mantenere intatti schemi più che mai inefficaci, a prosciugare le nostre volontà e a condurci all’immobilismo». Secessione, per Sadin, non è rompere con un ordine comune, ma la restituzione del suo pieno significato, infrangendo schemi obsoleti, ingiusti e inefficaci per istituzionalizzare l’alternatività. «Solo attraverso questo movimento è possibile rinnovare nuove prospettive di emancipazione per tutti. Dopo tante delusioni, è giunto il momento di impegnarci insieme in una politica fatta e progettata direttamente da noi: una politica di noi stessi».

Con Secessione. Una politica di noi stessi Sadin affronta trasversalmente un fenomeno diventato invisibile a causa di un’assuefazione comune, apre le finestre in una stanza rimasta a lungo chiusa per cambiare l’aria viziata dai mali incrociati della contemporaneità. Non senza passaggi sottilmente ridondanti, la critica al neoliberismo e ai suoi effetti altamente dannosi è pervasa da una insofferenza montante soprattutto nei riguardi di una popolazione letargica che non riesce a scrollarsi di dosso la malia di promesse di là a realizzarsi, eppure palesemente illusorie. Nel merito di un raffinato saggio filosofico, si scorge la contraddizione di chi indica lo svolgersi di una cattiva condotta intrisa di benaltrismo e pure offre soluzioni destinate a restare nel grande mondo dell’idealismo. Una considerazione, questa, che non deprezza il valore della trattazione, il cui merito indiscusso è l’aver strutturato un necessario scossone alle coscienze per gettare lo sguardo oltre le barriere del nemico.

Elettra Raffaela Melucci

Titolo: Secessione. Una politica di noi stessi

Autore: Éric Sadin

Editore: Luiss University Press

Anno di pubblicazione: ed. originale 2021; edizione italiana luglio 2023

Pagine: 194 pp.

ISBN: 978-88-6105-911-5

Prezzo: 22,00€

Elettra Raffaela Melucci

Elettra Raffaela Melucci

Redattrice de Il diario del lavoro

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