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Home - Approfondimenti - Interviste - Sicilia, crisi dell’acqua. Trimboli (Femca-Cisl Sicilia): occorre una programmazione di lungo termine, non si può lavorare solo sull’emergenza

Sicilia, crisi dell’acqua. Trimboli (Femca-Cisl Sicilia): occorre una programmazione di lungo termine, non si può lavorare solo sull’emergenza

di Elettra Raffaela Melucci
4 Aprile 2025
in Interviste
Sicilia, crisi dell’acqua. Trimboli (Femca-Cisl Sicilia): occorre una programmazione di lungo termine, non si può lavorare solo sull’emergenza

Se l’emergenza idrica in Sicilia ogni estate tiene banco nella discussione pubblica, meno chiare sono le ragioni profonde di un fenomeno che di certo non è estemporaneo. Complice anche il cambiamento climatico, l’Isola sconta una gestione farraginosa e una scarsa manutenzione della rete idrica, con gravi disagi per il tessuto produttivo e per la cittadinanza in generale. La catena di responsabilità ha origini lontane: un sistema legislativo non attuato nella sua completezza, investimenti non all’altezza del problema e una debole volontà politica nel far entrare in piena sinergia gli attori preposti alla gestione delle infrastrutture. A fare chiarezza sulla questione è il segretario della Femca-Cisl Sicilia, Stefano Trimboli.

Qual è, in questo momento, la situazione idrica in Sicilia?

È un argomento che come Femca-Cisl trattiamo molto e in tempi non sospetti abbiamo anche tenuto un convegno “anticipatorio” di quella che poi è stata la grande emergenza della scorsa primavera-estate che ci ha permesso di avere un quadro chiaro dello stato del sistema idrico siciliano. Per quanto riguarda la situazione attuale, abbiamo avuto una buona stagione delle piogge, per cui l’emergenza si è attenuata. Il problema, però, permane, perché gli invasi sono molto al di sotto della loro effettiva capacità di capienza. Questo perché hanno bisogno di manutenzione e gli interventi hanno un costo che negli anni le varie amministrazioni regionali non hanno affrontato compiutamente. Altro problema è quello delle reti vetuste, che fanno disperdere acqua nel percorso che va dalla struttura che la accumula fino alle reti acquedottistiche che ci sono in Sicilia. Qui, inoltre, il sistema idrico è diviso in 9 ATO (Ambito Territoriale Ottimale) e quindi i singoli pezzi di acquedotto sono di competenza di diversi gestori.

Sembra esserci un approccio emergenziale a un problema strutturale, dove la siccità ha solo fatto prendere coscienza di una situazione che in realtà va avanti da molti anni. Perché ogni anno è come se fosse la prima volta?

Da punto di vista del refluo la Sicilia ha una situazione particolare con diverse criticità già sottoposte dall’Unione europea a procedura di infrazione. La distribuzione, invece, sconta una rete acquedottistica molto vecchia dove ci sono delle perdite, con una media del 45-50% e punte del 70%. Vi si fa fronte con un approccio emergenziale perché servono investimenti ben oltre quanto si era pensato di poter fare con i fondi del PNRR e con i Fondi di Sviluppo e Coesione, perché i piani di ambito che si sviluppano lungo le concessioni di trent’anni parlano di fondi per circa 3 miliardi di euro per portare il sistema di distribuzione a regime. Sono soldi che devono provenire da fondi mirati e programmati e l’attuale sistema di gestori unici su sette province non consente la pianificazione di investimenti così corposi.

Questi dati sulla dispersione idrica cosa segnalano, a livello sia infrastrutturale che politico-amministrativo?

Tengo a sottolineare che il problema della dispersione idrica riguarda tutta l’Italia. Utilitalia e Arera stanno facendo una battaglia per sensibilizzare la politica e l’opinione pubblica sul fatto che nel nostro Paese il monte di investimenti pro capite sulla rete idrica può essere migliorato: siamo intorno ai 65€ pro capite, nel resto dell’Europa si spende di media fino a 82€. Questo perché probabilmente c’è bisogno di mettere mano alla legislazione del settore. La Legge Galli del 1994, attualmente in vigore, non è stata attuata nella sua completezza. Ci sono ancora larghi spazi di gestione di carattere locale, che se da un lato avvicinano il cittadino alle amministrazioni comunali che distribuiscono l’acqua, dall’altro non consentono di avere la capacità di investimento necessaria a rendere l’acquedotto efficiente. I gestori, gli enti locali legati e le ATI (Assemblee Territoriali Idriche), coloro che governano l’intero sistema di distribuzione dell’acqua nei territori di competenza, sono soltanto messi insieme dalla legge, ma di fatto lavorano male. Quindi il problema riguarda anche la legislazione: si rende quindi necessaria una riforma e una più precisa applicazione della Legge Galli. In Italia l’acqua c’è ed è abbondante, il problema è che non viene gestita nella maniera opportuna.

L’autonomia differenziata avrà qualche ripercussione sulla gestione di questo tipo di di criticità?

Bisogna ricordare che la gestione è sempre connessa al bacino idrografico di riferimento e all’ambito territoriale. La Regione sovrintende, ma in realtà non mette le mani direttamente sull’acqua. La differenza la fanno gli investimenti, le reti efficienti e anche una gestione virtuosa delle acque reflue che potrebbero essere recuperate, solo che in Italia questo concetto ancora è non sviluppato. Unico caso virtuoso per il trattamento delle acque reflue è proprio in Sicilia, a Castelvetrano, ma è sempre fuori dalla competenza dell’Arera.

L’efficienza delle tubature e degli invasi è cruciale. In particolare, sono 46 le strutture disponibili preposte alla raccolta d’acqua piovana, ma solo alcune funzionanti. Perché?

Alcune sono pienamente efficienti, altre avrebbero bisogno di manutenzione, come per esempio essere sfangate dai detriti che ne riducono la capienza. In alcuni casi, quindi, la capacità di accumulo dell’acqua è ridotta. Gli invasi in Sicilia ci sono, sarebbe auspicabile che venissero tenuti meglio.

Lo scorso giugno il presidente della Regione, Renato Schifani, ha annunciato una serie di investimenti stanziati da Governo e Regione. A che punto siamo?

Sicilia Acque, che è la società di sovrambito, sta investendo su una parte di rete acquedottistica della Sicilia occidentale. Con i fondi del PNRR, circa 118 milioni, si è investito su cinque interventi nella zona del palermitano e altri interventi si stanno facendo sulle dighe. Tuttavia, come abbiamo sottolineato, pesa la deadline del 2026 per il completamento delle opere. Inoltre, ci sono questi 350 milioni del Fondo di Sviluppo e Coesione, negoziati fra il governo nazionale e quello regionale, che sono stati indirizzati alla depurazione. Prima ho accennato alle procedure di infrazione della Commissione europea: molti punti della Sicilia sono coinvolti. La questione delle acque reflue è ancora tutta aperta e quei 350 milioni sono sicuramente una buona base di investimento, ma non sufficienti a portare a regime il trattamento, che in Sicilia è una nota dolente.

Ci sono stati degli stanziamenti anche per la riattivazione dei dissalatori di Trapani, Gela e Porto Empedocle, che furono chiusi per gli alti di costi di di gestione. Come mai questa marcia indietro?

È stata generata sicuramente dall’emergenza e quindi dalla necessità di recuperare acqua. Con la trivellazione dei nuovi pozzi siamo al massimo, ma l’emergenza ha imposto la necessità di recuperare altra acqua dove era possibile trovarla e quindi anche attraverso il processo di dissalazione. Anche se adesso sono più efficienti rispetto a 15 anni fa, quando quei dissalatori sono stati attivati, comunque continuano ad avere costi elevati di gestione. Inoltre introdurre quell’acqua costosa di per sé in reti vecchie che la disperderebbero ne farebbe raddoppiare il costo. Sulla dissalazione, quindi, bisogna procedere con cautela soprattutto nella distribuzione dell’acqua ricavata; sarebbe bene accumularla per poi gestirla al meglio dentro reti più efficienti. Di certo in questo momento non si può pensare di risolvere il problema dell’acqua che arriva al rubinetto del cittadino attraverso la dissalazione, perché avrebbe un costo esorbitante.

A fronte di questo e altri problemi strutturali che affliggono la Regione, come valutate il fatto che dai Fsc sono state sottratte risorse da destinare al ponte sullo Stretto?

Come sindacato leggiamo l’opera del ponte sullo stretto come un vantaggio non solo per Sicilia e Calabria, ma per tutta l’Europa, una direttrice che va da Berlino fino a Palermo. Per il sistema idrico è ovvio che servano risorse ingenti, che bisognerebbe programmare con attenzione evitando di distrarle su altri progetti. Le risorse attualmente messe in campo non sono sufficienti, ma quelle dirottate dal Fondo di Coesione e Sviluppo verso il ponte – 1,3 mld –- non ci risulta fossero destinate al sistema idrico siciliano. Per il sistema idrico occorre una programmazione di lungo termine, non si può lavorare solo sull’emergenza né tantomeno sul breve periodo.

È tuttavia un paradosso che la spesa media sostenuta dalle famiglie siciliane nel 2024 per la bolletta idrica ammonti a 498€, addirittura in aumento dello 0,8% rispetto al 2023. Perché questi costi nonostante un servizio inesistente?

La questione è più profonda. Quei quasi 500€ all’anno in realtà sono 1,50€ al giorno, che sono percepiti come un costo esagerato perché il sistema non funziona. Sulla base dei dati che abbiamo raccolto, nel resto d’Europa il costo del servizio è più alto che in Italia e, quindi in Sicilia, per cui è più una percezione che è un fatto di reale costo. Se il sistema idrico integrato funzionasse nella maniera più efficiente possibile, probabilmente quella cifra non sarebbe percepita così alta.

Ma resta il fatto che in Sicilia non è un servizio garantito con continuità.

Sì, e anche il singolo euro risulta poi un peso eccessivo per le tasche degli utenti che, a fronte di un pagamento, pretendono un servizio efficiente. La questione è migliorare il servizio piuttosto che abbassare le tariffe: sarà difficile tornare indietro sul costo, ma è invece importante andare avanti sull’efficienza. È sicuramente un grave disagio avere l’acqua soltanto alcuni giorni alla settimana ed è comprensibile che i cittadini siano arrabbiati. L’acqua è un bene che riflette la sua importanza su tutti gli aspetti della vita. E pensiamo anche alle imprese, al turismo, alla ristorazione, all’agricoltura: se il servizio non funziona si hanno impatti economici e sociali molto pesanti. Per parte propria, la Cisl ha sempre sostenuto che il problema non è soltanto aprire il rubinetto e non trovare l’acqua, ma è più profondo: laddove non c’è un servizio idrico efficiente, c’è un problema di sviluppo economico compromesso.

Agrigento si prepara a celebrare il suo ruolo di Capitale italiana della Cultura 2025. Come pensa vi si farà fronte cn questa problematica a monte?

La bellezza della città risente dei disservizi dell’industria dell’acqua. La gestione dell’acqua dovrebbe essere pensata proprio come parte di un settore industriale, dove chi la gestisce deve avere una mentalità manageriale. Soltanto così si può pensare di poter investire bene sul sistema. Ad Agrigento, come in altre zone della Sicilia, la gestione spesso non ha questo carattere, perché sconta storture che si sono sommate nel tempo e sulle quali non si è intervenuto in maniera imprenditoriale.

Un’altra situazione insostenibile è il contrabbando di acqua: un vero e proprio mercato nero delle risorse in mano a soggetti poco trasparenti.

Sì, questo avviene soprattutto nelle fasi più acute dell’emergenza: autobotti di dubbia proprietà che vendono a peso d’oro acqua ricavata da pozzi non censiti e per questo molto pericolosa poiché non controllata. Noi stigmatizziamo questo fenomeno e chiediamo alla cittadinanza di fare attenzione su questi usi fuori dalla legge della risorsa idrica

In pratica ai siciliani viene negato il diritto all’acqua e in alcune zone è in atto una guerra di risorse tra poveri. Di questo passo si assisterà a una migrazione climatica?

In Sicilia, come altrove, scontiamo la desertificazione delle aree interne legata non soltanto alla penuria d’acqua, ma anche a problemi più profondi. Bisogna ben distinguere tra il diritto all’acqua come bene comune e il diritto di ricevere l’acqua al rubinetto. L’acqua è chiaramente un diritto inalienabile, ma ben altro è il diritto ad avere l’acqua in casa per gli usi di consuetudine. Quest’ultimo è un diritto che ha un costo, il processo che porta l’acqua fino al rubinetto è lungo e articolato e il cittadino ne deve per forza tenere conto.

Più volte il presidente Schifani ha detto di confidare nelle piogge e ora che ha visto esaudite le sue preghiere sarà sufficiente per affrontare l’estate?

In questo momento, come detto, gli invasi sono abbastanza pieni e consentono di affrontare la prima parte dell’estate. Il problema degli invasi non riguarda solo la manutenzione ma anche l’evaporazione dell’acqua al suo interno: con i cambiamenti climatici l’evaporazione aumenta e quindi la quantità di acqua accumulata diminuisce sempre più. Ma dobbiamo monitorare l’evolvere della stagione, perché per quanto riguarda la capacità di reperire risorse non è cambiato molto dall’anno scorso.

Contestualmente, Schifani ha detto anche di essersi ritrovato suo malgrado in una situazione difficile. Da dove parte la catena di responsabilità?

Sicuramente da lontano. Quella che è sempre mancata è la volontà politica di mettere insieme investimenti pubblici e privati. Soltanto così il sistema può funzionare.

Elettra Raffaela Melucci

Elettra Raffaela Melucci

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Redattrice de Il diario del lavoro

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