L’economia del Mezzogiorno sta mostrando una lenta ripresa, che è però a rischio di “grande” frenata senza politiche adeguate. E’ quanto evidenzia il rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno, presentato oggi a Roma.
“La crescita dell’economia meridionale nel triennio 2015-2017 – spiega il rapporto – ha solo parzialmente recuperato il patrimonio economico e anche sociale disperso dalla crisi nel Sud”. La ripresa è stata trainata dagli investimenti privati, mentre manca il contributo della spesa pubblica. Il rapporto rileva inoltre una “forte disomogeneità tra le regioni del Mezzogiorno”: nel 2017, Calabria, Sardegna e Campania registrano il più alto tasso di sviluppo. Aumenta l’occupazione, ma debole e precaria, mentre si amplia il disagio sociale, tra famiglie in povertà assoluta e lavoratori poveri. Si crea così un nuovo dualismo demografico: meno giovani, meno Sud.
Nel 2017, il Pil del Mezzogiorno è cresciuto dell’1,7%, ma, sottolinea lo Svimez “in un contesto di grande incertezza rischia di frenare”. Per il 2018, l’istituto stima per il Sud una crescita dell’1%, rispetto all’1,4% del Centro-Nord, ma è nel 2019 che si prevede una forte frenata in una situazione di neutralità delle politiche di sviluppo: una crescita dello 0,7%, con un sostanziale dimezzamento del tasso di sviluppo in due anni.
E’ soprattutto nel 2019 che si rischia un forte rallentamento dell’economia meridionale: la crescita del prodotto sarà pari a +1,2% nel Centro-Nord e +0,7% al Sud. In due anni, un sostanziale dimezzamento del tasso di sviluppo. Il rallentamento “tendenziale” dell’economia meridionale nel 2019 è stimato dalla Svimez, in un contesto di neutralità della policy, in attesa della Nota di aggiornamento al Def e della Legge di Bilancio.
In assenza di una politica adeguata, anche l’anno prossimo il livello degli investimenti pubblici al Sud dovrebbe essere inferiore di circa 4,5 miliardi se raffrontato al picco più recente (nel 2010). Se, invece, nel 2019 fosse possibile recuperare per intero questo gap, favorendo in misura maggiore gli investimenti infrastrutturali di cui il Sud ha grande bisogno, ciò darebbe luogo a una crescita aggiuntiva di quasi un punto percentuale (+0,8%), rispetto a quella prevista (appena un +0,7%), per cui il differenziale di crescita tra Centro-Nord e Mezzogiorno sarebbe completamente annullato, anzi, sarebbe il Sud a crescere di più, con beneficio per l’intero Paese.
Il numero di famiglie meridionali con tutti i componenti in cerca di occupazione è raddoppiato tra il 2010 e il 2018, da 362 mila a 600 mila (nel Centro-Nord sono 470 mila). Il numero di famiglie senza alcun occupato è cresciuto anche nel 2016 e nel 2017, in media del 2% all’anno, nonostante la crescita dell’occupazione complessiva, a conferma del consolidarsi di aree di esclusione all’interno del Mezzogiorno, concentrate prevalentemente nelle grandi periferie urbane. Si tratta di sacche di crescente emarginazione e degrado sociale, che scontano anche la debolezza dei servizi pubblici nelle aree periferiche.
Preoccupante la crescita del fenomeno dei working poors: la crescita del lavoro a bassa retribuzione, dovuto a complessiva dequalificazione delle occupazioni e all’esplosione del part time involontario, è una delle cause, in particolare nel Mezzogiorno, per cui la crescita occupazionale nella ripresa non è stata in grado di incidere su un quadro di emergenza sociale sempre più allarmante.