Per le piccole imprese è impensabile anticipare il tfr in busta paga, così come vorrebbe fare il premier Renzi, a partire dal gennaio 2015, “per consentire un ulteriore scatto del potere di acquisto”. Ad affermarlo è il presidente di Rete imprese Italia e di Confartigianato, Giorgio Merletti, che spiega: “per i lavoratori il Tfr è salario differito, per le imprese un debito a lunga scadenza. Non si possono chiamare le imprese ad indebitarsi per sostenere i consumi dei propri dipendenti”. “Va sottolineato infine – aggiunge il presidente – che il trasferimento di tutto il Tfr, o di una parte di esso, nelle buste paga significa azzerare la possibilità, per moltissimi lavoratori, di costruire una previdenza integrativa dignitosa”. “In questa fase di perduranti difficoltà per il nostro sistema produttivo -conclude Merletti- è impensabile che le piccole imprese possano sostenere ulteriori sforzi finanziari, come quello di anticipare mensilmente parte del Tfr ai dipendenti”.
Dal fronte sindacale il segretario confederale della Uil, Domenico Proietti, solleva un altro quesito, ricordando come già in passato il Tfr fosse stato destinato ai fondi pensione: “Il Tfr -spiega Proietti- può essere destinato alla previdenza complementare che, in questi anni, ha dato rendimenti medi sensibilmente superiori alla rivalutazione del Tfr lasciato in azienda. L’attuale normativa prevede per le aziende con almeno 50 dipendenti che il Tfr non destinato alla previdenza complementare transiti nel Fondo di Tesoreria del Mef, che vale oggi oltre sei miliardi l’anno. Il governo intende rinunciare a questo flusso?”.
Più possibilista il segretario confederale della Cisl, Maurizio Petriccioli, che afferma: “Un po’ di denaro in più in busta paga può far comodo alle famiglie e rilanciare i consumi, ma deve essere chiaro, per una scelta consapevole, che si tratta di usare in anticipo risorse non più utilizzabili altrimenti al momento del pensionamento e per la previdenza complementare”, e aggiunge: “Il Tfr è salario differito dei lavoratori e quindi deve essere assicurata la volontarietà degli interessati e la semplicità nella modalità della scelta. Deve, inoltre, essere ricordato che sul TFR si paga un’aliquota agevolata più bassa rispetto alle imposte che si pagano sullo stipendio e questo beneficio deve essere mantenuto”.
Mentre il segretario confederale dell’Ugl, Stefano Conti, si esprime ribadendo i dubbi sollevati dalle associazioni delle pmi e dalle imprese artigiane: “Con questa misura si andrebbe ad intaccare un tesoretto che i lavoratori accumulano nel corso degli anni e che di solito alla fine del rapporto di lavoro utilizzano per una serie di importanti esigenze, tra cui anche quelle sanitarie. Senza dimenticare che non sarebbe un favore nemmeno per le imprese alle quali si andrebbe a sottrarre una fonte, impropria, di finanziamento in un periodo di crisi interminabile come quella che stiamo vivendo”.
Immancabile, ovviamente, l’opinione del leader della Cgil, Susanna Camusso, che dichiara: “Invece di fare annunci roboanti sui soldi dei lavoratori, sarebbe bene pensare concretamente a come si evita di impoverirli ancora”. “Primo – ha spiegato – è una norma contrattuale, quelli sono soldi dei lavoratori, quindi nessuno racconti che siamo di fronte a degli aumenti salariali. Secondo, bisogna determinare che non ci sia una perdita per i lavoratori, perchè oggi il Tfr ha un regime di tassazione separata e se lo metti in busta paga, invece, lo riporti ad una tassazione maggiore”. Sarebbe come dire, secondo il segretario, che “gli riporti via gli 80 euro, aumentando la tassazione attraverso il salario indiretto”. Terzo “c’è un tema della previdenza complementare, siamo di fronte ad un peggioramento voluto dal governo Monti della condizione pensionistica, se si mettono ostacoli anche alla previdenza complementare stiamo preparando un futuro di poveri”, ha concluso


























