• Today is: sabato, Aprile 1, 2023

Tira una brutta aria sull’economia

Maurizio Ricci
Febbraio08/ 2022

Tira una brutta aria. E non bisogna fare grandi sforzi di immaginazione per vedere vecchi fantasmi tornare a volare. L’ultima spallata del Covid con l’esplosione di Omicron ha impedito finora al comparto dei servizi (in particolare turismo, tempo libero ecc.) di riprendere a marciare su ritmi normali. Ma le brutte notizie vengono dall’industria, il vero motore della brillante ripresa italiana dell’ultimo anno e mezzo, che sembra essersi spento con l’arrivare dell’inverno. Secondo il Centro Studi Confindustria, la produzione industriale sta compiendo una inversione a U: meno 0,7 per cento a dicembre e meno 1,3 a gennaio. L’indice parte, dunque, già nel 2022 con una zavorra di -1,1 per cento da recuperare, solo per arrivare a zero.

E’ il risultato inevitabile del caro-energia, con i prezzi dell’elettricità cresciuti del 450 per cento, in virtù della crisi del gas, fra l’inizio e la fine del 2021. Un picco, probabilmente, destinato a spianarsi in primavera, quando gli impianti di riscaldamento smetteranno di premere sulla domanda di metano. Ma tutto il contesto è mutato in queste settimane e la perdita di colpi dell’industria non può più essere considerato solo un incidente di percorso. I tassi sul debito italiano sul mercato dei titoli decennali sono passati, in meno di una settimana, in parallelo con l’aumento della spread con i Bund tedeschi, da sotto l’1,3 per cento a sopra l’1,80 per cento. Mezzo punto percentuale, che non è ancora una frana, ma che oscura le prospettive, restringe lo spazio alle manovre di bilancio a favore dell’economia, fa intravedere tassi di interesse e credito più cari e scarica sui soli investimenti pubblici l’improbabile compito di sostenere la ripresa. Questo 2022 pare nato male.

Le ombre sui prossimi mesi vengono soprattutto dalla repentina svolta impressa, la scorsa settimana, da Christine Lagarde al quadro della politica monetaria della Banca centrale europea. La sorpresa del tasso di inflazione annuale Ue sopra il 5 per cento a gennaio ha dato ai governatori delle banche centrali del Nord il peso sufficiente a rovesciare la posizione prudente finora tenuta a Francoforte sull’inflazione. La corsa dei prezzi preoccupa, dice ora la Lagarde, e potrebbe accelerarsi, spingendo la politica monetaria molto accomodante seguita finora a concludersi più in fretta del previsto, tanto da lasciare eventualmente spazio ad aumenti dei tassi di interesse, finora rinviati al 2023 e oltre. I mercati hanno preso atto e si comportano già come se l’era degli interessi negativi, a Francoforte, fosse finita e da meno 0,5 per cento, il tasso base della Bce fosse risalito a zero.

Quello che colpisce, nella svolta, è l’assenza di dati e analisi a sostegno dell’inversione di rotta. Può darsi che, nelle previsioni ufficiali che gli uffici tecnici della Bce forniranno fra un mese, le paure si materializzino, ma, per ora, numeri, indici e grafici – come riconosce, contraddicendosi, la stessa Lagarde – dicono il contrario. Il 5 per cento di gennaio fa impressione, ma la Bce – come ha ripetuto la stessa Lagarde – guarda non ai dati mese per mese, ma al percorso a medio termine: dove sarà l’inflazione fra un anno, due anni, rispetto al parametro del 2 per cento? E gli economisti di Francoforte hanno ripetuto fino a ieri che l’impennata attuale andrà avanti ancora per qualche mese, ma, a partire dall’estate gli indici scenderanno decisamente al 2 per cento e anche sotto. Del resto, per metà la corsa dei prezzi è determinata da un elemento esogeno, il caro energia, e le autorità monetarie non hanno nessuna incidenza sui prezzi di petrolio e metano. Ma non c’è il rischio che i rincari in corso aprano una rincorsa salariale che trasformi un’inflazione spinta da elementi esterni in una inflazione che si autoalimenta? No, ed è la stessa Lagarde a dirlo: un po’ di recupero salariale, dopo la pandemia, sarebbe dovuto, osserva la presidente della Bce, ma, per ora, non se ne vede traccia.

Insomma, per quello che si può vedere, la svolta della Bce è, soprattutto, una operazione politica, più che dettata dall’economia. A metterci la firma, del resto, una intervista pubblica del governatore della banca olandese, Klas Knot, uno dei più conservatori nel Consiglio della Bce, dove si auspica esplicitamente una stretta monetaria entro la fine dell’anno. Le prossime settimane saranno, dunque, di scontro a Francoforte e dintorni, intorno al tentativo di calare questa indicazione politica nella realtà dei dati. Ma già ora, c’è chi si interroga su natura e portata della stretta annunciata. Perché lo 0,5 per cento in più (in due rate, a dicembre e a marzo, fa capire Knot) nei tassi di interesse è già un colpo durissimo per una ripresa ancora molto fragile nella Ue. Ma, se davvero la Bce si ponesse l’obiettivo, come traspare dalle parole dello stesso Knot, di domare, qui e ora, un’inflazione 2022 al 4 per cento (anche se magari destinata a restarci solo per pochi mesi), allora, nota Erik Nielsen, consulente economico Unicredit, lo 0,5 per cento in più non basterebbe a frenare i prezzi. Il rischio – è la conclusione – è gelare di colpo un’economia, che, invece, si raffredderebbe da sola.

Maurizio Ricci

Maurizio Ricci

Giornalista