Si torna a parlare di concertazione: forse sarà il clima pesante del paese, forse la paura per un autunno che si prospetta irto di tensioni sociali, ma sta di fatto che la vecchia pratica triangolare, avviata nel 92 dal governo Amato, poi sancita e istituzionalizzata nel 93 col governo Ciampi, infine archiviata anche simbolicamente con la chiusura della ‘Sala verde’ di Palazzo Chigi, e addirittuta sbeffeggiata negli ultimi anni e governi, da Renzi in poi, sembra tornata in auge. Forse anche con eccessivo ottimismo sulla effettiva possibiita’ di praticarla. Sta di fatto che sia i sindacati, sia la stessa Confindustria, ne parlano come di una strada utile per definire assieme le priorità del paese e, di conseguenza, il modo migliore di dar seguito ai fondi, ingentissimi, che dovrebbero arrivare dall’Unione europea. Il diario del lavoro ne ha parlato con Tiziano Treu, che come presidente del Cnel ha un punto di osservazione privilegiato sulle parti sociali.
Professor Treu, si torna a parlare di concertazione. E a rilanciarla stavolta, oltre ai sindacati, è anche la Confindustria, sia pure con un nome differente. Dal suo osservatorio del Cnel lei ha come pochi il polso delle parti sociali, cosa ne pensa?
Si, oggi viene definita “democrazia negoziale”, ma in sostanza è concertazione. La Confindustria, a quanto vedo, sotto la nuova gestione di Carlo Bonomi lancia segnali contrastanti: diciamo che fa una sorta di liscia e bussa, da un lato attacca i contratti nazionali, dall’altro offre la concertazione.
Ma come primo effetto questo “liscia e bussa” spiazza i sindacati. La Cgil parla di attacco, di guerra. Lei vede possibile, in questo clima, un ritorno alla concertazione
Le rispondo con una frase famosa: se non ora, quando? Per quanto riguarda i sindacati, e le reazioni della Cgil, la vedo forse un po’ chiusa, protesa verso due concetti che riassumerei come difesa e assistenza. Auspicherei maggiore capacità propositiva dal principale sindacato italiano, proposte che guardino avanti. Ma resta il fatto che oggi il paese è in un guaio serio, e possiamo uscirne solo unendo gli sforzi di tutte le forze interessate alla crescita in un patto sociale nuovo, basato sull’utilizzo migliore dei fondi che ci arriveranno dall’Europa.
Per usarli al meglio occorrono progetti, e noi facciamo storicamente fatica a metterli assieme.
Si vede dallo scarso utilizzo che abbiamo sempre fatto dei fondi strutturali. Ma questa volta non ce lo possiamo permettere. Per questo dico che un patto tra tutte le forze in campo sarebbe indispensabile. Nel 2018, per esempio, Confindustria e sindacati avevano stipulato il Patto della fabbrica. Aveva contenuti interessantissimi, ma poi è stato abbandonato. Io dico, ripartiamo da li.
Su cosa dovrebbe basarsi il Patto aggiornato al 2020, al post Covid?
Anche prima del Covid avevamo gli stessi problemi, quelli che sappiamo tutti: sanità, scuola, infrastrttuure materiali e immateriali: queste sono le priorità. Certo servono molti soldi.
Pare che quello che non ci mancherà, paradossalmente, saranno proprio i soldi. Progetti invece ne abbiamo un po’ meno. Abbiamo avuto il piano Colao, ed è sparito nel nulla, poi le dieci giornate di Villa Pamphili, e pure quelle non sembra abbiano lasciato traccia. Dunque?
Il piano Colao in realtà non era male, come Cnel abbiamo anche interagito con il suo gruppo di lavoro. Mancavano alcuni temi chiave, come il fisco e il lavoro, e forse le proposte, oltre cento, erano anche troppe. Ma ci sono vari spunti da cogliere. L’intenzione iniziale del resto era offrire un menù da cui attingere. Anche noi, come Cnel, abbiamo offerto un menu, con i nostri documenti e le nostre audizioni sui vari temi in discussione, dalla semplificazione alla politica industriale. Abbiamo prodotto due delibere, un decalogo, quattro documenti specifici, e tutti con il contributo di tutte le forze sociali. Nel corso delle audizioni che abbiamo promosso tutte le parti sociali hanno indicato le loro priorità, avanzato proposte, si sono dimostrate attive e concrete. Quindi le premesse ci sono.
Come vede il clima sociale nel paese?
Per ora lo definirei un miracolo. Considerando cosa accade nel mondo, in Usa, in Uk, anche in Francia per certi versi, siamo quasi un’isola felice. E questo grazie anche ai molti miliardi che il governo ha messo sugli ammortizzatori sociali, sul sostegno alle varie categorie produttive, ai cittadini. La pace sociale di cui ancora godiamo e’ stata, diciamo, ben finanziata.
E tuttavia i cittadini, i lavoratori, ma anche le aziende, non sembrano affatto pacificati. Si teme l’autunno. C’è un terrore strisciante del futuro, i consumi sono fermi, le attività commerciali agonizzano.
Come osservava recentemente una nostra economista, Anna Maria Simonazzi, ci sono delle differenze importanti. I fondi erogati alle imprese danno loro una certa sicurezza almeno per qualche mese, i soldi dati ai lavoratori, invece, hanno il difetto di non dare questa certezza: vengono erogati a spizzichi e bocconi, sulla spinta di decreti continuamente aggiornati. Dunque non garantiscono un orizzonte. Di conseguenza le persone non spendono, non consumano, non sapendo cosa sarà di loro dopodomani. E poi ovviamente ci sono settori particolarmente colpiti, come il turismo, che avranno bisogno di supporto a lungo termine. Insomma, c’e’ bisogno di sicurezza: non del giorno per giorno, ma di più maggior respiro.
In questo contesto, teso e incerto, si dovranno rinnovare molti contratti. I metalmeccanici hanno appena iniziato, proprio nella vostra sede del Cnel. Come vede questi rinnovi?
Nei prossimi rinnovi penso che non si discuterà solo di aumenti contrattuali, la posta è più ampia, c’è di mezzo il futuro del paese. E al momento vedo più facile una concertazione generale che non certi contratti di categoria, come appunto i metalmeccanici
Ma cosa potrebbe offrire, e ricevere, il sindacato a un tavolo di concertazione?
Il campo degli scambi virtuosi è enorme, come forse non è mai stato prima d’ora. Una prospettiva eccezionale. Si apre uno spazio per il sindacato gigantesco, anche perché le aziende oggi hanno bisogno del sindacato. Che puo’ offrire una collaborazione intelligente per uno sviluppo di qualità di cui potrà essere protagonista. Anche sul lato delle imprese, compresa Confindustria, i materiali direi che ci sono. Glie l’ho detto, il Patto della fabbrica: si riparta da li.
Nel patto della fabbrica c’era anche la legge rappresentanza. Ma anche quella sembra ferma, congelata. Eppure, non sarebbe questo il momento giusto anche per chiarire una volta per tutte chi rappresenta chi, per stroncare i contratti pirata?
Esattamente: la legge sulla rappresentanza è un altro punto chiave per il futuro. In Parlamento mi pare ci siano, sul tema, gia tre disegni di legge. Possibile che non se ne riesca a concretizzare nemmeno uno?
Lo chiedo a lei. Il nodo da sciogliere sembra sia la conta delle rappresentanze. Una conta che non si riesce a fare, perché?
Finché non si avranno i dati certi su chi rappresenta chi, non si può fare alcuna legge. C’era stato, nei mesi scorsi, un notevole paso avanti, col protocollo tra Inps e Ministero del Lavoro che doveva dare attuazione al Testo Unico. Ma poi si è fermato tutto. Aggiungo che anche una certa frammentazione che notiamo nel fronte imprenditoriale non aiuta a fare la necessaria chiarezza. Ma se non si fa questo passo, non si può fare alcuna legge. E questo le parti sociali devono averlo chiaro.
Nunzia Penelope